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FRAMMENTIRIVISTA su Nuovissimo testamento

In un momento di stasi, di sentimenti comunicati per mezzo di uno smartphone, leggere la novità editoriale Nuovissimo Testamento (acquista) di Giulio Cavalli è un buon modo per riflettere su quelle emozioni che a volte non vorremmo avere perché impicciano, rendendoci fragili e vulnerabili. E questo è il motivo perché lo segnaliamo tra i libri da leggere assolutamente in occasione del nuovo lockdown. Nuovissimo testamento è un romanzo distopico che mescola il novecentesco 1984 di George Orwell alla recentissima serie Netflix Il racconto dell’ancella, tratto dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood.

Nella cittadina di DF non c’è niente che non sia prestabilito da rigide regole del Governo, dai colori delle case alla dieta. Sono severamente vietate le emozioni, i legami e i desideri. Anzi, sono messi al bando da un vaccino somministrato dalla più tenera età. Ad un certo punto a DF succede qualcosa: nascono dei piccoli focolai di empatia, partendo dal reparto di Disturbi affettivi dell’ospedale. Se Fausto, Andrea e Angelo si trovano per caso a condividere la stessa camera, la rivoluzione è una scelta. Non appena capiscono che dietro a quel modo di vivere ci sta un disegno politico, decidono di rischiare la loro stessa vita per liberare le emozioni. Uno scroscio di empatia e sentimenti vengono riversati a cascata nelle case degli abitanti di DF dalle brigate sentimentali, con l’aiuto della dottoressa Anna Cordio, ideatrice dell’antidoto contro il vaccino. Tra le pagine troviamo il tormento, le emozioni represse, l’anima soffocata dei cittadini di DF. E al lettore viene voglia di vivere, amare e sentire tutto in maniera amplificata.

Consigliato da Maria Ducoli

(fonte)

Letta Continua

Siamo nell’epoca Letta. Lo so, siamo in un momento politico strano, talmente nauseati che anche i cavalli di ritorno ci provocano sussulti, del resto già da un po’ ci siamo ridotti a rimpiangere la Prima Repubblica vista la consistenza di quelle venute dopo. Politicamente la notizia è questa: Enrico Letta è stato votato segretario da quelli che nel 2014 lo cacciarono. E, badate bene, i protagonisti sono sempre gli stessi, travestiti o mimetizzati o nella parte dei convertiti, sempre loro.

Però nel momento storico in cui tutti i leader di partito si accodano allo smussamento rivenduto come buona educazione (quando invece è solo insana pavidità politica) Enrico Letta ha deciso, nonostante lo dipingano come annacquato, di essere smodato e di porre questioni che gli altri hanno finto di dimenticare. I punti che ha posto all’assemblea del Partito democratico sono comunque aria fresca rispetto allo stantio parlare a cui eravamo abituati e avere il coraggio in un momento come questo di parlare di ius soli spazza via molte delle giustificazioni che sono sempre state adottate, quando c’era altro a cui pensare, quando si aveva paura di prendere posizione, quando sembrava addirittura una bestemmia prendere di petto Salvini e le sue politiche. Nella nazione in cui si celebrano le arance perché italiane, le auto perché italiane, le magliette perché italiane gli unici italiani non italiani sembrano essere rimasti i bambini nati in Italia.

Anche il voto ai giovani di 16 anni è un tema che ha attraversato l’Europa e che solo qui da noi ci ha sfiorato da lontano solo qualche volta. Eccolo, è arrivato. Si può essere d’accordo o meno ma aprire un dibattito è doveroso. Anche sui giovani, come spesso accade, si ascoltano gli adulti dare lezioni e poco altro.

In una democrazia matura che i partiti (di qualsiasi colore) riescano a trovare una leadership all’altezza è l’auspicio di tutti, no? Quindi nella fase delle parole, che è la fase più facile, c’è da dire che Letta ha avuto il coraggio di osare.

C’è un piccolo particolare, però, tanto per non cadere in facili entusiasmi e l’ha raccontato benissimo ieri Civati in un’intervista a Repubblica. Dice Civati: «Sono almeno 10 anni che tutti i leader del Pd parlano di ius soli. Lo abbiamo fatto? No. La verità è che la sinistra nel Pd non c’è più, sono tutti democristiani. Non c’è la sostanza, non c’è il conflitto, è un partito di sistema. Io spero tantissimo che Letta l’abbia imparato e che riesca a rompere gli schemi».

Ecco, appunto.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Rivista Blam! recensisce Nuovissimo testamento

(fonte)

Non so della libertà, so che ci viene vietata la bellezza. Non proprio, viene vietata la vitalità in tutte le sue forme”

Nella cittadina di DF colori, emozioni, legami o desideri sono vietati: tutto è rigorosamente catalogato e controllato dal potere centrale. Anche pensare non va bene, perché come sarebbe un mondo governato dalle opinioni personali? Giulio Cavalli, dopo aver vinto il Premio Selezione Campiello, è tornato in libreria con Nuovissimo Testamento pubblicato da Fandango Libri. A meno di un mese dall’uscita, è stato proposto tra i titoli candidati al 

C’è un gran viavai al pronto soccorso di DF e il reparto di Disturbi affettivi, dove vengono ricoverati i cittadini con problemi di rotondità sentimentale, risulta essere particolarmente affollato. Fausto Albini si sente male sulla spiaggia, probabilmente in seguito a un ricordo riaffiorato mentre disegna un cerchio sulla sabbia.  In stanza con lui ci sono anche Andrea Razzone, colto in flagrante mentre leggeva, e Angelo Siani che sogna ossessivamente la madre che non ha potuto conoscere. A DF il tempo non passa: scorre sempre allo stesso modo, i minuti sono scanditi da rigide tabelle prestabilite dal Governo. Qualcosa, però, si inceppa. I casi di disturbi affettivi aumentano in modo esponenziale, l’esecutivo del presidente Bussoli è preoccupato: come si può governare un popolo che prova desideri ed emozioni? La preoccupazione è lecita: di lì a poco avrà luogo una rivoluzione, non appena Fausto e i suoi compagni capiranno che la mancanza di empatia è frutto di un disegno politico.

Innamorarsi in un mondo senza amore: Anna e Fausto

Fausto scopre l’amore – un sentimento indicibile e proibito – in seguito all’incontro con la dottoressa Anna Cordio, che ha in carico il suo caso. Anna fin da bambina è  stata stimata per il proprio equilibrio che l’ha sempre portata ad avere l’atteggiamento giusto, ad evitare le parole e le espressioni di troppo. Mentre la sua freddezza la porta a distinguersi come una delle cittadine modello di DF, Anna crea un antidoto al vaccino che debella sentimenti ed empatia dalla popolazione. Anche lei si innamora di Fausto, ma come potrebbero amarsi in un mondo che vaccina le persone contro l’amore? Per farlo, infatti, avrebbero bisogno di un contesto che permetta al sentimento di fluire, di una situazione che permetta di consumare l’amore senza farsi consumare. Ma non hanno niente del genere.

DF: vita e rivoluzione 

A DF non ci sono aspirazioni o libertà. A DF i bambini vengono tolti ai propri genitori e le mogli vengono assegnate a rotazione. A DF tutti hanno lo stesso numero di vestiti e le stesse identiche cose nelle case. A DF la dieta settimanale è prestabilita dal governo e i libri non esistono. “A DF  è giusto tutto ciò che accade ed è sbagliato tutto ciò che intralcia il corso prestabilito  delle cose.”

A DF una mattina avviene una  rivoluzione. Fausto e i suoi compagni, dopo essersi impegnati a lungo a somministrare l’antidoto studiato da Anna, sferzano il colpo finale: lo riversano negli acquedotti di tutta la città. Un risveglio particolare, per gli abitanti. Al solo contatto dell’acqua, infatti, l’effetto del vaccino svanisce. La rivoluzione non ha lo scopo di prendere il potere o il controllo del paese, bensì di riprendere il controllo di se stessi. Fausto, Anna e gli altri vogliono liberare le emozioni, riportare l’empatia tra le strade della città e dare voce ad un nuovissimo testamento. Anche a costo di rimetterci la vita.

Il genere: la distopia tra Orwell e le serie tv targate Netflix

Nell’anno in cui si perde il copyright sulle opere di Orwell, ne troviamo alcuni rimandi nel libro di Cavalli. Come una madeleine proustiana, ci ricorda scorci di vita – pagine di libri – che abbiamo già vissuto. E lo amiamo proprio per questo.

Nuovissimo testamento è un romanzo distopico che mescola il novecentesco  1984 alla recentissima serie Netflix Il racconto dell’ancella, tratto dall’omonimo romanzo della Atwood. DF E Gilead sono abitate dalle stesse donne, con il solo scopo di mettere al mondo bambini  che poi non potranno crescere. Donne che non possono innamorarsi, scegliere, vivere, ma che vengono assegnate ad un uomo per poi passare a quello successivo. Leggendo Cavalli, viene spontaneo pensare ai vestiti lunghi e rossi delle ancelle, semplici fiori che aspettano di essere fecondati.

In Nuovissimo testamento la punteggiatura è scarsa, non ci sono virgolette che contrassegnano i dialoghi: la sintassi assume i connotati di un flusso di emozioni represse. La carta assorbe il tormento, i sentimenti, l’anima soffocata delle brigate sentimentali. E al lettore viene voglia di vivere, amare e sentire tutto in maniera amplificata.

a cura di Maria Ducoli

Elide Apice recensisce Nuovissimo testamento

(fonte)

Il libro è stato proposto al Premio Strega 2021 da Filippo La Porta

Un romanzo distopico di grande attualità, è questa la prima idea nel leggere “Nuovissimo testamento” (Fandango) di Giulio Cavalli, proposto al premio Strega 2021 da Filippo La Porta. Nella città di DF vige un sistema di vita/non vita in cui tutti i cittadini sono stati privati di emozioni. 
Non hanno alcuna empatia e vivono nelle strette maglie di un regime che si dice democratico sopravvivendo a se stessi. 
Un mondo in cui tutto è stabilito per legge, i colori delle case e degli arredi, gli abiti, i lavori, gli alimenti. 
Famiglie composte dall’alto creando coppie atte a procreare che non potranno accudire i loro figli. 
Un mondo senza emozioni è un mondo in cui non esistono problemi e la vita procede senza scossoni fin quando uno dei protagonisti si sente male, viene portato al pronto soccorso e da qui al reparto dei disturbi affettivi dove si curano gli ammalati di rotondità mentale.
E’ l’inizio del cambiamento, Fausto Albini incontrerà la dottoressa Cordio e inizierà a provare sentimenti sconosciuti, Intanto qui e lì nello stato si organizza una resistenza culturale basata sulla ricerca del bello e le forze dell’ordine vanno alla ricerca di “focolai di bellezza”. 
La musica, i libri, la conoscenza porteranno la rivoluzione, ma le Brigate dell’amore saranno considerate organizzazioni terroristiche.
In tanti hanno seguito le nuove istanze, in tanti hanno appoggiato le Brigate dell’amore, ma sapranno scegliere tra la voglia di libertà e la paura che la stessa incute? L’epilogo non sarà come il lettore potrebbe aver immaginato e lascerà l’amaro in bocca. 
Una narrazione che non fa sconti a nessuno, nella quale si riconosco facilmente tanti correnti pensieri che attualizzano in maniera incredibile un romanzo distopico. 
E’ facile immaginare somiglianze con i politici, con istanze sociali disattese, con le varie forme di razzismo esistenti, con l’appiattimento delle emozioni causticate da un certo tipo di proposte pseudo culturali dei media. 
Eccellente la penna di Cavalli pur nell’uso trasgressivo della punteggiatura che induce chi legge a perdersi nel vortice delle parole e delle emozioni.
Emozioni, appunto, la parola chiave della narrazione, quelle che vengono abrogate per legge, quelle che in qualche maniera riescono a serpeggiare in anime corrotte da vaccini che inibiscono l’empatia, quelle che sono la vera essenza della vita. 
Bello, intenso, coinvolgente, crudo, amaro, necessario da leggere per entrare in dinamiche contemporanee che purtroppo ancora sfuggono a tanti

Produci, consuma, crepa: siamo liberi di andare a lavoro e rinchiusi in casa nel tempo libero. È coerente?

L’argomento è terribilmente scivoloso e si gioca su un filo poiché la tossica presenza di no vax e di strillatori che vedono “dittatura sanitaria” dappertutto rende difficile avventurarsi in questa selva però ci provo, perché appiattirsi in nome della paura è uno stato sociale che dovremmo comunque cercare di evitare, perché se per cautela e protezione ci sono limitati i movimenti non si vede perché dovrebbero essere smussate anche le opinioni.

Da un anno abbiamo imparato a nostre spese che il virus che sta condizionando il mondo si combatte modificando i nostri comportamenti, usando dispositivi e cautele e adottando distanze fisiche (perché “distanziamento sociale” era e continua a essere una pessima definizione) che aiutano nella prevenzione del contagio.

Un anno fa abbiamo scelto che la nostra vita sociale e professionale venisse messa in pausa confidando che venissero prese tutte le iniziative utili per predisporre il contrasto: tamponi, tracciamento, trattamento sanitario, potenziamento del trasporto pubblico, rafforzamento della medicina di base, approntamento della campagna vaccinale, messa in sicurezza di scuole e di uffici, controllo serrato dei protocolli negli ambienti di svago e di lavoro.

Alcuni di questi punti sono stati disattesi o affrontati con forze inadeguate. Ma non è questo il punto, ora non si discute delle responsabilità. Un anno dopo ci ritroviamo in una situazione non molto dissimile dal primo lockdown: ospedali in sofferenza, i vaccini mancano, i contagi crescono e le nuove varianti colpiscono nuove fasce di popolazione.

La strategia del governo però appare sempre la stessa: libertà di movimento per quel movimento che serve appena per spostarsi nei luoghi di lavoro e per gli approvvigionamenti che servono per sopravvivere. Le ultime voci parlano di un lockdown “morbido” durante la settimana e di un pugno più duro durante il week-end. Per semplificare: lavorate, consumate e poi, solo poi, proteggetevi. Il modello è “produci, consuma, crepa”.

Decidere cosa chiudere e cosa tenere aperto significa comunque proporre un modello di priorità. Siamo sicuri che queste priorità non possano essere messe in discussione? C’è qualcuno che abbia l’autorità politica di aprire una riflessione sul disegno di Paese in piena pandemia? È possibile contestarne il modello? Davvero vogliamo lasciare tutto lo spazio delle critiche ai populisti destrorsi e ai complottisti? Perché forse ci farebbe bene a tutti pensare alle priorità di un Paese, anche in piena pandemia.

Leggi anche: Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene (di G. Cavalli)

L’articolo proviene da TPI.it qui

Giulia Alberico (L’Osservatore Romano) su Nuovissimo testamento

Nella città di DF un giovane uomo, Fausto Albini, mentre passeggia sulla spiaggia, senza una apparente ragione, è colto da un turbamento violento e sviene. Immediatamente soccorso viene ricoverato in ospedale nel reparto Disturbi affettivi dove medici solleciti vogliono indagare quel che gli è successo. È una reazione, infatti, incomprensibile perché a DF, come nel resto dello Stato, vige da decenni un governo che attua un programma rigido e severo: quello della Rotondità sentimentale ossia l’assenza totale di emozioni.

Sono banditi sensazioni, sentimenti, desideri. Tutto è pianificato perché né risa né pianto, né moti del cuore né affetti possano turbare lo scorrere di una vita che è pianificata secondo rigide regole: da quelle alimentari a quelle coniugali. C’è una rotazione settimanale per i cibi, pluriennale per le coppie che generano figli, poi vengono separatamente riassegnati ad altri partner così come i bambini, a rotazione, presso coppie di genitori temporanei.

A DF le case sono tutte uguali, arredate allo stesso modo, ogni libro è bandito, come pure i colori. È permesso solo il grigio. Per attuare il fine ultimo della Rotondità sentimentale ai neonati subito dopo la nascita viene somministrato un mix di vaccini che permette di crescere per il resto della vita in assenza totale di emozioni: né dolore, né gioia, né odio, né amore. Se ogni empatia sarà impedita i cittadini saranno tutti «docili alle imposizioni e facili da regolamentare come un gregge mansueto». In questo mondo impenetrabile ad ogni forma di reazione emotiva tuttavia qualcosa non va secondo il verso giusto. Qualcuno non regge, prova sofferenza perché percepisce la condizione in cui si trova. E si suicida. Qualcuno prova a reagire, a godere del colore rosso, a gustare il sapore del vino e del cioccolato, a leggere un libro. Naturalmente tutto questo alimenta un piccolo e fiorente mercato nero. E clandestinamente alcuni si organizzano in una resistenza e vanno a formare le Brigate sentimentali. Anche Albini sottoposto alle cure in ospedale, non reagisce ai tentativi di riallinearlo all’ottundimento emotivo, anzi si innamora della dottoressa che dovrebbe curarlo, Anna Cordio. Sarà proprio lei a recitargli la massima del Vangelo apocrifo di Tommaso: «Se fai accadere ciò che è dentro di te, questo ti salverà. Non fai accadere ciò che è in te, questo ti ucciderà». È un romanzo distopico Nuovissimo testamento (Roma, Fandango 2021, pagine 290, euro 19) di Giulio Cavalli, per molti versi ansiogeno proprio perché, nel potere che governa DF intravvediamo, sia pure deformati e paradossali, alcuni aspetti, striscianti che appaiono nel mondo presente, quello che abitiamo tutti.

Quanto siamo empaticamente vicini al prossimo? Quanto emotivamente partecipi della vita della famiglia, della comunità? L’abbondanza di informazioni da ogni angolo del mondo non rischia di generare indifferenza? Quante volte capita di non voler più sapere, vedere l’inferno di dolore e violenza che c’è nel mondo. Per eccesso o assenza di empatia. Se in parte è così allora, ci dice Nuovissimo Testamento, si possono trovare degli antidoti, così come faranno alcuni temerari in DF. L’antidoto però non garantisce la bontà delle emozioni. Queste possono essere anche di odio, di violenza, di rabbia. Sta al singolo viverle in direzione positiva, generosa, vitale.

In un bellissimo dialogo tra Marco Polo e Kublai Kan ne Le città invisibili di Calvino, stanco e rassegnato Kublai dice: «Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale». E Marco: «L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, quello è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

di Giulia Alberico

Prima si lamentavano per la “dittatura sanitaria”. Ma ora che le chiusure le fa Draghi va tutto bene

Ma ve la ricordate la “dittatura sanitaria”? Dico, vi ricordate tutto il baccano che si accendeva ogni volta che nell’aria si annusava il bisogno di un nuovo lockdown o anche semplicemente si ventilava l’ipotesi di nuove restrizioni?

C’era Salvini, era lui l’agitatore degli aperturisti, che strillava come un matto per convincerci che ogni nuova limitazione non fosse altro che la conferma dell’incapacità di quelli che governavano. Altri gli andavano dietro a scia, i suoi parlamentari e gli alleati di Fratelli d’Italia e anche qualche berlusconiano. Che vergogna, che schifo, ci dicevano, ora non si sentono più.

Ve le ricordate le prese per i fondelli per i colori delle regioni? Vi ricordate gli schiamazzi di chi ci spiegava che era un metodo punitivo che uccideva gli italiani e che veniva usato come arma politica? Ora i colori sono aumentati, c’è l’arancio scuro, il rosso rossissimo, il bianco con toni di grigio. Ma non si sente più nessuno strillare.

Vi ricordate le grandi battaglie di Salvini e dei suoi compagnucci aperturisti contro il coprifuoco? Vi ricordate tutte le ciance per la libertà e i vaneggiamenti sul diritto di pisciare il cane alle 4 del mattino? Che tempi: tutti esperti di Costituzione. Ora il coprifuoco potrebbe addirittura allargarsi e quelli, al solito, tutti zitti, spariti.

Vi ricordate le critiche ai Dpcm? Vi ricordate costituzionalisti, Renzi e Salvini, quelli che lamentavano la presenza di un governo autoritario? Sono gli stessi che criticavano la pletora di esperti che esautorava la politica e il Parlamento delle loro funzioni, quelli che chiamavano i tecnici “amichetti” e i consulenti li chiamavano “compagni”. Ora continuano i Dpcm, si allarga la schiera di esperti, eppure non s’ode una protesta manco a pagarla, niente.

E le scuole? Che vergogna, dicevano, le scuole chiuse e le famiglie in difficoltà che non sanno come tenere i propri figli. Ci risiamo, ma quelli che strillavano ora hanno perso il dono della protesta.

E vi ricordate quando dicevano di dare notizie certe, di smetterla di bisbigliare? Da giorni si discute di un lockdown senza fonti certi, retroscena dappertutto ma quelli tacciono, niente di niente.

E i ristori che arrivavano in ritardo? Ora è cambiato il nome, ma comunque si chiamino continuano a non arrivare, la sostanza non cambia, solo gli sfegatati oppositori tacciono. Insomma, il trucco era semplice semplice: bastava fare entrare i contestatori nel governo e continuare come prima. Intorno s’è fatto tutto accondiscendenza.

Leggi anche: Dagli oppioidi all’Arabia Suadita, le ombre su McKinsey: ecco a chi si è affidata l’Italia per il Recovery

L’articolo proviene da TPI.it qui

Perché dovremmo leggere Nuovissimo Testamento, l’ultimo libro di Giulio Cavalli (da Marie Claire)

Una mattina Fausto Albini disegna un cerchio nella sabbia, viene assalito da una sensazione, si sente male e viene ricoverato nel reparto disturbi affettivi. Perché a DF (luogo dove era ambientato anche il libro Carnaio) non è prevista un’emotività incontrollata (più che altro un’emotività): tutto è deciso, stabilito – i colori (dai vestiti ai mobili), il cibo, il lavoro da fare, persino mogli e mariti vengono assegnati (e cambiati dopo un tot) -, non esistono idee, aspirazioni, paure, e nessuno si fa domande. E questo perché il l governo è riuscito a ottenere (il come è meglio non svelarlo ) un ottundimento delle emozioni, specie dell’empatia, il cui calmieramento è fondamentale per il mantenimento del potere. Solo che pian piano quelli che sentono qualcosa (come Fausto e i suoi compagni di stanza) sono sempre di più, al mercato nero si smerciano libri, cibo, musica, e nascono le Brigate sentimentali, che vogliono far aprire gli occhi agli abitanti e liberare le emozioni. Questa in breve – c’è assai di più – la trama di Nuovissimo Testamento, l’ultimo romanzo di Giulio Cavalli (attore, scrittore e giornalista), che sembra una specie di grandangolo da cui guardare noi e il mondo.

A DF tutto è stabilito, deciso. Non ci sono desideri, aspirazioni, dubbi, domande… Che cos’è, un incubo, una distopia, un rischio su cui vigilare? 
Un rischio su cui dobbiamo vigilare non solo a livello politico ma penso anche personale. Io sono innamorato delle fragilità, ne scrivo sempre, e la vera resa di fronte alle fragilità consiste nell’abbassare, nell’annacquare, nel diluire tutto: ambizioni, sentimenti, dolori, sogni per viverli. 

Stiamo diluendo tutto?
Siamo in un’epoca in cui ci dicono che essere mansueti di fronte agli accadimenti della nostra vita sia un pregio. Io invece lo trovo un enorme difetto.

A DF sono riusciti a creare un ottundimento generale delle emozioni, specie dell’empatia. Che cos’ha di così pericoloso?
La tentazione di non sentirsi felici finché anche tutti gli altri non sono felici. Dignitosi finché tutti gli altri non sono dignitosi. C’è il rischio che un gruppo di persone smetta di essere penisole e decida di diventare comunità, cosa pericolosa per il potere.

Perché?
Perché sono molto più difficili da controllare, costringono a un dibattito e costringono soprattutto a illustrare le proprie ragioni.

E noi, siamo liberi come pensiamo o siamo stati anche noi resi più ottusi?
Be’, sicuramente c’è una narcotizzazione di massa e sicuramente il ruolo delle arti tutte, io ti posso parlare della letteratura, dovrebbe essere proprio quello di fare vedere ciò che non vedevamo. Darci occhi nuovi. Il ruolo dell’artista, qualunque sia la sua arte, dovrebbe essere disvelare. Invece spesso ci si limita a raccontare in modo elegante ciò che conosciamo. 

A DF sono vietati i libri, la musica… L’arte, la cultura, la bellezza sono davvero rivoluzionarie?
Sì, educarsi alla bellezza, nel senso più filosofico e ampio del termine, ci donerebbe papille gustative che troverebbero insopportabili alcuni scenari che adesso troviamo addirittura edibili. 

Per esempio?
Il pensare di dover smussare, limare continuamente le proprie ambizioni affettive, sociali, lavorative. È una cosa insopportabile, una catena di montaggio che dà sogni prêt-à-porter. E, se non ti stanno bene addosso, sei tu che non hai la taglia giusta. 

A Df impera il «fare fare fare, senza pensare». Non è quello che sta un po’ succedendo anche a noi?
Be’ certo. A me è capitato di parlare, di sentire persone che iniziano la giornata correndo per andare a fare un lavoro in cui spesso non si riconoscono, che hanno degli spostamenti che non riescono a vivere, come fossero dei non tempi, e poi la sera tornano a casa troppo stanchi per potersi dedicare ad altro. È un po’ questo il fare, fare senza pensare. In più siamo in una società che è diventata molto quantitativa un po’ per la precarizzazione in generale non solo del mondo del lavoro, ma sentimentale, sociale, e quindi per riuscire a raggiungere gli obiettivi, anche economici che ci permettano di sopravvivere c’è questo ingolfamento enorme. 

Da che parte potremmo iniziare per cambiare un po’ le cose?
Be’ se tu educhi le persone al bello poi inevitabilmente le persone sono disposte anche a gratificare il bello. Diciamo che questo sarebbe già un primo passo. E poi recuperando il diritto del qui e ora. Viviamo vite che sono spesso trasferimenti, momenti di passaggio tra andare a fare qualcosa e tornare dall’aver fatto qualcosa. Rivendicare il qui e ora vuol dire volere una vita in cui io sono consapevole in qualsiasi istante di quello che sto facendo e me lo vivo. Se ci pensi molto spesso ci viene proposto di fare, lavorare in attesa di… e il qui e ora si perde completamente. Io ho questo difetto, sono sempre in attesa di qualcosa. Ho la sensazione di essere un pendolare che da 43 anni è in viaggio per arrivare, ma mi sono dimenticato di dove stavo andando. Sento di aver bisogno di un approdo ma non so esattamente che approdo sia.

Le Brigate Sentimentali compiono azioni di risveglio emotivo ma non tutto va come sperato. Anche alla libertà bisogna essere educati?
È un ideale e come tutti gli ideali se lo prendi dal verso sbagliato finisci per rimanerne ferito. L’educazione alla libertà per me sta appunto nel riuscire a usarla con empatia. Non è un condono alle proprie azioni, è la capacità di nuotare in tutto lo spazio che abbiamo e non infliggere nulla agli altri. 

Ci dobbiamo anche noi riallenare a sentire?
Al sentimento. La chiamano la meraviglia dei bambini invece è un sentimento che si inaridisce negli anni. Parlo della capacità e e dell’intelligenza viva di stupirsi di ciò che ci accade. È un muscolo che andrebbe allenato tutte le mattine. 

Come mai ha scelto questo titolo?
Un po’ perché mi piace molto provocare, un po’ perché credo che la rinascita di un mondo nuovo partirebbe proprio da lì. Dalla presa di coscienza e dalla consapevolezza di quello che non andava nel vecchio. Che è quello che accade qui.

cover nuovissimo testamento

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Papa Francesco in Iraq ha fatto politica. Quella che non sanno fare i potenti

Forse ci metteremo anni a capire l’importanza storica della visita di Papa Francesco in Iraq e chissà che non si possa imparare in fretta come la diplomazia, parola sgraziata e scarnificata in questi anni di commercio con una spolverata di finti diritti, è un esercizio serissimo che richiede il coraggio di andare controvento.

Papa Francesco è atterrato in Iraq e in pochi giorni ha infilato il dito nelle ingiustizie di quella parte di mondo che pochi si prendono la briga di raccontare, in mezzo alle macerie che stanno lì ma che sono partorite da tutto l’Occidente. Gli avevano sconsigliato di andare, i venditori di morte occidentali, fingendosi consiglieri apprensivi ma non riuscendo a non apparire ipocriti.

È entrato a pregare in Mosul, l’ex capitale delle milizie del Califfato da cui il Daesh ha sparso morte e ha ripetuto a voce alta che non esiste nessuna possibile guerra in nome di nessun Dio, che non è consentito “odiare i fratelli” e che non bisogna cedere ai “nostri interessi egoistici, personali o di gruppo”.

Al di là del credo di ognuno quelle parole sono un atto politico potentissimo. Così come rimarrà nella storia l’incontro con Ali al Sistani, la massima autorità religiosa sciita del paese, in una stanza spoglia che profuma di sala d’attesa, e in cui si è stretto l’impegno di una collaborazione tra comunità religiose che troppo spesso la politica gioca a brandire l’una contro l’altra.

Sono due uomini che si battono contro le divisioni e che riportano il discorso finalmente a un livello più alto, abbandonando i bassifondi di un razzismo religioso che anche dalle nostre parti si è acuito sempre di più. È il viaggio in cui Papa Francesco ha ascoltato le parole del padre di Alan Kurdi, naufragato su una spiaggia turca nel settembre del 2015 mentre con la madre e con il fratello tentava di raggiungere l’Europa.

Una foto che ha fatto il giro del mondo ma di cui ancora nessuno ha chiesto scusa, nemmeno tra i responsabili politici di una tragedia che ancora oggi continua a rinnovarsi. Le cronache raccontano di un Papa che “ha ascoltato, più che parlare”: quella è una storia che va ascoltata e raccontata, ascoltata e raccontata.

Papa Francesco, comunque la si pensi, si è preso una responsabilità politica enorme gettando luce là dove molti vorrebbero convenientemente mantenere il buio esercitando la diplomazia nel suo senso più alto, guardando negli occhi e quindi legittimando le vittime. Mentre tutti sono concentrati sul proselitismo ascoltare diventa perfino un atto rivoluzionario.

Leggi anche: 1. La prima volta di un Papa in Iraq: Francesco va nei luoghi che furono dell’Isis per costruire la pace

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