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Democrazia

Ciao ciao “democrazia diretta”

Le consultazioni per il governo certificano (se ce ne fosse ancora bisogno) il definitivo abbandono da parte del Movimento 5 Stelle della “democrazia diretta” e della “trasparenza grazie alla rete” che furono i capisaldi della nascita del Movimento. Dallo streaming con Bersani al semplice racconto di ciò che si sono detti Di Maio e Salvini segna la differenza tra quello che avrebbero voluto essere e quello che sono. Anche se fingono di non accorgersene.
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«Nessuno può offrirsi il lusso di ignorare questa situazione»: la lettera dal carcere turco della scrittrice Aslı Erdoğan

5.12.2016
Cari amici, colleghi

questa lettera è scritta dal carcere femminile di Barkirköy, situata fra un manicomio e un vecchio lebbrosario. In questo momento, un numero stimato fra i 150 e i 200 “giornalisti” – un record mondiale – sono imprigionati in Turchia e io sono una di loro.

Io sono una scrittrice, solo una scrittrice, autrice di otto libri tradotti in varie lingue inclusa quella francese (pubblicati da Actes Sud)*. Dal 1998 ho lavorato come commentatrice cercando di combinare letteratura e giornalismo. Gli ultimi due Premi Nobel mettono in evidenza quanto siano giustamente rimessi in discussione i limiti rigidi della letteratura.

Sono stata arrestata con il motivo, o con il pretesto, di essere uno dei “collaboratori” di Özgür Gündem, considerato “giornale curdo”. Nonostante la legge che regola il giornalismo non dia alcuna responsabilità legale ai collaboratori, e che nessuno fra le centinaia di processi intentati ai giornali abbia mai incluso nessuno di questi simbolici collaboratori, per la prima volta dopo vent’anni, sei di loro sono accusati di “terrorismo”: Necmiye Alpay, linguista e attivista pacifista, Bilge Cantepe, fondatore del Partito Verde, Ragıp Zarakolu, editore e candidato al Premio Nobel per la Pace, Ayhan Bilgen, parlamentare, Filiz Koçali, giornalista femminista. Infatti, fra questi 150 “giornalisti”, ci sono molti scrittori, accademici, critici letterari, ma si trovano tutti imprigionati per il loro lavoro giornalistico.

La situazione della stampa è allarmante. Circa 200 giornali, agenzie d’informazione, radio e televisioni sono state chiuse su ordine del governo negli ultimi quattro mesi. Una “punizione collettiva” è stata inflitta anche a Cumhuriyet, il più vecchio giornale turco, baluardo della social democrazia. Come per Özgür Gündem, tutti i collaboratori e gli editorialisti, compresi un editorialista culturale e un vignettista!, sono stati arrestati con l’accusa di essere fiancheggiatori di due differenti organizzazioni terroristiche. Cumhuriyet ha recentemente pubblicato un coraggioso reportage sui rapporti fra la Turchia e l’Isis e ha duramente contestato il tremendo attacco a Charlie Hebdo. Molti giornalisti, me stessa inclusa, sono stati perseguitati per aver espresso solidarietà a Charlie Hebdo, alcuni sono stati condannati per questo.

Abbiamo bisogno del vostro sostegno, della vostra sensibilità e solidarietà. PEN, che alla base è un’organizzazione per la difesa degli scrittori, si batte attivamente per la libertà dei giornalisti. Quando la libertà di pensiero e di espressione sono in pericolo, non può esserci nessuna discriminazione.

“Liberté, Egalité, Fraternité”: sono concetti che dobbiamo alla Rivoluzione Francese! Più di due secoli sono passati, a dare significato, e realtà, a tali concetti, cresciuti attraverso la riflessione, il pensiero e lo sviluppo letterario, scaturiti da secoli di fatica, di lotte e di sangue… Concetti che devono essere universali, nella teoria e nella realtà, per chiunque, senza eccezioni.

Il mio sentimento è che la recente crisi in Europa, conseguente al problema dei rifugiati e degli attacchi terroristici, non è soltanto una questione politica ed economica. È una crisi esistenziale, che l’Europa potrà risolvere soltanto reinvestendo nelle nazioni che la compongono. Troppi segnali ci indicano che le democrazie liberali europee non possono più sentirsi sicure mentre l’incendio si propaga negli immediati dintorni. La “crisi democratica” in Turchia, a lungo sottostimata o ignorata per ragioni pragmatiche, il crescente rischio di una dittatura islamica e militare, avrà delle conseguenze serie. Nessuno può offrirsi il lusso di ignorare questa situazione, e soprattutto non noi giornalisti, scrittori, accademici, noi che dobbiamo le nostre esistenze alla libertà di pensiero e di espressione.
Vi ringrazio molto.

Cordiali saluti,

Aslı Erdoğan

Prigione di Bakırköy C-9

Turchia: chiesto l’ergastolo per la scrittrice Asli Erdogan

Tra 15 giorni sapremo se la scrittrice turca Asli Erdogan (non è parente del presidente) sarà condannata all’ergastolo insieme alla linguista Necmiye Alpay e ad altri sette giornalisti ed editori del quotidiano filo curdo Ozgur Gundem, considerato da Ankara la voce della propaganda del partito curdo dei lavoratori (Pkk). In carcere dal 20 agosto Asli è accusata di far parte del Pkk, e di avere utilizzato il quotidiano a fini sovversivi, pubblicando immagini e interviste ai terroristi, ponendo in essere propaganda a favore del terrorismo curdo con l’obiettivo di minare l’integrità e l’ordine economico, giuridico e sociale del Paese.

La scrittrice, in passato, ha lavorato come fisica al Cern ed è tornata in Turchia nel 1996 per dedicarsi ai suoi libri e al giornalismo. Dopo l’arresto aveva fatto giungere notizie terribili sulla sua detenzione.

“Mi trattano in un modo che lascerà danni permanenti sul mio corpo – si legge nella lettera pubblicata sul Daily Cumhuriyet -. Il mio pancreas e il mio sistema digestivo non funzionano come dovrebbero ma non mi viene data la medicina di cui ho bisogno. Sono diabetica e necessito di una nutrizione speciale, eppure qui posso mangiare solo yogurth. Soffro di asma e non mi viene concessa l’ora d’aria”.

In solidarietà con la scrittrice alla fine di settembre alcune librerie italiane hanno aderito all’iniziativa “Scrittura libera”, patrocinata dall’Associazione librai italiani, per leggere brani tratti dal suo solo libro tradotto in italiano due anni fa da Keller: Il mandarino meraviglioso.

Il 19 ottobre, al primo giorno della Fiera di Francoforte, il direttore degli Editori e dell’Associazione dei Librai tedeschi, Heinrich Riethmüller, aveva letto una lettera di Asli Erdogan, che gli era stata recapitata.

“Dietro pietre, cemento e filo spinato – come da un pozzo – vi chiamo: qui, nel mio paese, si lascia avvilire la coscienza con un’inimmaginabile brutalità. Si cerca di uccidere la verità, la coscienza viene calpestata con una brutalità incredibile” si leggeva nel testo.

Secondo l’ultima stima dell’osservatorio indipendente P24, sono 144 i giornalisti al momento in prigione in Turchia. Almeno 168 media sono poi stati chiusi dopo il tentato putsch. Tra questi, il quotidiano filo-curdo Ozgur Gundem.

(fonte)

«La paura e la democrazia diffida del potere»

(di Michele Ainis un pezzo che vale la pena leggere e ritagliare)

LE ISTITUZIONI sono come il corpo umano: per animarle, serve uno spirito che ci soffi dentro. Ma lo Zeitgeist, lo spiritello che governa il nostro tempo, ha il fiato grosso, l’alito cattivo. Succede, quando ti monta in gola la paura. Quando il presente ti sgomenta, il futuro ti spaventa. E quando gli altri, tutti gli altri, t’appaiono come una minaccia, un esercito invasore.

Da qui Brexit, Trump, nonché gli altri sconquassi che si profilano sul nostro orizzonte collettivo. Ma da qui inoltre una domanda, che investe i destini stessi della democrazia. Quali istituzioni nell’epoca dell’insicurezza? E c’è ancora spazio per libertà e diritti mentre prevale la paura?

Non che la democrazia sia una creatura ingenua, senza sospetti né timori. Al contrario: diffida degli uomini, e perciò diffida del potere. Sa che è inevitabile, giacché in ogni società c’è sempre stato chi governa e chi viene governato. Ma al tempo stesso sa che i governanti abuserebbero della propria autorità, se non avessero redini sul collo. L’uomo è un diavolo, non un santo. Sicché occorre una regola che imbrachi il potere, che gli tagli le unghie, che gli impedisca di farci troppo male.
La democrazia nacque così, nella Grecia di 25 secoli fa. Nacque con il sorteggio e con il voto popolare, con la rotazione delle cariche, con i limiti alla loro durata. E nel Settecento fu poi rinverdita dalla teoria di Montesquieu: «che il potere arresti il potere», altrimenti nessuno potrà mai dirsi libero. Come affermava, nel modo più solenne, l’articolo 16 della Déclaration, vergata dai rivoluzionari francesi nel 1789: «Ogni società nella quale la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione».

Insomma, la democrazia si fonda su una promessa di diritti. E i diritti, a loro volta, hanno una doppia vocazione. Sono indivisibili, nel senso che spettano a ciascun individuo, perché in caso contrario si trasformerebbero in altrettanti privilegi. Sono universali, nel senso che tendono a superare le frontiere, come mostrano le innumerevoli Carte dei diritti siglate in ambito internazionale. Da qui il tratto forse più essenziale dei sistemi democratici: l’accettazione dell’altro, l’apertura verso lo straniero. Secondo l’antico rituale greco della xenia, l’accoglienza tributata agli ospiti.

Ma adesso questa prospettiva viene revocata in dubbio, spesso rovesciata nel suo opposto. Le istituzioni modellate dai nuovi sentimenti di paura si ripiegano in se stesse, si rinchiudono in atteggiamenti puramente difensivi. Alzano muri, come in Ungheria e in Bulgaria. Erigono barriere alla circolazione delle persone e delle merci, come ha auspicato Donald Trump durante la sua campagna elettorale, rispetto all’immigrazione messicana e ai trattati commerciali con la Cina o con l’Europa. Sono nazionaliste, isolazioniste, xenofobe. Hanno in sospetto il pluralismo delle identità culturali e religiose. Odiano le procedure cui la democrazia affidava la tutela dei diritti, perché quando ti senti minacciato vuoi dal governo una reazione rapida, efficace. E vuoi un governo forte, senza troppi contrappesi. Come negli Usa: Trump ha dalla sua tutto il Congresso, non succedeva ai repubblicani dal 1928.

Tuttavia c’è un paradosso in questa nuova condizione. Perché la democrazia della paura si regge anch’essa su un’attesa di diritti, pur negando diritti agli stranieri. Dice, in sostanza: sono stati loro a toglierci il lavoro, la prosperità, la sicurezza. Dunque ricacciamoli indietro, respingiamoli al di là delle nostre frontiere, se necessario con le maniere spicce; dopo di che ci impadroniremo dei nostri vecchi diritti. Ma allora la domanda è un’altra: può esistere un’entità politica antidemocratica verso l’esterno, che si conservi democratica al suo interno? La storia non ci offre precedenti. Abbiamo conosciuto invece, e molte volte, l’esperienza inversa: per esempio nell’Atene del V secolo, dopo la sconfitta militare nella guerra del Peloponneso.

Ma dopotutto è la democrazia medesima a costituire un’eccezione, una scheggia della storia. A osservare la corsa dei millenni, i regimi teocratici e dispotici esprimono di gran lunga la regola, come la guerra rispetto al tempo di pace. Forse non si tratta che di questo, forse la regola sta riconquistando il suo primato sull’eccezione.

(La Repubblica, 11 novembre 2016)

Vincenzo De Luca: lo sceriffo, finito utile idiota

vincenzo-de-lucaPeggio di Ignazio Marino, Vincenzo De Luca sta riuscendo nell’impresa di agevolare il commissariamento costante di Renzi (dei governi e del suo partito): la cancellazione della classe dirigente del PD in Campania ventilata oggi dai vertici del PD è solo l’ultimo atto di una politica più tecnica dei tecnici dei tempi di Monti: commissari in ogni dove con la democrazia sospesa e, in più, i commissari sono spesso i migliori servitori del Presidente. Così l’Italia (e il PD) diventano in fretta il box dei giochi del bimbo Renzi a cui basta l’errore per potere mettere “in pausa” la democrazia. Oggi De Luca (con la frase del Presidente del Consiglio “governi se ne è capace”) comincia a sentire il tic tac che ha indolenzito Enrico Letta, Bersani, Ignazio Marino e qualche altro. La fine è già chiara, al massimo si gioca sulla durata. Doveva cambiare il mondo e invece e l’ennesimo utile idiota.

(continua qui)

Quelli che esportano il sesso in cambio della democrazia. E la chiamano pace.

Puoi trovare sinonimi della parola guerra ma dentro ci sono sempre tutte le sue stesse brutture:

53DA4DBF8CB9BB88B4E68AA8C68ASesso in cambio di cibo, telefonini, scarpe e profumi: secondo un rapporto choc dell’Onu, condotto dall’Oios, i servizi di investigazione interna del Palazzo di Vetro, i caschi blu hanno commesso «in modo abituale» abusi nei Paesi in cui sono stati schierati, pretendendo prestazioni sessuali in cambio di denaro o oggetti “lussuosi”. «Le prove emerse in due missioni di peacekeeping dimostrano che le richieste di prestazioni sessuali sono piuttosto comuni ma tenute sotto traccia», denuncia il documento, che è datato 15 maggio e di cui l’Associated Press è entrata in possesso. Le denunce di abusi sessuali sono 480 in un periodo compreso fra il 2008 e il 2013 e riguardano soprattutto le missioni nella Repubblica Democratica del Congo, in Liberia, Haiti, Sudan e Sud Sudan. Secondo il rapporto, inoltre, un terzo dei casi di sfruttamento e abusi coinvolge minori di 18 anni.

Ad Haiti, ad esempio, ben 231 persone – che sono state appositamente intervistate – hanno ammesso di aver avuto «relazioni sessuali» con il personale di peacekeeping in cambio di «gioielli, scarpe, vestiti, biancheria intima, profumi, cellulari, televisioni e, in alcuni casi, laptop». Chi cercava di sottrarsi al commercio veniva ricattato. A Monrovia un’indagine su 489 donne ha svelato che più di un quarto della popolazione femminile locale ha avuto scambi sessuali con i peacekeepers. Il documento punta il dito anche contro i civili che fanno parte delle missioni Onu: malgrado rappresentino solo il 17% del personale, risultano coinvolti nel 33% delle accuse. Il rapporto finale dovrebbe essere pubblicato lunedì e arriva a circa un mese dallo scandalo dei presunti abusi commessi dai soldati francesi sui minori nella Repubblica Centrafricana, accusati di aver stuprato anche bambini di nove anni.

(fonte)

Come una buona sentinella

 Gli intellettuali come sentinelle di un Paese: l’intuizione di porre le domande giuste. Una sana ossessione. E come scrive Roberto Gilodi, Grass ne era ottimo esempio:

Il ruolo di sentinella morale della nazione e di ermeneuta delle sue convulsioni nascoste – ruolo scomodo, non richiesto e disapprovato da molti –, lui lo ha svolto nella militanza politica attiva, schierandosi ad esempio a fianco di Willi Brandt nella campagna elettorale del 1969 che valse al candidato socialdemocratico l’elezione a cancelliere. Ma lo ha declinato soprattutto nella sua lunga attività letteraria a cominciare dal suo capolavoro giovanile, Il tamburo di latta, un romanzo in cui le atrocità della storia sono narrate dalla prospettiva straniante di un bambino che si rifiuta di crescere perché intuisce l’inganno di quel romanzo di formazione a cui i tedeschi hanno legato a partire dal Settecento e fino alla catastrofe novecentesca il loro modello di socializzazione.

Il resto è qui.