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Che figurone Bobo Maroni in Catalogna

roberto_maroniUna nota di agenzia (ANSA) che rende lo spessore di Roberto Maroni e della Lega Nord all’estero. E che comunque dà grande lustro a EXPO, eh:

(ANSA) – MADRID, 16 GEN – ‘Una visita scomoda’: cosi’ titola oggi il quotidiano catalano La Vanguardia in un’analisi del direttore aggiunto, Eric Juliana, fra i maggiori conoscitori della realta’ italiana, della visita odierna a Barcellona del presidente della Lombardia e numero due della Lega Nord, Roberto Maroni. Invitato dalla Camera di Commercio italiana di Barcellona, Maroni presenta l’Expo di Milano in un incontro convocato al Museo Nazionale d’Arte della Catalogna (Mnac). “La Lega Nord ha un grandissimo interesse a identificarsi con la Catalogna – scrive Juliana – e le autorita’ catalane hanno pochissima voglia di apparire accanto a un movimento politico che chiama ‘orangotango’, la ministra di integrazione della Repubblica italiana, Cecyle Kyenge, nata in Congo”. L’articolo prosegue con l’elenco delle profonde differenze fra i due movimenti a favore della sovranita’. “Il catalanismo, con tutte le sue ramificazioni, complessita’ e gineprai, e’ una corrente politica e culturale con oltre cento anni di storia, europeista, democratizzatrice e tollerante”, rileva Juliana. “La Lega Nord ancora non ha compiuto 25 anni e ha dovuto inventarsi un passato medievale, dato che l’unificazione d’Italia nel 1861 fu volonta’ e impero delle regioni industriali del nord. La Lega, poi, oscilla continuamente fra la protesta fiscale, la xenofobia e l’attacco frontale all’Europa di Bruxelles”, aggiunge. Nel definire Maroni “il volto istituzionale della Lega Nord”, l’articolista passa in rivista la storia recente del partito di Bossi, gli attacchi alla ‘Roma ladrona’, “l’accordo strategico con Berlusconi chiave per l’egemonia del centrodestra nel nord d’Italia”, l’inchiesta giudiziaria che “due anni fa ha rivelato oscuri maneggi nelle finanze della Lega”. Per rilevare che il partito “si trova in ore basse e ha bisogno di nuovi riferimenti”. Per cui “mentre Salvini lavora alla connessione con il Fronte Nazionale francese, Maroni cerca il marchio catalano”. E ricorda come negli anni Novanta Jordi Pujol, lo storico leader di Convergencia i Union e “buon conoscitore della storia d’Italia”, rifiuto’ di ricevere Bossi, “cosa di cui e’ andato sempre orgoglioso”. (ANSA).

(Grazie a Chiara per la segnalazione)

Il boss della Lombardia è un aiuto gommista

MANETTEAbita a Buccinasco in via Lecco e lavora dal gommista in via Idiomi affidato dal tribunale ai servizi sociali e quindi con metà stipendio pagato con soldi pubblici, per dire. Non è indagato (per ora) ma Rocco Barbaro è l’uomo da cui partire per leggere la nuova geografia della ‘ndrangheta in Lombardia. Dopo Carmelo Novella (ucciso nel 2008 in un bar di San Vittore Olona) e successivamente Vincenzo Zappia (coinvolto nell’inchiesta Infinito) oggi Rocco Barbaro detto u Sparitu nato a Platì il 30 giugno 1965 potrebbe essere il nuovo reggente lombardo. Rocco ha un curriculum criminale di tutto rispetto: latitante per anni (arrestato poi nel 2003 per traffico di droga) è uscito 2 anni fa dal carcere di Piacenza per tornare nella “sua” Buccinasco e assumere i gradi del capo per eredità famigliare: Rocco Barbaro, infatti, è il figlio di Francesco Barbaro Ciccio u Castanu, classe 1927, uno dei personaggi più in vista delle ‘ndirne da Platì, città  in cui è tornato il 5 febbraio dell’anno scorso con obbligo di soggiorno . Il fratello di Rocco invece, Giuseppe Barbaro è uno degli autori del primo sequestro di persona a Milano  (Giuseppe Ferrarini, il 9 luglio 1975) ed è da sempre vicino a Domenico Papalia (il fratello del potente Rocco). Ad ascoltare le parole intercettate ad Agostino Catanzariti con il compare Michele Grillo (entrambi arrestati nei giorni scorsi nell’operazione “Platino”) sembra che Rocco Barbaro abbia ottenuto le stigmate del reggente lombardo più per nobiltà parentali che una vera e propria decisione comune (“Lui è capo di tutti i capi (…) di quelli che fanno parte di queste parti” dice Cataranziti) anche se lo stesso Grillo, e sicuramente non solo lui, sembra non accettare nomine per eredità (“Capo mio non lo è! Non esiste, per me è un semplice picciotto”).

In Lombardia la ‘ndrangheta si riorganizza affidandosi al sangue e alla tradizione (come storicamente ha sempre fatto dopo gli arresti) e la geografia comincia ad assestarsi e noi non possiamo che seguirla con attenzione anche perché insieme a quelli che ci dicono che la mafia non esiste cominciano a spuntare i cretini che ci vorrebbero raccontare la ‘ndrangheta lombarda è stata decapitata.

Arresti per mafia ed estorsione. A Milano.

Esponenti ritenuti vicini al clan Mancuso accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso. I carabinieri stanno eseguendo arresti e perquisizioni in Lombardia e nel Sud Italia a seguito di una serie di ordinanze di custodia cautelare emesse su richiesta della Dda di Milano.

L’indagine, denominata “Grilloparlante 2″, secondo quanto si è appreso, fa specifico riferimento al fenomeno “dell’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-imprenditoriale locale” della Lombardia, argomento al centro mercoledì, a Milano, della Commissione Antimafia. Nasce dall’attività investigativa conclusa nell’ottobre del 2012, quando furono arrestati 23 soggetti ritenuti appartenenti o collegati alla criminalità organizzata di origine calabrese operante in Lombardia vicini alla coscaMancuso, attiva stabilmente in Milano e provincia.

Gli arresti seguono i 23 dell’ottobre 2012, quando le indagini dell’Antimafia si concentrarono sulle relazioni tra la cosca calabrese dei Mancuso e l’assessore alla casa del Pirellone, Zambetti. Dopo la politica e i voti di scambio, tocca oggi al settore economico, con estorsioni a commercianti e imprenditori

Inchiesta Pdl. Lombardia, Formigoni il Celeste inossidabile

Le inchieste giudiziarie e l’arrivo di Maroni alla guida del Pirellone non hanno intaccato il potere di Formigoni in Lombardia. Tra ombre mafiose e lobby ciellina. E adesso il neosenatore Pdl si prepara a sostituire Berlusconi

Qualche giorno fa è stato l’illustre ospite di un curioso meeting tenutosi a Barletta dal titolo inquietante “I cercatori della verità”: Roberto Formigoni, meglio di un’araba fenice qualsiasi, sta rinascendo sotto traccia in tutta la sua formidabile potenza gelatinosa, ritessendo i fili che sembravano logori e invece oggi si rivelano ancora più saldi e ambiziosi. Qualcuno, sbagliando, l’aveva dato per politicamente finito subito dopo la caduta del quasi ventennio di governo in Lombardia travolto dall’ennesimo scandalo sulla sanità e soprattutto dai voti mafiosi acquistati dal membro della sua giunta Domenico Zambetti, assessore alla Casa. Eppure anche i più sprovveduti non possono notare quanto il “Celeste” abbia sempre resistito agli attacchi politici (pochi, sfilacciati e deboli) e giudiziari con una perseveranza ancora oggi sottovalutata: dallo scandalo dell’inchiesta “Oil for food” alla vergogna dell’emissione dei “Pirelloni Bond”, che nessuno ricorda e che hanno lasciato debiti fino al 2032 per Regione Lombardia, all’arresto per tangenti nel 2007 del suo assessore xenofobo Pier Gianni Prosperini soprannominato “il boss” nei corridoi della Regione, passando per le mazzette di Lady Abelli, moglie del fido onorevole pidiellino Giancarlo Abelli “faraone” della sanità lombarda, poi con l’arresto del ciellino re delle bonifiche Giuseppe Grossi fino agli scandali che hanno travolto prima la Fondazione Maugeri dell’ospedale pavese e poi il San Raffaele fiore all’occhiello della sanità lombarda. Un elenco strabordante e diversificato (tralasciando i suoi diversi uomini segnalati “vicino” alla ’ndrangheta lombarda) che avrebbe messo in ginocchio chiunque. Chiunque ma non Formigoni.

Il resto dell’articolo è disponibile su LEFT in edicola da sabato, con l’Unità, e tutta la settimana.

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Il pentito Bonaventura: “Giulio Cavalli doveva tacere: la politica lombarda sosteneva la ‘Ndrangheta”

Ecco l’articolo uscito oggi su Fanpage.it:

“Dietro i piani di per mettere a tacere per sempre Giulio Cavalli – rivela l’ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura – c’è anche una parte di politica collusa e ambienti istituzionali. Quando venni avvicinato dai De Stefano, loro mi dissero: “Questa qui è anche la volontà di amici nostri politici”.

Dietro la ‘Ndrangheta, la politica. Luigi Bonaventura, ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura che nell’intervista rilasciata a Fanpage due settimane fa ha rivelato i piani della criminalità organizzata per uccidere l’attore e scrittore Giulio Cavalli, questa volta aggiunge qualcosa in più. Alza il tiro. Di fronte al silenzio delle istituzioni, lui che ha portato all’arresto di oltre 130 membri della più importante cosca di Crotone nel corso dell’operazione Heracles coordinata dal procuratore Pierpaolo Bruni della Dda di Catanzaro, pronuncia la parola “politica”. Accanto a politica, Bonaventura aggiunge un dettaglio: “lombarda”.

Proprio così: “Dietro i piani di per mettere a tacere per sempre Giulio Cavalli  – rivela a Fanpage.it – c’è anche una parte di politica collusa e ambienti istituzionali, nel senso che le azioni erano fortemente volute anche da qualche politico, nello specifico lombardo. Quando venni avvicinato dai De Stefano, loro mi dissero: “Questa qui è anche la volontà di amici nostri politici”. Qualcuno, spiega il collaboratore di giustizia, fa parte anche della politica nazionale. Personaggi pesanti, insomma. E perché dava fastidio, Giulio Cavalli? “Perché parlare di ‘Ndrangheta, nel 2011, in Lombardia era tabù. Era considerato uno ‘scassaminchia’. Oggi è nota la sua presenza al Nord”. Sull’area politica, il partito o i partiti dietro queste “volontà” Bonaventura si ferma: “Su questa domanda preferisco non rispondere perché la mia posizione non è molto sicura. Preferisco riferire ai magistrati”.

Su queste scottanti rivelazioni, però, nessuno ancora ha bussato alla sua porta. E il collaboratore di giustizia da sette anni, giudicato altamente attendibile e per questo collaboratore di nove procura, la Dna e una procura straniera, e tuttavia senza scorta da sempre, è qui che usa un termine particolare: “scioccato”. Da cosa è scioccato? “Dal fatto che nessuno sia venuto a raccogliere queste informazioni che sto rivelando – risponde – nessuno mi ha sentito su questa vicenda, dovrebbe essere il minimo ascoltarmi, mettere sotto protezione me e le informazioni. Sembra che mi stiano lasciando qua, aspettando cosa? Che io muoia e con me le informazioni? Oppure che venga spinto a ritrattare?”.

E poi, preoccupazione per Giulio Cavalli: “Potrebbero togliergli la scorta – dice – Ma Giulio è un patrimonio da proteggere. Se ci fosse attenzione da parte della politica, se ci fosse qualcuno che alzasse la voce insieme ad associazioni dell’antimafia sociale, insieme un risultato si potrebbe raggiungere”.

Infine, l’appello alle istituzioni, fino ad ora silenti: “Mi rivolgo ad Alfano: si impegni a fare qualcosa per assicurare la giusta protezione a Giulio Cavalli e me. Mi rivolgo al premier Letta, non sottovaluti questa situazione. Non vorrei essere spavaldo né arrogante – aggiunge – Ma a questo punto dico: se Bonaventura è attendibile che si mettesse in protezione, se non lo è che si dichiarasse subito la sua inattendibilità  e venga escluso dal programma di protezione”.

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Ligresti, eh

Svolta clamorosa nell’inchiesta su Fonsai: questa mattina è finita agli arresti l’intera famiglia Ligresti: Salvatore, ai domiciliari, e i tre figli Giulia, Jonella e Paolo. Con loro sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza di Torino su richiesta della procura di Torino anche gli ex amministratori delegati di Fonsai, Fausto Marchionni ed Emanuele Erbetta e l’ex vicepresidente Antonio Talarico. Le ipotesi sono di falso in bilancio aggravato per grave nocumento al mercato e manipolazione del mercato. Alle 11 si terrà una conferenza stampa degli inquirenti per spiegare l’operazione. Per i componenti della famiglia Ligresti e per le altre persone arrestate il reato contestato è quello di false comunicazioni sociali.

Adesso sarebbe bello ascoltare con attenzione la decennale classe dirigente milanese e lombarda che ha fatto da zerbino ad una famiglia che in una democrazia sana avrebbe meritato ben altro atteggiamento: almeno una sana diffidenza piuttosto che un collaborazionismo sospetto. No?

Consumo di suolo e di buonsenso, bipartisan, in Lombardia

Paiono proprio Qui, Quo, Qua, ma bisogna segnarsi i nomi: Raffaele Straniero (PD), Mauro Piazza (Pdl) e Antonello Formenti (Lega). Tutti convinti che il già demente secondo anello di tangenziali che sta sbancando il territorio attorno a Milano sia solo l’inizio della trionfale futura saturazione a colpi di mattoni di quanto resta fra i margini dell’area metropolitana e le pendici delle Prealpi. Poi forse lasceranno il campo ai paladini dei trafori trans-resegonici, ma per adesso tengono il campo coi loro sedicenti progetti faccia di bronzo. Che ideona, prolungare il braccio di collegamento della Tangenziale Est con la Pedemontana, oggi attestato sulla linea della vecchia SS36 fino allo sbocco dell’Adda dal lago, a Olginate, ovvero già ampiamente in vista delle montagne. Poi si tratterà solo di continuare nella medesima logica, gettando il cuore degli altri oltre l’ostacolo, e via verso l’Europa in un tunnel di sciocchezze alla leggera!

Come se già non bastasse il ramo di tangenziale esistente che si prolunga da Vimercate, ad alimentare la dispersione insediativa, proprio nell’area in cui anni fa si provava ad arginare il consumo di suolo con la cosiddetta Dorsale Verde, riflesso sbiadito della greenbelt metropolitana meridionale milanese. Lì si sono aggrappati tutti i soliti appetiti delle amministrazioni locali per il nuovo complesso chicchessia, che ci porterà prosperità e benessere eccetera. E invece serve solo a soffocare quel po’ di respiro momentaneamente arrivato con la nuova arteria. Ma niente paura, ci sono Qui, Quo, Qua a proporre il nuovo ramo dell’autostrada urbana, perché ormai di città compatta e continua si tratta, dal core metropolitano a Lecco, nonostante i palpiti localisti e ruralisti di chi va a caccia di voti a destra, e anche a sinistra a quanto pare.

Lo scrive (tutto da condividere) Fabrizio Bottini dopo che il Consiglio Regionale ha approvato ordine del giorno al Piano regionale di Sviluppo.

Nando ci mette il dito

In questo gran parlare di mafie, antimafia, Lombardia, nord e ‘ndrangheta esce un articolo coraggioso (sì, coraggioso) di Nando Dalla Chiesa sui giudici e l’antimafia al nord. Alzare il grado di discussione prendendosi la responsabilità di sollevare osservazioni sulle interpretazioni del 416 bis  e le sue diverse emersioni in questo quadro evoluto (o forse, involuto) lombardo: Nando dice quello che in molti hanno pensato ma non hanno voluto dire. Alcuni sviluppi giudiziari “su” in Lombardia indicano un “federalismo del 416 bis” che chiede attenzione e discussione.

Ci sono procure e direzioni distrettuali antimafia che funzionano bene, e alle quali dobbiamo essere grati per avere tutelato la convivenza civile rimediando agli oceani di ignavia della politica e delle classi dirigenti.

Ma poi, quando si cerca di seguire lo svolgimento dei processi, quando si mette bene la lente di ingrandimento sul lavoro di piemme e giudici di vario ordine e grado, si compie la sgradevole scoperta. Anche il potere giudiziario dà la sua robusta mano a diffondere l’idea che in fondo al nord la mafia non ci sia.

Sono ormai molte le occasioni in cui si è costretti a constatare che per applicare il 416 bis (ossia per imputare il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso) la magistratura del nord richiede un tasso di mafiosità superiore, a volte molto superiore, a quello sufficiente per applicarlo al sud.

Sembra quasi che per essere considerati mafiosi in pianura padana o in Liguria si debba risultare affiliati a tutti gli effetti a un clan con tanto di rito di iniziazione, si debba appartenere a famiglie considerate mafiose da generazioni e si debba già essere stati condannati per mafia in altri processi, possibilmente in Calabria o in Sicilia.

Da qui le assoluzioni incredibili, la rinuncia aprioristica a contestare l’associazione mafiosa (sono “solo” trafficanti o usurai), la costruzione di una giurisprudenza arbitraria e assolutamente contra legem.

L’articolo da leggere è qui.

La farmacia dei poveri

La chiamano così, L’India, con i suoi diciassette miliardi di euro di fatturato annuo della propria industria farmaceutica. Le luci su questo connubio poco conosciuto tra produttività, salute e India (appunto) si sono accese in questi ultimi giorni dopo la sentenza storica con cui la Corte Suprema di New Delhi ha respinto un ricorso presentato dal colosso svizzero Novartis relativo al brevetto di un medicinale anti cancro attualmente “copiato” dalle aziende farmaceutiche indiane  (Glivec) e venduto a un prezzo di gran lunga inferiore a quello dell’originale. Secondo i giudici, il farmaco Glivec non è una «invenzione», ma una riformulazione di un preparato contenente la stessa molecola. Si tratterebbe insomma di quello che gli addetti ai lavori chiamano “evergreening”, una pratica usata da “big pharma” per rinverdire un vecchio prodotto e rimetterlo sul mercato con un nuovo brevetto. L’atteso verdetto del massimo organo giudiziario permetterà ai gruppi farmaceutici indiani come Cipla e Rambaxy di continuare a produrre la versione generica del medicinale usato per trattare una rara forma di leucemia.

Secondo molti attivisti per i diritti umani la causa della Novartis vorrebbe privare molte persone di farmaci che non sarebbero altrimenti accessibili a molti, dall’altra parte le grandi industrie farmaceutiche rivendicano la protezione dei brevetti e degli investimenti nella ricerca. La verità in dispute come questa si frastaglia tra l’imprenditoria, il mercato e il valore solidale della vita. Sono gli intrecci che si annodano quando si parla di sanità dove l’imprenditore rivendica di potere essere impresa nel settore delle vite come per i pomodori, gli arredamenti o le automobili senza limiti di etica e solidarietà. Come se il mio meccanico con il mio motorino abbia un dovere morale identico al pediatra con la malattia di un mio figlio. E’ la transuamnza incontrollata e incontrollabile del Marchionnismo in tutti i campi: salute inclusa. E mentre i tribunali provano a parare il colpo alla fine la comunità internazionale finge di non capire che la propria latitanza sulla disposizione di nuove regole continua ad avere un costo sociale altissimo e relega una questione morale ai professionisti del marketing e del bilancio.

E questo succede in India, vero, ma in fondo l’India è molto più vicina di quanto pensiamo se ricordassimo un minuto soltanto le vicende della Clinica Santa Rita in Lombardia o gli innumerevoli casi di aziende ospedaliere gestite da mercatari che farebbero impallidire Ippocrate e i suoi.

E sarebbe bello che l’Italia partisse da qui per ricostruirsi una credibilità internazionale che non stia a farneticare solo di saggi, spread e alchimie di governo. Sarebbe bello davvero essere gli innovatori di un’etica farmaceutica comunitaria.