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giornalismo

Chissà che non mi passi

28163532_incontro-con-giulio-cavalli-attore-lombardo-sotto-scorta-4Di solito mi capita così, più o meno proprio in questo momento qui che sto per scrivere proprio per non perderlo: mi assale il dubbio di non avere usato abbastanza bene le parole. Mi prende a fine giornata, dopo che comunque di parole ne ho masticate e scritte tantissime ma mi succede anche dopo un viaggio, lungo, con parole in sottofondo insieme al rumore della strada. Oggi pensavo durante la riunione di redazione al libro bellissimo di Benedetta Tobagi (Come mi batte forte il tuo cuore. Storia di mio padre: lo trovate qui) che mi ha lasciato, tra le altre cose, il gusto antico di rispettare la parola nella responsabilità del giornalismo esercitato con il cuore onesto e mentre ci osservavo seduti per scandagliare le storie che vale la pena raccontare, ho creduto di avere colto, un secondo soltanto e poi via, il rito nella scelta della storia giusta, presa dal lato più poetico, inaspettato, ligi al pensiero e alla verità. Che poi pensiero e verità sono come due fratelli: solo accusandosi a vicenda riescono a coltivare un amore perseverante.

Insomma questa sera pensavo che, anche se ho imparato a controllarla per mestiere, spero davvero che non mi passi la paura di non essere stato all’altezza delle parole che ho scritto. Perché è una delle mie fisime a cui sono più affezionato. E guai a me se guarissi.

Ecco. L’ho scritto. Preso.

Il solito, grazie: indignati e disinformati

rsf2015-300x200Poche righe sui giornali per segnalare la classifica di RSF. Molti commenti indignati, grande silenzio sull’origine dei dati

Molti giornali hanno mostrato sorpresa per il fatto che il 12 febbraio scorso Reporters sans Frontières abbia retrocesso l’Italia di 24 posti in un anno, collocandola al 73.mo posto su 180 paesi classificati in base alla libertà di stampa.

La notizia è stata liquidata sui giornali italiani con notizie di poche righe, come un fatto inspiegabile e curioso. Nei giorni successivi alcuni hanno commentato il fatto con toni più o meno indignati. Solo qualcuno ha letto per intero il comunicato di Reporter Sans Frontières e ha cercato di spiegare il perché, di fare notare che quest’anno, per la prima volta RSF ha basato il suo giudizio su un monitoraggio più puntuale e preciso dei fatti che accadono in Italia nel modo dell’informazione: per la prima volta si è basato sul monitoraggio di Ossigeno per l’Informazione, che da anni rivela un preoccupante aumento delle querele pretestuose e intimidatorie, in particolare di quelle promosse dai politici.

Sabato 15 febbraio il vicedirettore del Corriere della sera, Pierluigi Battista, senza prendere in considerazione i dati citati,  ha riservato alla classifica di RSF un commento sarcastico che si conclude con la frase: “Non credeteci”. A Battista hanno replicato il giornalista Mimmo Candito,a nome di Reporters Sans Frontières Italia, e l’avv. Caterina Malavenda, uno dei massimi esperti di diritto dell’informazione.

Mimmo Candito ha sottolineato in un articolo che RSF descrive una difficoltà reale dell’informazione italiana difficilmente contestabile, essendo basata sui fatti narrati da Ossigeno per l’Informazione, che sono stati attentamente verificati.

Caterina Malavenda ha scritto che “quale che sia l’opinione sulla attendibilità della graduatoria”, lo scivolone dell’Italia “non è comunque una bella notizia” e fa però, ancora meno piacere sapere che tale regressione viene attribuita in parte alle minacce nei confronti dei giornalisti, provenienti il più delle volte dalla criminalità organizzata e seguite spesso da aggressioni fisiche o da incendi dolosi; ed in parte al numero elevato di processi per diffamazione ingiustificati, che possono dissuadere dal diffondere notizie vere, ma scomode, anche senza il ricorso ad amputazioni o censure. “Eppure, basterebbe intervenire sulle norme che oggi non prevedono alcuna reale conseguenza per chi, senza averne motivo, fa causa – il che spiega anche il proliferare di iniziative infondate nei confronti dei giornalisti a mero scopo dissuasivo”.

Di analogo tenore il commento di Alberto Statera (la Repubblica, 23 febbraio 2015) che ha opposto a Battista proprio i dati citati da RSF, sia pure senza dire che i dati sono di Ossigeno.

Più obiettivi e documentati sono stati il commento di Roberto Ciccarelli “Quando il carcere è perfino meglio delle super multe” sul Manifesto del 13 febbraio 2015 e di Newsweek.com, 12 febbraio 2015: Italian Mafia Intimidating Journalists With Worst Levels of Violence Since 90s

(fonte)

Io, vi prego, anche se non siete giornalisti

Di prendervi il tempo di ascoltare la riunione della Commissione plurilaterale al Dipartimento Informazione ed Editoria di Palazzo Chigi presieduta dal Sottosegretario on. Luca Lotti in cui si decide “l’equo compenso” per i giornalisti. E magari di fare una riflessione su una professione che diventa sempre di più volontariato:

Ecologia nella cronaca

Anche per la mia esperienza personali non posso non sottolineare due punti del post di Alessandro:

2. Sto pensando di costituirmi parte civile contro tutte quelle testate che parlando del genitore biologico di Giuseppe Bossetti lo definiscono “il vero padre” (tipo La Stampa, pagina 5). Il vero padre, se c’è stato, e buono o pessimo che sia stato, è quello che ha cresciuto Giuseppe dalla nascita all’età adulta, come sa qualunque genitore adottivo: non chi si è fatto una trombata quarant’anni fa poi è sparito. Qui siamo ai basici, eh.

3. E no, Bossetti non è un “figlio illegittimo”, come hanno detto tivù, giornali, siti e radio: i figli non sono mai illegittimi, né per la legge (vedere diritto di famiglia) né per chi conosce l’italiano. Semmai del famoso autista di autobus il signor Bossetti è figlio biologico: e se proprio non vi viene, va bene anche naturale. Ma illegittimo, proprio no, grazie, e pure da parecchi anni.

L’Unità e il “metodo Boffo”

Non sono d’accordo con quanto detto da Piero Pelù dal palco del concerto del 1 maggio. Non mi piace la superficialità del modo e dei contenuti e pur amando la musica di Pelù e nutrendo poca simpatia per Matteo Renzi trovo che  ci sia bisogno di risposte politiche e serie.

Però ciò che mi lascia più basito è la reazione de L’Unità che applica una controffensiva che non ha nulla del giornalismo o di politico. Prima parla (con toni tristi) di una disputa Renzi-Pelù sull’estate fiorentina (e la notizia per carità ci sarebbe ma la narrazione è quello che è) e poi si supera raccontando di un incontro tra Pelù e Gelli (inserito tra l’altro in un vhs dei Litfiba da anni) come se fosse uno scoop nascosto e soprattutto dando per scontata un’ammirazione tra i due.

Peccato che nel numero odierno si siano dimenticati di dare spiegazioni ai lettori su questa lettera che gli stessi giornalisti de L’Unità avevano scritto lanciando accuse ben più urgenti dello scufrugliamento nel passato di un rocker. Povero Gramsci.

Caro collega, non ti chiedo l’eroismo, ma solo un po’ più di coraggio e di passione. (di A. Zanotelli)

Qualsiasi dominio dipende dai dominati. Anche quello dei media: lettori e giornalisti possono ogni giorno scegliere, possono ribellarsi.  Un appello di Alex Zanotelli ai giornalisti: “Mettete qualche ‘sassolino’ nell’ingranaggio dell’informazione, facendo passare qualche notizia in più sui drammi dei più poveri, soprattutto del sud del mondo”.  

Alex-ZanotelliCaro/a giornalista, pace e bene! So quanto sia difficile fare oggi il giornalista in Italia, dentro un sistema in cui i media sono nelle mani dei potentati economico-finanziari. Per questo non ti scrivo per chiederti l’eroismo, anche se in Italia abbiamo avuto tanti giornalisti ,che hanno pagato con il sangue, il coraggio di dire la verità al potere, sia esso politico, economico-finanziario o mafioso. Ti scrivo solo per chiederti di mettere qualche ‘sassolino’ nell’ingranaggio dell’informazione, facendo passare qualche notizia in più sui drammi dei più poveri, soprattutto del sud del mondo.   Ti confesso che mi fa tanto male vedere come l’informazione in questo paese sia così provinciale, così centrata sui nostri problemi, così persa nei meandri dei pettegolezzi della nostra vita politica e sociale. Come missionario sono profondamente indignato per il pochissimo spazio dato alle gravi crisi che attanagliano il sud del mondo, in particolare dell’Africa, il continente più vicino a noi. (E solo grazie alle testate missionarie, che gira qualche notizia in più e non nel grande circuito dei media). Non riesco a capire come, per esempio, si parli così poco delle tragedie in atto in quel continente.   Penso all’ attuale guerra civile in Sud Sudan, con migliaia di morti e centinaia di migliaia di rifugiati. Penso alla drammatica situazione della Repubblica Centrafricana, dove si è innescata un’altra spaventosa guerra fratricida. Penso ai bombardamenti in atto nel Sudan contro il popolo Nuba, da parte dell’esercito di Khartoum. Penso a tutta la zona saheliana che vive una stagione di grave instabilità. Siamo di fronte a immensi drammi umani, a massacri di popolazioni inermi, a milioni di rifugiati che ora premono alle porte dell’Europa. E tutto questo in un incredibile silenzio stampa. Ricevo ogni giorno appelli di missionari che chiedono di far conoscere i drammi dei loro popoli . Ma è quasi impossibile far passare tutto questo nei media nazionali. Siamo di fronte alla ‘globalizzazione dell’indifferenza’, come ha detto papa Francesco a Lampedusa. Caro giornalista, mi appello a te, alla tua umanità, perché tu possa darci una mano a far conoscere il grido di dolore di tanti uomini, donne e bambini. Te lo chiedo perché porto, da una vita, nel mia carne, la loro sofferenza. Ma anche perché come giornalista, ho pagato caro l’aver detto la verità al potere. Caro giornalista, vorrei che anche tu potessi aiutarci, invitando i tuoi colleghi a fare altrettanto. Se tanti giornalisti della carta stampata, del web, della radio e della televisione dessero solo un piccolo contributo, avremmo un miracolo informatico. Caro collega, non ti chiedo l’eroismo, ma solo un po’ più di coraggio e di passione.

Riaccendere la Mehari di Giancarlo Siani

Il 23 settembre del 1985 viene ucciso Giancarlo Siani, giornalista che si occupava di camorra, dicono le cronache.

Sbagliato.

Giancarlo Siani era un precario che poneva domande non convenzionali in un mondo come quello del giornalismo (ma non solo, perché ora è il mondo del lavoro, della politica, dell’ingegno applicato a qualsiasi professione) dove la precarietà è più pericolosa di una minaccia. O forse è la minaccia più pericolosa.

Mettere in fila i fatti e suggerire un ordine logico di lettura è la differenza tra il cronista passivo e l’osservatore (f)attivo: Giancarlo era un osservatore, un allenatore di logica e di consecutio dei fatti. Se non si coglie la differenza forse è inutile anche parlarne.

A Napoli in questi giorni si è deciso di riaccendere l’auto di Giancarlo (la Citroen Mehari) per ripercorrere il viaggio di Siani ma soprattutto per farsi una promessa: insistere con il dovere della curiosità e della logica e, se possibile, farla diventare una moda proprio oggi che va così poco di moda come allora.

Io, noi, ci vediamo per Giancarlo martedì 15 ottobre alle 18 al P.A.N.

Tutti gli eventi sono qui. Sperando che sia un buon viaggio soprattutto per noi.

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