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Su EXPO e Raffaele Cantone

Poiché mi pare che sia bastato l’annuncio per rendere tutti felici vale la pena leggere un interessante articolo di Luca Beltrami Gadola sul Decreto legge 24 giugno 2014 n. 90 che è stato sventolato da più parti come il “salva Expo”:

Di Expo si parla all’articolo 30 (Unità operativa speciale per Expo 2015), la cui lettura, che consiglio a tutti al colto e all’inclita come esempio di fumo puro, indica in sintesi quel che si deve fare: verificare in via preventiva, controllare i corretti adempimenti in materia di trasparenza, si assegnano poteri ispettivi, si dà accesso a banche dati “già attribuiti alla soppressa Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (1) “, eccetera eccetera. Insomma si tratta semplicemente di aver soppresso un’autorità, quella di vigilanza sui contratti pubblici, che implicitamente si accusa di incapacità, e di avene trasferito i poteri all’ANAC, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione. Di nome in nome. Posso aver preso un abbaglio, e me ne scuserei con i lettori, ma del potere di “commissariare” singoli cantieri di imprese colte con le mani nel sacco della corruzione non ne vedo traccia. Forse si pensa di ricorrere ai famosi “patti d’integrità” sottoscritti dalle imprese in fase contrattuale, dove per altro è prevista sì la rescissione del contratto ma nessuna forma di commissariamento.

Processo Infinito: ora è Cassazione e le condanne definitive.

Mandalari-il-notiziario_internaIl processo Infinito si conclude con le condanne confermate dalla Cassazione. Sembra passata un’era ma sono pochi anni che la Lombardia si svegliava di soprassalto strozzata dagli arresti e improvvisamente non poteva più fingere di non volere vedere la ‘ndrangheta presente nei gangli più diversi dell’economia regionale. Vale la pena segnalare che Vincenzo Mandalari colleziona una delle pene più alte nonostante ancora pochi mesi fa qualcuno dicesse che fosse solo un “pezzo piccolo” del sistema.  Ha scritto un ottimo riepilogo Lettera43:

Confermate, dalla VI Sezione Penale della Cassazione, pressoché quasi tutte le condanne ai 92 imputati del processo ‘Infinito’.
È stato il più importante processo alla ‘Ndrangheta condotto dalla procura di Milano a carico delle ‘ndrine radicatesi in Lombardia. Solo per Rocco Coluccio, un biologo, dovrà essere rifatto il processo. Per gli altri imputati solo piccoli ritocchi di pena e di qualche imputazione.
Confermato dunque il verdetto emesso della Corte d’Appello di Milano.
174 INDAGATI. Tutti gli imputati hanno scelto il rito abbreviato. Il primo grado si è concluso nel novembre 2011 davanti al gup di Milano Roberto Arnaldi.
L’inchiesta era partita nel 2003, ma gli arresti risalgono al 13 luglio 2010 quando in carcere finirono 174 indagati. Le intercettazioni a loro carico erano schiaccianti, per questo è stato scelto l’abbreviato che consente lo sconto di un terzo della pena.
NDRINE NEGLI APPALTI EXPO. Tra le accuse oltre all’associazione mafiosa, anche le estorsioni, la detenzione di armi, le pressioni per ottenere appalti. Due società acquisite dalle ‘ndrine lombarde finite sotto processo avevano acquisito appalti per l’Expo del 2015 nel settore del movimento terra. Riconosciuti i risarcimenti per le parti civili che si sono costituite nel processo tra le quali la presidenza del Consiglio dei ministri, la Regione Lombardia e la Federazione delle associazioni di racket.
ALCUNI HANNO GIÀ SCONTATO LA CONDANNA. Il verdetto di appello era stato emesso dalla Corte di Milano il 23 aprile 2013. Alcuni dei componenti di una ‘ndrina, addirittura, si riunivano al sicuro dei locali di un’associazione intitolata ai giudici Falcone e Borsellino. La maggior parte degli imputati, a quanto si è appreso, è detenuta o ha, in alcuni casi, già finito di scontare la condanna.
«La struttura del verdetto emesso in Appello dai giudici di Milano a carico degli imputati del processo ‘Infinito’ agli affiliati alle ‘ndrine lombarde della ‘Ndrangheta ha retto in maniera massiccia davanti al giudizio della Cassazione» ha detto il Sostituto procuratore generale della suprema corte Aldo Policastro alla lettura del verdetto emesso dalla VI Sezione Penale. Il pg Policastro aveva chiesto la sostanziale conferma delle condanne.
IN LOMBARDIA CORPO AUTONOMO. «Con la conferma sostanziale della sentenza di Appello si conferma la struttura della ‘ndrangheta lombarda come un corpo autonomo rispetto alle ‘ndrine di origine che continuano a rimanere radicate in Calabria con le quali il contatto è comunque costante». Il Pg Policastro, rispetto alla decisione prevalentemente confermativa della VI Sezione penale, aveva chiesto un maggior numero di annullamenti con rinvio limitati a singoli reati.
Sotto processo sono finite 15 ‘ndrine di Milano e dell’hinterland milanese. In Appello la condanna più alta era stata inflitta ad Alessandro Manno ritenuto il responsabile della ‘locale’ di Pioltello, le altre condanne più severe sono per Cosimo Barranca capo della ‘locale’ di Milano, 12 anni e per Vincenzo Mandalari capo della ‘locale’ di Bollate (12 anni e 8 mesi).

Scemi noi che sognavamo un EXPO mafia (e politica) free

I nomi, i partiti, destra e sinistra che non esistono e si fanno corporazione. Complimenti a tutti. Ecco cosa è successo, in breve (via FQ):

Un caveau in Svizzera per custodire le mazzette, una onlus come ufficio operazioni costantemente “bonificata” per evitare di essere intercettati, funzioni pubbliche “vendute” e “impegnate” anche per il futuro, e l’ultima una bustarella consegnata e “fotografata” dagli inquirenti il 24 aprile scorso. C’è questo, ma anche altro nell’inchiesta della Procura di Milano su Expo che fa pensare al ritorno di Tangentopoli: le tangenti, i colletti bianchi e i politici.

C’è una sequela impressionante di nomi di politici nazionali chiamati in causa in intercettazioni ed evocati per decidere nomine o spartire appalti. Sì perché Gianstefano Frigerio, ex deputato Fi, l’ex senatore Luigi Grillo e il compagno G, Primo Greganti, ancora in buoni rapporti con i vertici del Pd, continuavano a frequentare i palazzi del potere e i loro inquilini. Come sempre, quando si tratta di inchieste di livello, compare il nome del leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Ma questa volta viene citato dagli indagati anche l’ex segretario del Pd Pierlugi Bersani.

Da Berlusconi a Bersani, i politici evocati dagli indagati.L’ex premier per esempio è stato sollecitato, secondo quanto emerge dalle intercettazioni, dall’ex parlamentare Gianstefano Frigerio (arrestato) anche con l’invio di bigliettini ad Arcore, per raccomandare a lui e al governatore della Lombardia Roberto Maroni il direttore pianificazione acquisiti di Expo Angelo Paris (arrestato oggi, ndr) come successore di Antonio Rognoni (arrestato il 20 marzo scorso, ndr) al vertice della società Infrastrutture Lombarde. In una intercettazione del 28 marzo 2014 due indagati scrive il gip di Milano “confermano la circostanza per la quale Frigerio ha effettuato, a dire degli stessi sodali, un ulteriore intervento presso Maroni e presso Berlusconi per raccomandare la nomina di Paris presso Infrastrutture Lombarde spa”. Uno dei due interlocutori, Giovanni Rodighiero, ritenuto dagli investigatori “stretto collaboratore di Frigerio”, sostiene di avere visto Frigerio “andare ad Arcore…sai che io non dico tutte le settimane ma il lunedì” e il venerdì c’ho sempre la lettera da portare…solo che adesso bisogna stare molto più abbottonati, ti spiego anche il perché…c’è il cerchio magico da Berlusconi”. Quanto all’invio di messaggi scritti da parte di Frigerio attraverso Rodighiero ad esponenti politici di vertice per perorare la posizione di Paris “si evidenziano alcuni dati oggettivi – spiega il gip – a riscontro del contenuto delle intercettazioni”. In particolare, il giudice evidenzia che i cellulari “in oggetto hanno effettivamente agganciato ripetitori ubicati nel Comune di Arcore”.

Viene invece tirato in ballo il nome di Bersani per un’altra nomina quella di Giuseppe Nucci, rimasto fuori dalle nomine dello scorso settembre di Sogine (la società di Stato responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi). Sergio Cattozzo, ex segretario regionale Udc della Liguria, dice aver parlato con Primo Greganti: “Anche lui (Graganti, ntd) era convinto che si potesse ancora correre su Nucci presidente perché Pierluigi Bersani ha detto ‘io sono d’accordissimo’”. Una frase de relato, naturalemente. Il nome dell’ex leader democratico emerge anche in un’altra intercettazione del 7 settembre 2012 e cuore della conversazione è la “Città della Salute“, nuovo polo sanitario che dovrà accorpare l’Istituto dei tumori e il Besta, affare da 40 milioni di euro. È Frigerio che parla con Rognoni: “… Ho sentito un po’ a Roma Bersani e poi gli altri, sulla Città della Salute, tu devi cominciare a fare delle riflessioni, poi senza responsabilità tue, mi dici come far partire un colosso macello perché è una cosa grossa quindi…”, la conversazione prosegue con la affermazione che Palladio si tirerà dentro Maltauro (imprenditore arrestato), “perché è piccolo, poi Bersani mi a ha detto ‘a sinistra che fate?’ bisogna che senta senta se Rognoni mi dice Manutencoop per me va bene…”. I due si accordano poi per “costruire un concorrente valido”. Secondo Frigerio quindi l’ex segretario del Pd avrebbe chiesto se nelle gare c’era anche per le cooperative.

Tra i tanti nomi della politica viene anche fuori il nome del ministro dei Trasporti e Infrastutture: in una intercettazione ambientale del 29 aprile 2013 Frigerio, “asserisce anche che deve mandare un biglietto a Maurizio Lupi (dal 27 aprile 2013 responsabile del ministero), con il nome di Antonio (Rognoni ) per suggerirglielo come presidente Anas”. In un altro colloquio del maggio 2013 con Sergio Cattozzo (arrestato), Frigerio “sottolinea ancora – scrive il gip – che anche Maurizio Lupi è ‘amico di quelli di Manutencoop’ e che questi, ‘insieme ai ciellini‘, sarebbero già intervenuti per fargli fare da capocordata nel progetto di Città della Salute”. Frigerio, si legge ancora, “sostiene, inoltre, di conoscere bene i legami che ci sono tra Manutencoop e i ‘ciellini’ tanto che negli ultimi anni con Formigoni, a dire dell’indagato, Manutencoop avrebbe già ottenuto importanti lavori”.

Grillo e Greganti funzione di contatti con la politica. Sono Grillo e Greganti ad avere secondo il gip avevano “la istituzionale’ funzione di coordinare, coltivare e sfruttare i rispettivi collegamenti e contatti nel mondo politico per strumentalizzarli ai fini del sodalizio”. Il giudice sottolinea anche “la condotta di” Grillo “addirittura tenuta anche antecedentemente alla cessazione nel marzo 2013 delle sue funzioni di Parlamentare-Senarore delle Repubblica italiana”. Mentre di Frigerio e Greganti il magistrato ricorda anche il curriculum. Per il primo “in particolare, è stato condannato con due sentenze passate in giudicato oltre che per ricettazione anche per una corruzione, per due concussioni e per cinque fattispecie in materia di violazione delle norme sul finanziamento ai partiti politici. Il detto indagato ha altresì agito, commettendo i reati per i quali sono innanzi accertati i gravi indizi di colpevolezza, nonostante l’intervenuto affidamento in prova per i reati contro la pubblica amministrazione di cui alle condanne innanzi indicate e nonostante la conseguente riabilitazione concessa, con riferimento a tutti i reati, dal Tribunale di Sorveglianza di Milano con ordinanza del 17 aprile 2008″. Greganti “invece, è stato condannato con tre sentenze passate in giudicato per dieci fattispecie in materia tributaria e per due fattispecie in materia di violazione delle norme sul finanziamento ai partiti politici. Il detto indagato ha inoltre agito, commettendo i reati per i quali sono accertati i gravi indizi di colpevolezza, nonostante aver beneficiato per ben due volte della sospensione condizionale della pena”.

La (prevista) brutta fine di Massimo Ponzoni

L’ennesimo pezzo di formigonismo e di brutta Lombardia che ha impunemente governato per anni:

formigoni_ponzoniEra stato mister 11mila voti, rimasto potente nonostante la perdita della carica di assessore e con l’aspirazione a ottenere una “delega per i lavori dell’Expo 2015″. Poi per Massimo Ponzoni, ex assessore regionale della Lombardia ed ex segretario dell’ufficio di presidenza in era Formigoni, era arrivata un’ordinanza di custodia cautelare. Era il gennaio del 2012 e oggi a poco più di due anni dalla sua consegna agli uomini della Guardia di Finanza è arrivata la sentenza di primo grado: una condanna a dieci anni e sei mesi di reclusione messo dai giudici del Tribunale di Monza.

A Ponzoni venivano contestati la corruzione, la concussione e bancarotta fraudolenta nell’ambito del ‘crac Pellicano’, la società immobiliare con sede a Desio di cui l’allora assessore era socio, dichiarata fallita dal tribunale di Monza per un ammanco di circa 600mila euro. L’inchiesta era però stata stralciata  da un’indagine della Dda di Milano sulla ‘ndrangheta. Di cui Ponzoni che al telefono si vantava di aver potuto fare a meno – diversamente dalle elezioni del 2005 – sostenendo in una conversazione intercettata: “Mi sono tolto di mezzo la grande soddisfazione di arrivare primo… secondo sono arrivato con Carugo e terzo mi sono tolto i voti dicerti personaggi affiliati a certi clan“. Per il difensore di Ponzoni, l’avvocato Luca Ricci si tratta di “una sentenza ingiusta”.

Con l’ex assessore sono stati poi condannati dai giudici monzesi a pene che vanno dai due anni e mezzo a cinque anni e mezzo, tutti e quattro i coimputati accusati a vario titolo di corruzione, concussione e bancarotta fraudolenta.

Ponzoni era stato arrestato il 17 gennaio del 20012 quando si era consegnato alla Guardia di Finanza perché su di lui pendeva un’ordinanza di custodia cautelare. Il gip ha firmato aveva firmato l’arresto anche per l‘imprenditore Filippo Duzioni, per l’ ex sindaco di Giussano Franco Riva e l’ex assessore provinciale e tecnico del Comune di Desio Rosario Perri (per questi erano stati disposti i domiciliari).  Per il giudice esisteva ”un radicato e diffuso sistema di illegalità che presenta, come dato comune, l’asservimento della funzione pubblica all’ interesse privato”; un ”contesto affaristico” non solo fatto, secondo la ricostruzione di presunte mazzette,”voti comprati”, appoggi per scalate all’interno delle amministrazioni locali in cambio di interventi sui piani di governo del territorio, ma anche legato con un filo alla ‘ndrangheta e che ha portato a iscrivere nel registro degli indagati, accanto a Ponzoni, oltre venti persone, tra suoi parenti, imprenditori, commercialisti e pubblici ufficiali.

Secondo il gip c’era anche  ”la sua dedizione al consumo di droga”, la ”cocaina”, a cui si aggiungono i ”costi del lusso”, a spingerlo ”procurarsi liquidità”. Bisogno questo, secondo il giudice, che l’avrebbe portato a commettere ”fatti corruttivi”, e per la quale sarebbero state ”strumentali (…) anche le condotte distrattive poste in essere nella gestione delle società” poi fallite o a lui riconducibili. Società svuotate, per l’accusa, per comprare voti o finanziare la sue campagne elettorali. E poi per pagare ”noleggi di barche” e anche ”viaggi esotici” al governatore della Lombardia Roberto Formigoni fino ad arrivare agli oltre 13 mila euro pagati da il Pellicano alla pasticceria Cova di via Montenapoleone, a Milano, o ai 62.400 euro versati a un ‘centro studi arredamenti” della Brianza.

La sicurezza sul lavoro

Che, certo, sarebbe folle sottovalutare nei cantieri di EXPO davanti agli occhi del mondo. E invece no:

Per fortuna ad oggi nessun operaio ha perso la vita. Ma che la situazione sia critica lo dimostra quanto riporta il sito dell’Asl di Milano che nella sezione dedicata all’esposizione parla di “numerose e reiterate manchevolezze riscontrate nella organizzazione della sicurezza dei lavori”, nonché della “ripetuta constatazione di gravi situazioni di rischio di caduta e di seppellimento negli scavi, di assenza di parapetti a protezione del rischio di caduta e infilzamento su ferri sporgenti contestate nei nostri verbali, così come l’utilizzo di apparecchi di sollevamento (gru) privi dei dovuti collaudi di sicurezza e così pure le gravi lacune presenti nei piani di emergenza interni”. Valutazioni che nelle 105 ispezioni eseguite dall’Asl fino al 31 dicembre 2013 sul sito Expo e sulle opere essenziali connesse hanno portato a contestare ben 98 non conformità alle 71 imprese controllate. Le cose non vanno meglio nei cantieri delle nuove linee del metrò 4 e 5 e del prolungamento della 1, la cui realizzazione è legata all’esposizione: al 28 febbraio 2014 nei 415 accessi ispettivi, per un totale di 116 imprese controllate, le non conformità sono state 242.

Mafia al nord: vittime o collusi?

L’ultima evoluzione ha permesso alla ‘ndrangheta lombarda di creare una propria banca clandestina a Seveso, in Brianza. Capace, grazie a collusioni con insospettabili e casse sempre gonfie di contanti derivante dall’usura, di concedere finanziamenti e prestiti. Tanto che il gip di Milano Simone Luerti scrive nella sua ordinanza di custodia cautelare contro l’organizzazione di Giuseppe Pensabene, 46 anni affiliato alla ‘ndrangheta fin dagli anni 80 e capo della locale di Desio, che ci troviamo di fronte a una “nuova mafia“. Dove non è indispensabile né l’affiliazione, né le pistole, né la gerarchia. L’operazione della squadra mobile, guidata da Alessandro Giuliano, e della Direzione distrettuale antimafia di Milano traccia tre diversi identikit di imprenditori disposti a organizzare affari con la ‘ndrangheta. Profili diversi, che allo stesso tempo hanno tra loro punti in comune: tengono sempre la bocca chiusa e non hanno mai un ripensamento. Perché l’obiettivo ultimo è sempre lo stesso: fare soldi. Torna a sottolineare la gravità di questo aspetto, il procuratore aggiunto Ilda Boccassini: “Ancora una volta, abbiamo trovato imprenditori usurati e malmenati che hanno preferito non denunciare”. Nelle 700 pagine dell’ordinanza che ha portato a 34 ordinanze di custodia cautelare spiccano tre nomi: Antonio RosatiFabrizio Politi e Fausto Giordano.

L’ex presidente del Varese Calcio non denuncia
Rosati è un importante costruttore di Varese e vice presidente esecutivo del Genoa che entra in affari con il gruppo di Pensabene – scrive il giudice – “per compiere alcune speculazioni edilizie”. L’ex presidente del Varese Calcio, candidato in una lista civica che alle elezioni regionali del 2013 in Lombardia appoggiò Roberto Maroni, viene avvicinato nel 2012 da Pensabene. E alla fine si trova costretto a cedere alcuni appartamenti al gruppo, per far fronte a un debito contratto da un altro imprenditore con gli uomini della locale. Rosati, che non risulta coinvolto nelle indagini dell’antimafia milanese, sostiene di “non aver mai avuto niente a che fare con persone legate alla criminalità organizzata” e che “non avrebbe difficoltà a rivolgersi all’Autorità giudiziaria”. Cosa che, secondo gli inquirenti, non è avvenuta nonostante le ripetute minacce e intimidazioni.

Politi, “il nuovo Briatore”, in affari con i boss
C’è poi chi accoglie come manna dal cielo i soldi della ‘ndrangheta, convinto che il sodalizio possa mettere in sesto i conti dissestati delle proprie aziende. E’ il caso dell’imprenditore navale Fabrizio Politi, livornese di 41 anni. Il proprietario della Fashion Yachts, ditta di imbarcazioni di lusso, torna al centro delle cronache questa volta non per la vita mondana o le relazioni con la ex Spice Girl Geri Halliwell e la modella Naomi Campbell (guarda il video), ma per i suoi rapporti con il presunto boss Pensabene, che gli costano l’arresto. “Il nuovo Briatore”, come lo definivano qualche anno fa le riviste scandalistiche, sa benissimo con chi si sta per mettere in affari. Il suo socio Emanuele Sangiovanni, finito anche lui in manette, durante le conversazioni intercettate non usa giri di parole: “Questi non hanno studiato ad Harvard”. Lo stesso concetto viene ribadito sempre da Sangiovanni quando Politi, per sdebitarsi, vuole invitare il capo della locale di Desio a vedere una partita dell’Inter a San Siro: “Meglio non farsi vedere con quelli”. Segno – ragiona il giudice – che Politi conosce bene lo spessore criminale dei suoi soci. Ma poco importa. I due imprenditori, tra il 2011 e il 2012, spalancano le porte della loro società Italianavi srl ai finanziamenti della ‘ndrangheta. Hanno bisogno di soldi, e alla “nuova mafia” di certo non mancano capitali da investire. Anche perché – scrive il gip – Pensabene ha sempre considerato la nautica un settore ideale per ripulire il denaro. Politi e Sangiovanni approfittano anche della banca clandestina messa su dal boss per prestiti. Ma i due riescono a fatica a mantenere gli impegni presi e allora pensano di cedere il proprio cantiere navale di Viareggio al gruppo.

Il sodalizio culmina però – secondo gli investigatori – con le minacce all’imprenditore viaregginoFrancesco Guidetti, nome tra i più prestigiosi nella nautica versiliese. A maggio del 2012 Politi, per l’accusa, costringe l’imprenditore ad accettare le condizioni imposte da Pensabene – che intanto è deciso a mettere le mani sulla società Italianavi – e dal suo gruppo criminale. Perché Guidetti, che vanta un credito di circa 240mila euro nei confronti della società Italianavi Srl di Sangiovanni e Politi, deve essere convinto a “ridurre le sue pretese creditorie” e a sborsare quattrini per “finanziare in parte il completamento della costruzione di alcune imbarcazioni di lusso, affare gestito dalla stessa Italianavi, e nel quale era coinvolta direttamente, come finanziatrice, anche l’associazione mafiosa capeggiata da Pensabene”.

Da vittima a imprenditore organico alla ‘ndrangheta
Se nelle pagine dell’ordinanza Politi appare ancora come un imprenditore borderline – propenso a concludere affari e a commettere eventuali reati, ma comunque esterno all’organizzazione -, c’è un’altra la figura che viene partorita dalla “nuova mafia”. Quella della vittima che, una volta saldati i debiti con l’organizzazione, compie una metamorfosi e diventa organica alla ‘ndrangheta. Fausto Giordano, attivo nell’edilizia, nel gennaio 2012 subisce un’evoluzione: dopo aver estinto  l debito con Pensabene entra a far parte del gruppo. Anche se per lui quello della mafia non è un terreno sconosciuto. Gli investigatori della Mobile, già prima dell’arresto per associazione mafiosa dei giorni scorsi, lo ritengono vicino alla famiglia di Domenico Pio, detto “Mimmo” o “Mico”, esponente di spicco della locale di Desio arrestato nell’operazione “Infinito”, che nel 2010 inflisse un duro colpo alle ‘ndrine del nord e lasciò un vuoto di potere pronto a essere subito riempito anche da Pensabene. Giordano nel 2012 è asfissiato dai debiti e le casse della sua azienda sono ridotte all’osso. Riceve un prestito da 200 mila euro dalla locale di Desio. Reinveste e riesce a tirare un sospiro di sollievo. Poi riesce a estinguere il debito con la banca di Pensabene cedendo due appartamenti. E’ dopo aver saldato i conti che l’imprenditore svizzero diventa organico al gruppo: finanzia le collette per i detenuti ‘ndranghetisti in carcere, riscuote i debiti per conto dell’organizzazione – che deve agire con prudenza perché sorvegliato speciale -, e procaccia nuovi clienti da buttare in pasto alla banca della ‘ndrangheta e ai suoi interessi usurai. Giordano mette al servizio dell’organizzazione le sue società di copertura e indossa le vesti del mediatore per convincere altri imprenditori a saldare i debiti. E’ su di lui che vengono puntati gli occhi della squadra mobile di Milano nel 2010. Ed è seguendo le sue tracce che l’antimafia milanese immortala l’ultimo balzo in avanti della ‘ndrangheta in Lombardia.

(Un bel pezzo di Alessandro Bertolini)

La “banca” del nord, serva della ‘ndrangheta

L’analisi di Piero Colaprico:

E’ una retata anti-ndrangheta che sembra avere aspetti incredibili. La squadra Mobile di Milano ha chiuso – queste le prime indiscrezioni – una specie di ‘banca autonoma’ della ‘ndrangheta. Era a Seveso (in provincia di Monza e Brianza) ed era gestita da un’organizzazione capace sia di riciclare con facilità il denaro di imprenditori che volevano evadere il fisco, sia di prestare soldi e di reinvestire in aziende sane. Gli ordini di cattura riguardano 34 persone. Il perno sul quale ruota l’indagine è Giuseppe Pensabene, ex soldato della famiglia Imerti nella guerra di ‘ndrangheta, diventato però al Nord un usuraio-ragioniere, capace di tenere a freno le armi e usare la testa. In un’intercettazione viene definito “come la banca d’Italia” ed era anche il reggente della Locale di Desio, il clan in larga parte sgominato dall’inchiesta Infinito

Imprenditori collusi. Coinvolto, e non è la prima volta, il mondo delle attività produttive: già un anno fa Boccassini aveva lanciato un avvertimento in questo senso. Una decina sarebbero, infatti, gli imprenditori arrestati, proprio con l’accusa di riciclaggio o di concorso in associazione mafiosa. Come sinora non hanno parlato loro, così nessuna denuncia è stata presentata da altri imprenditori o commercianti vittime di usura: alcuni si erano messi al servizio del clan. Pochi i dettagli che trapelano dal blitz, ma sembra anche che, per la prima volta in maniera così vasta, ci siano sequestri preventivi di beni mobili e immobili del valore di alcune decine di milioni di euro, sia in Lombardia che in Calabria, ai danni delle persone finite nell’inchiesta firmata dai magistrati D’Amico e Ilda Boccassini.

Il meccanismo della frode al fisco. A servirsi della sua banca clandestina con addentellati anche all’estero (in Svizzera e nella Repubblica di San Marino) erano numerosi imprenditori incensurati. Alcuni si sono rivolti al clan con questo schema: emettevano assegni alle sue società e, in cambio di una percentuale del 5 per cento, riavevano indietro il denaro contante. Facevano, cioè, figurare spese corpose, ma inesistenti nella realtà, per frodare il fisco. Lo stesso sistema, in piccolo, della frode sulla compravendita dei diritti televisivi che ha visto condannare Silvio Berlusconi. Nessuna denuncia è stata presentata da altri imprenditori o commercianti vittime di usura: alcuni si erano messi al servizio del clan.

“Nuova mafia”. Il gip Simone Luerti, dopo aver letto le intercettazioni, parla di “nuova mafia”. I reati contestati, che vanno dall’associazione mafiosa, al concorso esterno in associazione mafiosa, dal riciclaggio all’esercizio abusivo del credito, dall’usura alle estorsioni, dal contrabbando all’interposizione fittizia di società e di beni immobili, mostrano sì la violenza di qualche pestaggio, e raccontano di armi nascoste, ma spiegano soprattutto come l’omicidio sia visto ormai come l’estrema e dannosa soluzione. “Non è che manca chi deve andare a sparare, non è che il problema è solamente sparare, le conseguenze sono dopo”, dice Pensabene, che spesso viene chiamato per mettere pace tra clan, tra vari estorsori, tra chi si contende il potere della mala.

Gli uffici postali. Se i luoghi di ritrovo del clan sono un bar di Bovisio Masciago, o un locale a Seveso che loro stessi chiamano “il Tugurio” (è qui che sono state piazzate le microspie, è qui che si vedono i criminali contare i soldi), bisogna però considerare che i boss mantenevano un alto tenore. Ma, tra gli aspetti inediti di questo blitz, c’è il rapporto dei clan con le Poste. In queste ore stanno finendo nei guai alcuni dirigenti di uffici postali della Brianza: in barba a qualsiasi normativa, consegnavano agli imprenditori-usurai-banchieri anche centomila euro alla volta, in contanti. Il vorticoso giro di denaro ha lasciato numerose tracce, si parla di un impiegato corrotto (ma non è stato identificato) e almeno due sono i dirigenti messi agli arresti domiciliari.

La Spal. Secondo le prime indiscrezioni, nel “tugurio” si è presentato, a nome della Spal, società calcistica, Giambortolo Pozzi, direttore generale, chiedendo soldi e parlando di un prestito di 100mila euro già concesso: era il 2011, la Spal di lì a poco sarebbe stata ceduta.

Peggio di Tangentopoli

Parla il Procuratore della Corte dei Conti lombarda, Antonio Caruso. Siamo ai margini dell’inaugurazione dell’anno giudiziario.

Secondo il procuratore la lotta alla corruzione “presuppone a monte una lotta alla mala-amministrazione”, anche perché  la “buona amministrazione” invece “è impermeabile e rende difficile l’infiltrazione della criminalita’”

Caruso ha sottolineato che la procura della Corte dei Conti “si sta impegnando molto nella lotta alla corruzione”, che viene considerata “il cuore” dell’attività” e “non perché è di moda”, ma perché ormai “ha raggiunto tutti i gangli della pubblica amministrazione”. Insomma “è odioso fare raffronti con 20 anni fa e Mani Pulite, ma oggi la corruzione è liquida, diffusa ovunque e difficile da recuperare”. Il procuratore ha poi fatto riferimento all’istruttoria aperta sul Comune di Sedriano, sciolto lo scorso ottobre per infiltrazioni mafiose, spiegando che si sta indagando su “una zona grigia di rapporti tra criminalita’ organizzata, politici e funzionari della pubblica amministrazione”.

L’ex assessore Zambetti va a processo

zambetti_manifesto-anteprima-600x529-781792Processo per Domenico Zambetti, l’ex assessore regionale della Lombardia accusato di aver ricevuto voti dalla ‘ndrangheta. Il gup di Milano Andrea Ghinetti ha rinviato a giudizio l’ex politico con delega alla casa della giunta guidata da Roberto Formigoni e altre 8 persone nell’ambito delle indagini sull’infiltrazione della ‘ndrangheta in Lombardia. Il processo partirà il prossimo 8 maggio davanti alla prima corte d’assise.
Tra i rinviati a giudizio ci sono Eugenio Costantino, il presunto boss ritenuto dagli inquirenti uno dei principali referenti dell’ex assessore, l’ex sindaco di Sedriano, il comune dell’hinterland milanese sciolto per mafia, Alfredo Celeste, il chirurgo Marco Silvio Scalambra e Ambrogio Crespi, il fratello di Luigi, l’ex sondaggista di Silvio Berlusconi.

Il giudice ha inoltre condannato con rito abbreviato 12 imputati a pene che vanno dai 14 anni e 8 mesi ai 2 anni e 8 mesi di carcere. Inoltre ha accolto la richiesta di patteggiamento di un altro imputato a 2 anni e 8 mesi di reclusione, e ha assolto una persona e ha stralciato alcune posizioni dichiarandosi incompetente e trasmettendo gli atti al tribunale di Cremona.

I reati contestati a vario titolo sono associazione per delinquere di stampo mafiosoestorsione esequestro di persona. Zambetti è accusato di voto di scambio con i boss.  L’assessore avrebbe pagato 50 euro a voto i “pacchetti” di preferenze offerti dalla criminalità organizzata calabrese nella regione del Nord. Alle elezioni regionali del 2010, Zambetti aveva conquistato oltre 11mila consensi, risultando così tra i più votati. Ma per ottenere il risultato si sarebbe rivolto a ‘portavoce’ dei clan calabresi, pagandogli in varie rate circa 200mila euro.