E indosserò il disprezzo dei creditori con orgoglio.
La lettera con cui Yanis Varoufakis annuncia le proprie dimissioni. Qui.
La lettera con cui Yanis Varoufakis annuncia le proprie dimissioni. Qui.
Alla fine il referendum ha detto “no”. E anche se in molti stanno profetizzando scenari futuri la declinazione politica di questo risultato si vedrà solo nei prossimi giorni. Certo l’Europa ha toccato con mano quanto sia distante dal consenso e difficilmente possono convivere una maggioranza di popolo con un metodo che è minoranza reale, forte solo perché la maggioranza è invisibile.
Ora mi spaventano i colpi di coda che amplificheranno la paura. Ne ho scritto per Fanpage qui.
Ah, sì, quante battaglie, eroismi, ambizioni, superbie
senza senso,
sacrifici e sconfitte e sconfitte, e altre battaglie, per
cose che ormai
erano state decise da altri in nostra assenza. E gli uomini, innocenti,
a infilarsi le forcine negli occhi, a sbattere la testa
contro il muro altissimo, ben sapendo che il muro non cede
né men si fende, per consentirgli di vedere almeno
da una fessura
un po’ di azzurro non offuscato dalla loro ombra e dal
tempo. Eppure – chissà –
là dove qualcuno resiste senza speranza, è forse là che
inizia
la storia umana, come la chiamiamo, e la bellezza dell’uomo
tra ferri arrugginiti e ossi di tori e di cavalli,
tra antichissimi tripodi su cui arde ancora un po’ di alloro
e il fumo sale nel tramonto sfilacciandosi come un vello
d’oro […].
(Jannis Ritsos, Elena)
La cattolicissima Irlanda ha deciso che i diritti degli altri sono un dovere per tutti. In Irlanda. Pensa te.
So che ultimamente lo sto citando spesso ma non posso che essere d’accordo con quanto scrive oggi Alessandro:
Ma a me il ritorno agli stati nazionali dell’Ottocento – confini, muri, chiusure, fili spinati, gente che urla contro lo straniero – fa un po’ sorridere: mi sembra un tentativo di fermare il mare con le mani. Le tecnologie ci portano ogni giorno di più nella casa comune, i ragazzi vanno all’estero con l’Erasmus e non solo, questo straccio di post lo possono leggere pure in un cyberbar di Dakar.
Insomma non è cosa.
La scommessa semmai è provare a fare, gestire e governare in modo umanista l’altra cosa, cioè lo stare insieme. E mai come adesso mi vengono in mente i rompiscatole che di sovranità democratica transnazionale parlano da anni, ma anche gli utopisti tipo Jacque Fresco, Emery Reves o Daisaku Ikeda: gente che oggi vediamo come strampalata, domani chissà.
«La Svizzera non può considerare i lavoratori lombardi come dei topi. Sono dei lavoratori che operano oltre confine, hanno una dignità che va rispettata».
La frase è di Roberto Maroni e questa volta gli sporchi terroni sono gli italiani che in Svizzera vorrebbero stessero a casa loro. Senza entrare nella complessa questione dei frontalieri (che abbiamo seguito e approfondito già dalla scorsa legislatura in veste tutta politica in Consiglio Regionale) la dichiarazione di Maroni rasenta l’imbecillità del credo leghista che frana davanti agli interessi elettorali. Leghisti al contrario con il culo degli altri. Roba da funamboli. O da imbecilli. O da leghisti.
“I dati sull’affluenza – è il commento del deputato Pd Edoardo Patriarca – dimostrano che ha votato una minoranza. Si è trattato di una battaglia ideologica che non interessa la gran parte dei cittadini. I bolognesi hanno capito che la sussidiarietà è la chiave di volta laddove lo Stato non riesce ad arrivare”.
(senza commento)
Come si poteva presumere da Bologna (per il resto d’Italia) dopo il risultato del referendum sulla scuola pubblica si sposta sul basso numero dei votanti. Era prevedibile. L’avevamo scritto che era notte. L’analisi sul punto è di Wu Ming:
E così l’esercito di Serse è stato bloccato. 50.000 bolognesi (59%) hanno risposto alla chiamata dei referendari e hanno votato A, contro circa 35.000 che hanno votato B (41%).
In totale poco più del 28% degli elettori. Una percentuale che a botta calda consente ai sostenitori della B, il Partito Democratico in testa a tutti, di provare a sminuire la valenza del voto e di spingersi a dire che “si è trattato di una battaglia ideologica che non interessa la gran parte dei cittadini. I bolognesi hanno capito che la sussidiarietà è la chiave di volta laddove lo Stato non riesce ad arrivare” (E. Patriarca). Come a dire: non è successo niente, tireremo diritto.
Invece qualcosa è successo, per quanto possano fare i finti tonti. Il PD infatti non ha sostenuto la linea dell’astensione, ha fatto l’opposto, ha mosso le corazzate e l’artiglieria pesante per mandare la gente a votare B. Si è speso il Sindaco in prima persona (che ha mandato una lettera a casa dei bolognesi per invitarli a votare B, e ha fatto un tour propagandistico per tutti i quartieri), gli assessori, il partito locale, i parlamentari da Roma… Ai quali si è aggiunta la propaganda nelle parrocchie, quella del PdL, della Lega Nord, di Scelta Civica, e gli endorsement di Bagnasco, di Prodi, di Renzi, di due ministri della repubblica, più le dichiarazioni di Ascom, Unindustria e del CNA.
Questa santa alleanza contro i perfidi referendari ideologici è riuscita a muovere soltanto 35.000 persone (incluse le suore, le prime a presentarsi ai seggi ieri mattina). Significa che una buona parte dell’elettorato di quei partiti e dei fedeli cattolici, ha disobbedito agli ordini di scuderia ed è rimasta a casa oppure ha votato A.
Invece un comitato di trenta volontari, appoggiato solo da un paio di partiti minori e qualche categoria sindacale, che ha raccolto l’appoggio di tutti gli ultimi intellettuali e artisti di sinistra rimasti in Italia, ha portato a votare quindicimila persone in più.
Questo dato politico è il più interessante e pesante. […] E cinquantamila sono esattamente la metà dei voti che Virginio Merola ha preso nel 2010, quando è stato eletto sindaco.
Insomma a Bologna ha vinto il sì. O comunque hanno perso tutti coloro che ci volevano dimostrare che la battaglia per le scuole pubbliche togliendo i (troppi) finanziamenti alle scuole private (il timido Ambrosoli compreso, su in Lombardia) ora ci penseranno due volte prima di provare a convincerci che “privato” è bello perché “privato” funziona e sul “privato” sono tutti d’accordo tranne noi quattro gatti comunisti.
Perché il risultato del referendum è scritto nella Costituzione, per dire:
(per l’immagine grazie a Malvino)
Un appello (che mi vede favorevole, ovviamente) da firmare, sostenere e fare girare. Ambrosoli incluso. Ma #davvero:
APPELLO AI CANDIDATI ALLE ELEZIONI REGIONALI DELLA LOMBARDIA PER UNA NUOVA LEGGE REGIONALE SULL’ACQUA E SUL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO
La Regione Lombardia si appresta a scegliere il suo nuovo Presidente e ad intraprendere un nuovo modello di governo regionale. In un momento in cui la crisi finanziaria mette a dura prova la stabilità ed il ruolo degli Enti Locali, troppo spesso i governi, invece di proporre strategie di rilancio dell’economia e della società, hanno proposto la svendita dei beni comuni, allontanandosi dalle scelte espresse con i Referendum del 2011 contro la mercificazione e privatizzazione dei servizi pubblici locali e in particolare del servizio idrico. La richiesta di rispettare le scelte referendarie, portata avanti dal Comitato promotore e dal Forum dei Movimenti dell’acqua, si è dovuta brutalmente confrontare con lo svuotamento messo in atto dai poteri politici ed economici che hanno contrastato l’autonomia degli Enti Locali e contraddetto la volontà espressa da 27 milioni di cittadini italiani. Anche lo scenario post-referendario di Regione Lombardia si è caratterizzato per forti negatività in materia di legislazione sui servizi pubblici locali e su quello idrico in particolare. La legge sui servizi pubblici locali vigente, già falcidiata dall’abolizione referendaria dell’art.23bis e in seguito dichiarata incostituzionale in alcune sue parti, va rivista complessivamente nel suo impianto. I modelli gestionali devono essere revisionati in funzione della gestione territoriale della risorsa, l’identificazione degli ambiti territoriali di riferimento va riformulata, ed è necessario mettere in atto politiche di investimenti per prevenire i cambiamenti climatici, migliorare lo stato dell’ambiente e delle risorse idriche locali che, secondo le ultime stime dell’Agenzia europea dell’ambiente, non godono certo di buona salute. L’insieme di queste constatazioni, associato alla volontà espressa dai cittadini lombardi con i Referendum in particolare per quanto attiene la gestione del servizio idrico, al pronunciamento della Corte Costituzionale rispetto al ruolo degli Enti Locali, alla delega alle Regioni per la riorganizzazione delle Autorità d’Ambito e al riordino delle Province, evidenzia l’urgenza per la Regione Lombardia di mettere mano ad una profonda revisione del quadro legislativo regionale in tema di servizi pubblici locali. I principi alla base di una nuova legislazione devono a nostro parere essere: – Il riconoscimento dell’accesso all’acqua quale diritto umano da garantire ad ogni cittadino (già affermato nell’art. 41 legge regionale 26/2003), stabilendo una quantità minima garantita a carico della fiscalità regionale (in assenza di analogo provvedimento nazionale) e la tutela del patrimonio idrico come bene comune pubblico inalienabile a tutela delle future generazioni, gestito al di fuori delle regole del mercato. – La salvaguardia ambientale delle risorse idriche disponibili, a tutela della qualità e della disponibilità dell’acqua per uso umano, preminente rispetto agli usi industriali e agricoli. – La partecipazione dei cittadini e dei lavoratori al governo e alla gestione del servizio idrico integrato, sia negli organi regionali che in quelli territoriali (bacini). – La promozione (anche finanziaria) di nuove forme di gestione del servizio idrico su base cooperativa e di «economia sociale» nei territori regionali, nonché di progetti di cooperazione e solidarietà internazionale volti a garantire l’accesso all’acqua nelle aree più povere del pianeta. – Un governo delle relazioni tra acqua, agricoltura/cibo, salute ed energia, ispirato all’obiettivo di concretizzare il diritto alla vita e la sicurezza collettiva a livello locale e alla salvaguardia del bene comune acqua. Alla luce di quanto sopra, il Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati Acqua Pubblica chiede ai candidati alla Presidenza della Regione Lombardia ed alle forze politiche che li sostengono:
1) Di assumere come impegno dei primi cento giorni la formulazione di una legge regionale specifica sul governo e la gestione delle risorse idriche e dell’intero ciclo dell’acqua per tutti gli usi, evitando qualsiasi tentativo di mercificazione della risorsa e di privatizzazione della gestione. Inoltre e in particolare rispetto al Servizio Idrico Integrato (S.I.I.), si chiede che:
2) Il S.I.I., inteso quale insieme delle attività di captazione, adduzione e distribuzione di acqua a usi civili, fognatura e depurazione delle acque reflue, sia classificato come un servizio pubblico locale di interesse generale, privo di rilevanza economica.
3) Il S.I.I. sia organizzato sulla base di ambiti territoriali ottimali (ATO) corrispondenti ai bacini idrografici.
4) Le province, i Comuni e la Città metropolitana organizzino il S.I.I. affidandone la gestione, per ciascun bacino, a soggetti di diritto pubblico, in conformità con i principi riconosciuti dalla giurisprudenza comunitaria.
5) La gestione del S.I.I. sia ispirata a promuovere il risparmio idrico e l’uso dell’acqua di rubinetto da bere.
6) Si adottino politiche urbanistiche volte a promuovere la riconciliazione tra i cittadini e l’acqua, facendo della gestione partecipata del ciclo dell’acqua un contesto di promozione e di governo dei beni comuni e del vivere insieme.
Chiediamo ad ogni candidato di rispondere (email: info@contrattoacqua.it) al presente Appello, esprimendosi (favorevole / non favorevole) rispetto ad ognuno dei sei punti sopra indicati ed eventualmente aggiungendo brevi commenti.
Coordinamento Regionale Lombardo dei Comitati Acqua Pubblica Milano, 20 gennaio 2013