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Migranti

“Ci vietano di assistere i migranti”: la lettera shock degli avvocati alla Questura racconta cos’è l’Italia di Salvini

“È stato segnalato a questo Consiglio che i funzionari e il personale addetto all’Ufficio Immigrazione della Questura è solito denegare l’ingresso agli Avvocati che intendono assistere gli immigrati nel disbrigo delle relative pratiche”. Il mio pezzo per TPI.it

Migranti, ora le parole non bastano più: l’opposizione deve “metterci il corpo”


Prima Rossella Muroni piazzandosi davanti ai pullman di Castelnuovo di porto, ora Magi, Fratoianni e Prestigiacomo, lo stesso PD che ne ha prontamente chiesto una commissione d’inchiesta sono la prova che Salvini va affrontato “mettendoci i corpi” e che l’opposizione forse ha capito che la vergogna è tutta lì fuori, bisogna mischiarsene, mostrarla, andarla a prendere, darle voce, dare un nome e un cognome a tutti quelli che oggi sono solo numeri mischiati con la propaganda, utili per essere usati vuoti, solo per i chili che pesano.
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No, caro Fico: per i migranti morti nel Mediterraneo è colpa vostra, non “di tutti noi”

Scrive il presidente Fico, dopo l’ennesima tragedia nel Mediterraneo: «Dolore , rabbia e tristezza. Salvare vite umane è quello che fa una società sana. Se non ci riusciamo è un terribile fallimento per tutti noi». E invece il terribile fallimento è tutto loro, alleati servili della peggiore propaganda anti immigratoria degli ultimi anni.

Continua su: https://www.fanpage.it/no-caro-fico-per-i-migranti-morti-nel-mediterraneo-e-colpa-vostra-non-di-tutti-noi/

Perché Salvini non può decidere di ammanettare i migranti della nave Diciotti

Anche sulla vicenda della nave Diciotti della Guardia Costiera Italiana il ministro Salvini preferisce la propaganda alla reale lettura dei fatti. Così improvvisamente diventa pubblico ministero, giudice oltre che revisionista storico sui conflitti in corso, riuscendo a far perdere la pazienza anche agli alleati di governo. Proviamo a fare un po’ di ordine.
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Hanno risolto il problema “migranti” e “violenze straniere”

Non so se vi è capitato di notare le prime pagine dei giornali, le notiziacce urlate a tutta pagina nella cronaca nera, i titoli dei telegiornali e i servizi allarmati delle trasmissioni del mattino, del pomeriggio e soprattutto della sera: non c’è più “sostituzione etnica”, non c’è più il pericolo costante “per le nostre donne”, non ci sono più le ondate di sbarchi zeppi di terroristi, non ci sono più pericolosi criminali stranieri, non ci sono pisciatori africani, non ci sono prime pagine di islamici e riti satanici (a dire la verità ne hanno arrestati davvero, di presunti estremisti, ma la notizia è durata il tempo di un soffio) e non ci sono drammi per le manifestazioni che non ci sono state (e che continuano a non esserci, tra l’altro) per Pamela Mastropietro.

L’emergenza nazionale che sembrava avere gettato il Paese nell’orrore e nella disperazione si è magicamente dissolta senza nemmeno prendersi la briga di formare il governo. È bastato il risultato delle elezioni perché certa informazione (meglio, propaganda travestita da informazione) tornasse nei binari della normalità togliendo il piede dall’acceleratore di un allarmismo prêt-à-porter che ora non serve più, anzi sarebbe dannoso.

Mediaset ha chiuso le trasmissioni di Belpietro e Del Debbio (che sul pericolo migranti hanno costruito un’epopea) e lo stesso Salvini, in mancanza di materiale buono per la sua disgustosa campagna elettorale permanente, ieri ha dovuto sfruttare la giornata internazionale di Rom, Sinti e Caminanti per non rinunciare alla dose giornaliera di veleno spanto.

Così basta guardarsi intorno per cogliere tutto il senso della melma a forma di giornalismo che ci ha inondato per mesi. A volte serve proprio il silenzio per riconoscere l’odore delle voci che sono state.

Buon lunedì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/04/09/hanno-risolto-il-problema-migranti-e-violenze-straniere/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

«Sono due ragazze, una è giovanissima, sembra dormire in una nuvola di treccioline.»

(La testimonianza drammatica di Alessandro Porro, soccorritore di Sos Mediterranee a bordo della nave Aquarius, pubblicata per la prima volta su «Futura», la newsletter «privata» del Corriere della Sera)

27 gennaio 2018, Mediterraneo Centrale, acque internazionali.

La mattina è iniziata molto presto, alle 4 e mezza. In mare il solito buio e un cielo pieno di stelle. Le due squadre di soccorso hanno 20 minuti per prepararsi e alare i gommoni. Facciamo il punto della situazione sul ponte ed entriamo in contatto visivo con il target che ci ha indicato il Maritime rescue coordination centre (Mrcc) di Roma.

Un gommone con un centinaio di persone si avvicina a noi, riusciamo a vedere i volti dei migranti.
Africani, per quanto ne sappiamo, in fuga dalla Libia.
Arrivano molto vicini, forse 100 metri, i nostri rhib (rigid hull inflatable boat) sono quasi in acqua, ma siamo costretti a interrompere il soccorso.

Riceviamo un ordine perentorio dalla guardia costiera libica, che si avvicina con una motovedetta dall’altro lato della nostra nave.

Noi abbiamo il diritto internazionale marittimo dalla nostra parte.
Loro sono probabilmente armati.

Prima di prendere in carico il gommone ci scortano lontano, lasciando l’imbarcazione in difficoltà senza apparente monitoraggio. L’ordine loro è di allontanarci dalla scena, anche se siamo già in acque internazionali. Di fatto siamo vittime di una violazione delle leggi del mare, l’insieme di norme sovrastatali che regolano il soccorso in mare.

Com’è possibile che una nave di soccorso, vera e propria ambulanza del mare, debba essere allontanata mentre, secondo i regolamenti internazionali, dovrebbe invece intervenire per salvare vite umane in pericolo in mare?

In Libia, i diritti umani, soprattutto quelli dei migranti e rifugiati, vengono quotidianamente violati. Lo sappiamo dalle centinaia di testimonianze che raccogliamo a bordo. Lo dicono i report di Medici senza frontiere. Lo fotografano i giornalisti nei centri di detenzione. Lo raccontano film recenti. Noi siamo testimoni di tutto questo, in mezzo al mare. Compravendita di uomini e donne per estorcere denaro. Riduzione in schiavitù. Impossibilità di lasciare legalmente il Paese. Operazioni di respingimento che violano la Convenzione di Ginevra del 1951, convenzione che la Libia non ha mai firmato. Ci troviamo di fronte a respingimenti mascherati da operazioni di soccorso. A non denunciarlo, saremmo complici.

A bordo, la fastidiosa impressione che a terra, all’Europa, non importi a nessuno. Cosa si rischia a cercare di passare la frontiera marina che separa la Libia dall’Europa? Semplicemente la morte. Morte che è una prospettiva migliore che la detenzione in Libia, stando alle testimonianze che raccogliamo a bordo.

Ne abbiamo avuto la prova due ore dopo il soccorso che ci è stato impedito. Sempre l’Mrcc di Roma ci segnala un altro target a breve distanza.
All’arrivo troviamo il solito gommone con il solito centinaio di persone a bordo.

Ma questa volta molte sono già in acqua.

Il gommone ha iniziato a sgonfiarsi prima del nostro arrivo e le persone scivolano in mare. Una dopo l’altra. Si è fatto giorno e vediamo chiaramente i corpi degli annegati galleggiare e testa in giù.
Qualche corpo è ormai pieno d’acqua e scivola nella trasparenza del mare.
Non c’è quasi onda.
Visibilità ottima dell’orrore che abbiamo accanto.
Lanciamo in acqua tutti i nostri dispositivi di soccorso: tre gommoni, tre zattere, due gonfiabili, centinaia di giubbini di salvataggio. Iniziamo a recuperare corpi di vivi e di morti. Iniziamo il massaggio cardiaco già a bordo dei rhib. Uomini su uomini su donne su bambini. Le compressioni toraciche fanno uscire dalla bocca degli affogati la schiuma che si è formata nei polmoni. Nel «giorno della memoria», queste cataste di corpi ricordano immagini che speravamo essere perse nella storia.

A bordo dell’Aquarius il team medico compie letteralmente dei miracoli, che da ateo posso riconoscere come tali. Di nove persone in arresto cardiaco 7 vengono salvate. Fra loro anche bambini. Molti di più i corpi che lasciamo dietro, che sono già in fondo al mare.
I sopravvissuti parlano di 130 persone a bordo.
Noi fra i sommersi e i salvati ne contiamo 101.
La matematica della paura. Le operazioni di soccorso vanno avanti per oltre due ore. Troviamo persone esauste che non si reggono in piedi, gente che non ha la forza di saltare sui nostri rhib. Noi soccorritori siamo fisicamente finiti, senza più voce. Abbiamo perso il conto delle persone issate a bordo, di quanti bambini in arresto cardiaco abbiamo dovuto rianimare. Quando risaliamo a bordo dell’Aquarius la clinica è in piena attività. Un elicottero della marina italiana ci viene in supporto per evacuare le persone più gravi. Solo al tramonto la situazione diventa più stabile e comprensibile. Iniziamo a raccogliere testimonianze e fare la conta dei dispersi. Madri che cercano figlie, figlie che hanno perso madri e sorelle.

Ci spetta il triste compito del riconoscimento dei cadaveri che abbiamo a bordo.
Sono due ragazze, una è giovanissima, sembra dormire in una nuvola di treccioline.

Alessandro Porro, soccorritore di Sos Mediterranee a bordo della nave Aquarius