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Democrazia

Una domanda ingenua

Si può definire democratica una repubblica nella quale la suprema istituzione é eletta da un’assemblea scelta con una legge dichiarata incostituzionale e costituita da persone comandate da tre cittadini, due dei quali non eletti e il terzo condannato per reati comuni?

(fonte)

L’allarme di Chomsky

Chomsky“Le democrazie europee sono al collasso totale indipendentemente dal colore politico dei governi che si succedono al potere perché sono decise da banchieri e dirigenti non eletti che stanno seduti a Bruxelles. Questa rotta porta alla distruzione delle democrazie e le conseguenze sono le dittature.”

“Secondo uno studio della Oxfam, l’Ong umanitaria britannica, 85 persone nel mondo hanno la ricchezza posseduta da 3,5 miliardi di individui. Questo era l’obiettivo del neoliberismo.”

“Ciò che conta oggi è la quantità di ricchezza riversata nelle tasche dei banchieri per arricchirli. Quello che capita alla gente normale ha valore zero. Questo è accaduto anche negli Stati Uniti ma non in modo così spettacolare come in Europa. Il 70% della popolazione non ha nessun modo di incidere sulle politiche adottate dalle amministrazioni.

(Noam Chomsky, citazioni tratte dagli interventi al Festival delle Scienze all’Auditorium Parco della Musica di Roma)

La Ragion di Stato

Da leggere stasera Francesco Migliore sull’affare Mukhtar Ablyazov:

Una volta  Noberto Bobbio scrisse che “ veri o finti, reali o inventati, i complotti che appaiono sulla nostra scena quotidiana sono comunque la rivelazione di una democrazia malsana”. L’Italia è lo Stato con più misteri al mondo.  La cultura del complotto , delle trame oscure e degli intrighi di potere ha sempre affascinato la mente dell’italiano. Lo ammise lo stesso  ex-presidente della Repubblica Francesco Cossiga, scomparso il 17 agosto di tre anni fa.  Il Presidente Picconatore, dalle pagine del suo libro “La versione di K”,  rispondendo al politologo torinese , disse che effettivamente “ siamo sempre portati a cercare altre verità. Ma aspirare alla quadratura del cerchio fa si che spesso ombre riottose sfidino le leggi della percezione e affollino impazzite la scena fino a oscurarla del tutto”.

Tuttavia, nella vicenda più tragicomica delle spy storie europee , quella dell’affare Mukhtar Ablyazov  non c’è bisogno di nessun tipo di analisi dietrologica. Citando il giornalista de il fatto quotidiano Alessandro Robecchi, “la davantologia basta e avanza” . Non c’è nessuna trama di film di serie Z, nessun  intreccio, doppio o triplo che sia.  D’altronde è lo stesso Cossiga a spiegare che “ nonostante tutto questo Paese è sempre riuscito a evitare che la sua democrazia, per quanto malsana, si ammalasse del tutto”.  Purtroppo è quella insopportabile  “Ragione di stato” connessa a  quella disgraziata posizione geografica che ha condannato e condannerà sempre il nostro paese alla sudditanza e subalternità del dittatore/ potente di turno.

Quello che spesso viene scambiato per complotto, per trama oscura o , volgarmente, per dietrologia è la semplice storia del nostro paese.  La storia  “come il cauterio del chirurgo: brucia, ma risana” (Riccardo Bacchelli, Il mulino del Po, 1938/40) .

Oggi non si invidia più ma si disprezza.

Viviamo nell’età del disprezzo?
«Siamo passati dall’ammirazione per il potere all’invidia e alla conseguente frustrazione. Oggi non si invidia più ma si disprezza. La società si è divisa tra i molti che disprezzano e i pochi che sono disprezzati».

Chi sono i pochi?
«Sono le oligarchie che un tempo erano nascoste e oggi sono percepite come tali».

Ovvero gli inammissibili privilegi di cui ancora godono?
«Sono mondi — finanziari e politici — chiusi all’esterno e molto litigiosi al loro interno. Da qui ne consegue quello che per me è diventato il chiodo fisso: aprire il mondo dei piccoli numeri ai grandi numeri, immettere energie sociali nuove in questo mondo chiuso »

Gustavo Zagrebelsky, uno dei pochi intellettuali di questi nostri anni, intervistato da Antonio Gnoli.

Internet, la democrazia al chilo e le quirinarie

Non sopporto l’informazione al chilo, la cultura al chilo e negli ultimi giorni comincio a diventare intollerante di fronte a internet e democrazia vendute al chilo. Ne scrivevo giusto ieri qui di come sia semplicistico pensare ad una democrazia diretta direttamente dipendente alla rete in sostituzione di tutto il resto. Per carità, l’idea della rete come madre della democrazia è affascinante in un Paese come il nostro dove internet è ancora in piena fase pionieristica (dietro a Barbados e Panama, al 50° posto per economia digitale) ma l’alfabetizzazione all’analisi è ancora una chimera. Ieri sentivo qualcuno lamentarsi delle 55 cartelle di Fabrizio Barca nel suo documento per un buon Governo: non riusciamo ad avventurarci più in là del singolo click.

Per fare un altro esempio, il post di questo piccolo blog più letto di ieri (e scommetto che lo sarà anche di oggi) è questo e sono in molti ad avere commentato in facebook o su twitter semplicemente il titolo senza nemmeno avere aperto il link: la compulsione da click, appunto.

E anche sul presunto attacco hacker al blog di Beppe Grillo varrebbe la pena andare un po’ più a fondo. Federico Mello prova a ricostruire la vicenda con un po’ di logica e analisi, appunto:

Ma è proprio così? Qualcuno è volutamente entrato nel sistema della Casaleggio per boicottare questa prova di democrazia? Se fosse, sarebbe molto grave. Chi l’avrebbe fatto, per conto di chi? E non dovrebbero essere preoccupati, Grillo e i suoi, per questo boicottaggio? È come se il Pd avesse annullato le sue primarie dopo il furto di un gran numero di schede.

Ma la verità in questo caso è un’altra: non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Dnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».

Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, nè di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.

Dove è venuta fuori allora la storia degli hacker? Dalle parole di Grillo. E, indirettamente, da quelle di Messora. Perché? Bhè, la risposta non la sapremo mai. Ma l’ipotesi più probabile è che alcuni utenti abilitati al voto abbiamo potuto votare più volte per una difetto nel sistema costruito dalla Casaleggio. E, invece di ammettere l’errore, (un pessimo viatico per chi che nel suo statuto intende dare “al popolo della rete” la titolarità del governo), quando le cose non hanno funzionato, ecco subito gridare allo scandalo, all’attacco informatico.

Se vogliamo un approccio serio all’applicazione politica della rete non possiamo rinunciare ad una scolarizzazione seria e collettiva (democratica, appunto) sui suoi meccanismi e il Movimento 5 Stelle dovrebbe (o potrebbe) essere l’avamposto culturale. In fretta. Come dice Leonardo nel suo post di oggi:

Io credo che i militanti del M5S che chiedono insistentemente, da mesi, una piattaforma realmente democratica a Grillo e Casaleggio dovrebbero riflettere seriamente su quello che sta succedendo. Se la tanto promessa piattaforma non è mai pronta, forse non si tratta soltanto di un problema di tempo, come a volte avete letto su beppegrillo.it. Casaleggio avrà anche tanti impegni, ma quello che vi ha promesso, tecnicamente, non ve lo può dare. Il fatto che succeda di nuovo un incidente del genere, dopo i disguidi durante le parlamentarie, la dice lunga. Noi non sappiamo esattamente quanti siano gli iscritti al MoVimento al 31 dicembre 2012 (quelli che avevano diritto di votare), ma Casaleggio sì, lui lo sapeva. Ha tutti i dati necessari a capire quanta gente avrebbe votato ieri e a prevedere i possibili picchi di traffico. Ma non ci riesce. O non ne ha i mezzi o, probabilmente, non ne è capace. Ma non ha la minima importanza, così come non ne ha avuta per le parlamentarie. Non si tratta di eleggere veri rappresentanti: si tratta di vendere l’idea del movimento che decide in rete, con tutto il bello e tutto il brutto della rete, compresi i malvagi hacker inquinatori della volontà popolare. Grillo e Casaleggio non hanno la minima idea del futuro che stanno vendendo: è un pacco, intanto lo piazzano, se poi dentro c’è qualcosa che funziona tanto meglio, ma non dipende da loro. Loro fanno il marketing, loro piazzano il pacco.

Viene in mente la teoria di Steve Jobs su come i venditori rovinino le grandi aziende, quando vanno al potere al posto degli ingegneri. Il M5S non è una grande azienda, è un movimento politico, dentro un pacco. Volete che funzioni? Scartate via il pacco, licenziate i professionisti dei fiocchetti. Sono stati molto bravi, ma da qui in poi possono soltanto rovinare tutto.

Perché altrimenti non c’è differenza: stiamo semplicemente al Drive-In e il paraberlusconismo 2.0.

Nell’uovo

Sarebbe bello avere trovato un Governo presieduto da un cittadino eletto. ELETTO. Sarebbe una buona lezione di democrazia, no?

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La subpolitica

Pieter_Bruegel_d._Ä._010Più che di antipolitica, ci troviamo spesso di fronte a forme nuove di pratica politica in un contesto di democrazia mutato, proprio perché non più mediato dai partiti. Smetterei di usare il termine in modo spregiativo, perché rischiamo di non capire nulla rispetto ai processi in atto. Subpolitica è invece un concetto introdotto da Ulrich Beck, non per sminuire il valore di quest’altra politica, ma per sottolinearne il carattere basilare. [..]

Diciamocelo sinceramente, se vogliamo andare al di là degli aspetti della cronaca e della statistica, dobbiamo ammettere che la crisi dei partiti si inserisce in una più generale crisi dell’Occidente, che è poi crisi del nostro stile di vita. Crisi epocale che attraversa tutti i livelli, arrivando persino a lambire persino la Chiesa. Una crisi che – mi e vi chiedo – non ha forse a che fare con questo cedimento strutturale dei meccanismi di produzione di senso condiviso? Si sono inceppati i meccanismi di produzione di un noi,  nel passaggio dalla solitudine di un “io” a alla condivisione di un “noi”. Un’apocalisse del senso che rende vuoti tutti i troni, da quelli secolari fino a quelli spirituali. I luoghi si sono dissolti nei flussi. È un horror vacui, quello che ci coglie. Proprio perché si avverte che la rottura di questi meccanismi di produzione di un senso condiviso ricade in termini di una conflittualità molecolare. Non ci sono più conflitti che organizzano il campo, ma una diffusa competitività aggressiva che rende inoperanti tutti i meccanismi di decisione collettiva e ha colpito, in particolare, i partiti. Ma non solo i partiti. Non è diverso per i sindacati, non è diverso per le imprese e non è diverso per la Chiesa. 

(Marco Revelli, Democrazia senza partiti, Communitas, 24/03/13).

 

La qualità del dibattito pubblico

PSICOLOGIA-DELLE-FOLLEMi ostino a credere che la qualità del dibattito politico sia la misura della febbre della democrazia. Continuo a credere che ci sia una bellezza che è l’unica strada per arrivare all’etica nella politica come nelle professioni e nello stare insieme di questi tempi così bui e antisociali. Se dovessi scegliere un “corso” per una “scuola di politica” (che sarebbe nella forma dell’idea ateniese della scuola di cittadinanza) credo che l’uso etico della parola sarebbe una delle materie obbligatorie. E così oggi sarebbe obbligatorio avere dei contenuti di cui parlare prima di presentare qualsiasi lista e qualsiasi nome agli elettori e sarebbe pressante l’impegno di coltivare una chiave di lettura collettiva dei processi di decisione e gestione dei partiti, dei movimenti fino alla cosa pubblica. Una cosa seria, insomma, con la professionalità che sta nel senso più antico del termine: professare i propri valori in ciò che si fa.

Riprendendo la riflessione di Tommaso Pincio nella bella intervista di Carmine Saviano che gli chiede del dibattito politico come “fantascienza” e risponde:

Magari lo fosse. La fantascienza è quasi sempre una metafora del tempo presente, una narrazione che pone domande e impone scelte, costringendoci a stabilire in quale misura il mondo immaginato corrisponde alla realtà in cui viviamo. La realtà mi pare invece sempre più somigliante a una società dell’avanspettacolo. Pensi alla gag patetica e antiquata del politico settuagenario che pulisce col fazzoletto la poltrona su cui altri si sono seduti. Possiamo rivendicare una diversità, è vero; possiamo sostenere di essere altra cosa rispetto a un comico che non fa più ridere.

E in effetti è proprio così: siamo altro, siamo il pubblico che lancia pomodori, l’al di qua del teatrino senza il quale il teatrino non esisterebbe. Il vero male sono però gli infiltrati, i dissimulatori, i membri della compagnia di giro che scendono in platea spacciandosi per spettatori. E sono proprio loro a urlare di più, a lanciare i pomodori più grossi.

Le parole sono importanti. Le parole sono politica.

Cosa c’entra il Montismo con la democrazia

Uno stralcio del post di Luca Sofri che condivido e ritengo importante per misurare la temperatura (bassissima) della democrazia in Italia e quindi dell’affezione alla politica.

Un’ultima cosa interessante è che questo rapporto di estraneità al consenso/dissenso Monti lo ha condotto anche quotidianamente nei confronti degli italiani, forse per indole caratteriale prima ancora per strategia: ha fatto di tutto per escludere un rapporto con i cittadini o gli elettori, limitando al massimo gli incontri o le iniziative di rapporto personale con problemi o comunità, e usando linguaggi e approcci di minima ricerca del consenso o limitazione del dissenso. Ha fatto come se non gliene fregasse niente di ciascuno di noi e come se piuttosto fosse stato chiamato a sistemare un’entità astratta chiamata “Italia”: e come se le sue scelte non dipendessero da quello che ne pensavano gli italiani. Al massimo rispondeva ai partiti e a Napolitano.

Tutto questo, oltre che dare a Monti il vantaggio di cui sopra, ha dato a tutti noi un grande alibi deresponsabilizzante: è stato come trovarsi improvvisamente costretti a fidarsi e non avere titolo a criticare, come con certi medici o altri professionisti a cui ci affidiamo, un po’ perché costretti e un po’ perché affidarsi è un sollievo. O come quando hai la febbre, stordito, e sai che devi guarire: ma lo stordimento ha qualcosa di riposante.
Adesso finirà, e l’eventuale governo Monti che dovesse tornare (io non ci scommetterei una lira, detto per inciso) non consentirà più questa sottrazione di responsabilità a nessuno: sarà frutto del voto, del meccanismo democratico, della richiesta di consenso, delle promesse, delle trattative. La democrazia all’opera. Non una cosa per cui Monti appare tagliato (e chissà se lo siamo noi).

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