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sanità

L’umanizzazione della cura

‘Restare umani” non è uno slogan. L’hanno usato con superficialità, forse, rinchiuso nella prigione delle frasi “da maglietta” ed è stata strumentalizzata da inetti destrorsi per rinchiudere Vittorio Arrigoni nel recinto dei “comunisti” da non rimpiangere. Eppure dentro il “restare umani” c’è una visione politica che sarebbe la chiave per ripensare molti dei settori di questo Paese che si incaglia sulle somme, le sottrazioni e i compiacimenti da mantenere.

Le parole di Paolo Veronesi (con cui mi trovo spesso in disaccordo su alcune visioni) sono le parole di buon senso che forse non dovrebbero nemmeno stupire ma suonano come rivoluzionarie in un momento come questo:

I “medici-clown” svolgono un lavoro meraviglioso, ma non dovrebbero essere i soli ad occuparsi del malato come persona: tutto l’ospedale, nel suo insieme, dovrebbe rispettare il principio dell’umanizzazione della cura, e non solo nei reparti pediatrici.

Questo significa, per esempio, che già nella sua progettazione la struttura deve essere concepita come “la casa del malato”, in cui ogni aspetto, dagli arredi all’organizzazione,restituisca a chi è ricoverato comfort, serenità e sicurezza: l’opposto di quel senso di estraneità che spesso si prova entrando in un ospedale tradizionale. Ma non solo: l’organizzazione stessa deve adottare orari e comportamenti rispettosi dei normali ritmi di vita del paziente, ad esempio facilitando le visite di familiari e amici, riconsiderando gli orari dei pasti – inspiegabilmente molto anticipati rispetto alla consuetudine – e rispettando la privacy del malato mettendo a sua disposizione camere singole.

Un ospedale così concepito, permette ai pazienti di sentirsi quanto più possibile a loro agio, proprio come in una casa dove si va a vivere in particolari circostanze, dolorose certamente, ma a causa delle quali la nostra vita non deve cambiare, nei limiti del possibile, ritmo e abitudini. Per dare vita a questo luogo di accoglienza e di attenzione, devono essere abolite tutte le regole che rendono l’ospedale punitivo e lontano dalle abitudini di vita delle persone sane, in nome di un’unica regola: considerare il paziente, prima che un malato, una persona da rispettare nella sua globalità.

E se partissimo dall’umanizzazione non sarebbe facile poi che etica, solidarietà e giustizia venissero ovviamente al seguito?

L’esempio di Zingaretti

Le nomine e la sanità: il binomio è spesso una collusione. In Regione Lombardia la questione delle nomine è un chiodo che non riesco a togliermi, dalle spartizioni di partito, agli indagati eppure nominati, agli amici degli amici eppure nominati fino alle nomine al fotofinish, è stato un crescendo di inopportunità. Eppure volendo una soluzione (o almeno un tentativo che appaia logico e coerente nella concezione) è possibile: la Regione Lazio introduce nuove norme per la nomina dei direttori generali di Asl, aziende ospedaliere e istituti di ricovero, con lo scopo di eliminare l’influenza della politica nelle scelte. Per il presidente, Nicola Zingaretti si tratta di “Una rivoluzione del merito e del valore delle persone”. A valutare le domande di candidatura, che potranno essere presentate entro 30 giorni dalla pubblicazione dell’avviso sulla Gazzetta ufficiale, sarà una terna di esperti nominata dall’Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. La Regione avrebbe diritto  di nominare due suoi rappresentati in questa commissione, ma ha rinunciato ad esercitare questo potere. Prima, per essere inseriti nell’elenco dei candidati, per chi proveniva dal pubblico bastava essere stato direttore di unità operativa semplice, ora solo di unità operativa complessa. Mentre prima per chi proveniva dal privato era sufficiente aver avuto la direzione di una qualunque azienda a prescindere dagli addetti e dalla forma giuridica (anche aziende individuali), ora solo se amministratore unico, amministratore delegato, o presidente di un cda di spa. Ancora una novità sulla trasparenza: prima le domande erano in formato cartaceo con i curricula non pubblicati on line, ora la procedura sarà interamente informatizzata.

Ecco, si potrebbe fare.

E adesso, Bobo?

Dunque Francesco Belsito, l’uomo della Lega Nord che avrebbe tenuto i rapporti con la ‘ndrangheta e gli affari, è stato arrestato. Roberto Maroni, l’uomo che voleva sconfiggere la mafia, se l’è ritrovata in casa e mentre ci racconta di avere arrestato i più pericolosi latitanti negli ultimi anni si è lasciato sfuggire il latitante in casa come un aspirante Babbo Natale che non si accorge di avere lasciato una renna incastrata nel camino della cucina.

L’accusa è di  truffa e associazione a delinquere. Lo stesso Belsito che nelle ipotesi dei magistrati avrebbe avuto un ruolo nella gestione di alcuni appalti della sanità lombarda. Nello sfondo c’è una società, la SIRAM che si occupa di efficienza energetica) che avrebbe vinto 15 settembre 2010 un appalto da 4.278.839,01 euro per tutti gli spazi non istituzionali della piazza della nuova regione Lombardia.

Come scrivevano già a gennaio Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi:

Il pm calabrese Giuseppe Lombardo ha ben chiaro il polso della situazione del proprio filone d’indagine, cioè i possibili rapporti tra l’ex tesoriere Belsito e la ‘ndragnheta, in particolare con la cosca De Stefano. Nadia Dagrada, la segretaria del Carroccio che ha fatto esplodere il caso Lega, nel corso dell’interrogatorio dello scorso aprile dise di ignorare e conoscere i rapporti dello stesso Belsito, poi cacciato dal neo segretario Roberto Maroni, con personaggi legati alle cosche. Spiegò che il nome De Stefano non le ricorda nulla «a parte il tenore».

Chissà cosa avrà pensato il pm Giuseppe Lombardo che al momento sta portando avanti nelle aule reggine il processo forse più importante alla triade delle famiglie che governa Reggio (Condello, De Stefano e Tegano), in quel guazzabuglio di politica, affari, logge più o meno coperte e mafia. La stessa Dagrada riferisce di sapere poco e niente su quello studio di via Durini 14 a Milano dove ha sede la MGM di quell’avvocato che avvocato non era (non risulta iscritto a nessun ordine), Bruno Mafrici, diventato consulente di Belsito quando questi si occupava del sottosegretariato del ministero alla semplificazione normativa.

Stando al verbale, Belsito, avrebbe elargito per alcuni mesi un fisso di 2.500 euro allo stesso Mafrici, che l’ex tesoriere presentava come un suo avvocato. Belsito in quello studio aveva un proprio ufficio e pagava Mafrici, a quanto sostiene Dagrada con soldi del partito per un totale tra parcelle e rimborsi che teneva anche per sè di circa novemila euro al mese.

Uno studio quello di via Durini a Milano che ricorre nelle carte degli inquirenti reggini e perfino nella relazione della commissione di accesso al comune di Reggio Calabria, che ne sancirà poi lo scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata. A stimolare la curiosità del pm Lombardo durante l’interrogatorio però è anche una questione che trova sullo sfondo appunto la sanità. Il magistrato la butta lì mentre cerca di capire cosa Dagrada sia in grado di rivelare sugli investimenti leciti o meno del Carroccio dell’era Belsito.

Chiede se ci siano stati investimenti in case di cura. Dagrada nega, ma a verbale ci finisce un teatrino e si trascrive anche una risata dello stesso pubblico ministero che evidentemente nota una espressione della segretaria e chiede «perché le case di cura l’hanno colpita così tanto?».

E se poi nel corso dell’interrogatorio si vira verso altri lidi, andando a rivedere alcuni affari che avrebbero riguardato da vicino proprio stesso Mafrici e un altro faccendiere legato a doppio filo con Belsito e i De Stefano, cioè quel Romolo Girardelli  detto “l’ammiraglio”, la curiosità del pubblico ministero non sembra campata in aria.

Sullo sfondo c’è la Siram, che a Milano per sei anni, dal 2004 al 2010 ha gestito gli impianti produttori di calore al Pio Albergo Trivulzio per 7milioni di euro. Dal filone reggino dell’indagine emergerebbe infatti il contatto tra la stessa Siram e “l’ammiraglio” Girardelli, uomo vicino a Paolo Martino, factotum milanese della cosca De Stefano finito agli arresti nell’ambito dell’inchiesta ‘Caposaldo’ della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano nel 2001.

Non è però finita perché sempre nel filone delle indagini aperto dalla procura di Reggio Calabria ci finisce un altro appalto, quello tra Siram e Carbotermo spa presso l’ospedale San Matteo di Pavia. Un appalto milionario già oggetto di conversazioni tra lo stesso Martino e l’ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco, recentemente condannato a Milano per concorso esterno in associazione mafiosa.

Scriveva il Corriere della Calabria quando esplose l’affaire Belsito, “Siram incassa un’importante fetta dei propri introiti proprio dagli appalti pubblici. Non ultimo, proprio a Milano, dalla fondazione che gestisce gli ospedali del Policlinico ha ottenuto il lavoro per la costruzione di un modernissimo impianto «di trigenerazione», capace di produrre contemporaneamente energia elettrica, termica e refrigerante.

Un progetto che Infrastrutture Lombarde, la società in house della Regione Lombardia, ritiene particolarmente vantaggioso e soprattutto non realizzabile da nessun’altra impresa. Ragione per la quale non è possibile sottoporlo a gara d’appalto visto che solo Siram ha i brevetti necessari per la sua realizzazione. Insomma, un progetto da esportare, magari anche in Calabria dove Infrastrutture Lombarde ha avuto il contestatissimo incarico di sovrintendere alla realizzazione dei quattro nuovi ospedali previsti nel nuovo piano sanitario regionale. Anche di questo si discuteva nelle ovattate stanze di via Durini 14”.

A Reggio Calabria la Siram aveva ottenuto il monopolio della manutenzione e della gestione degli impianti degli Ospedali Riuniti, secondo alcuni imprenditori concorrenti senza rispettare tutte le normative. Insomma, sanità, anzi, “Onorata Sanità”, come quel processo istruito a Reggio Calabria dove il cognato dell’ “avvocato” Mafrici si è ritrovato invischiato salvo poi uscirne assolto alla conclusione del primo grado di giudizio.

Rimane da vedere cosa ci dirà oggi Bobo Maroni. Bastano le scope di saggina a dare una spiegazione, eh?

La farmacia dei poveri

La chiamano così, L’India, con i suoi diciassette miliardi di euro di fatturato annuo della propria industria farmaceutica. Le luci su questo connubio poco conosciuto tra produttività, salute e India (appunto) si sono accese in questi ultimi giorni dopo la sentenza storica con cui la Corte Suprema di New Delhi ha respinto un ricorso presentato dal colosso svizzero Novartis relativo al brevetto di un medicinale anti cancro attualmente “copiato” dalle aziende farmaceutiche indiane  (Glivec) e venduto a un prezzo di gran lunga inferiore a quello dell’originale. Secondo i giudici, il farmaco Glivec non è una «invenzione», ma una riformulazione di un preparato contenente la stessa molecola. Si tratterebbe insomma di quello che gli addetti ai lavori chiamano “evergreening”, una pratica usata da “big pharma” per rinverdire un vecchio prodotto e rimetterlo sul mercato con un nuovo brevetto. L’atteso verdetto del massimo organo giudiziario permetterà ai gruppi farmaceutici indiani come Cipla e Rambaxy di continuare a produrre la versione generica del medicinale usato per trattare una rara forma di leucemia.

Secondo molti attivisti per i diritti umani la causa della Novartis vorrebbe privare molte persone di farmaci che non sarebbero altrimenti accessibili a molti, dall’altra parte le grandi industrie farmaceutiche rivendicano la protezione dei brevetti e degli investimenti nella ricerca. La verità in dispute come questa si frastaglia tra l’imprenditoria, il mercato e il valore solidale della vita. Sono gli intrecci che si annodano quando si parla di sanità dove l’imprenditore rivendica di potere essere impresa nel settore delle vite come per i pomodori, gli arredamenti o le automobili senza limiti di etica e solidarietà. Come se il mio meccanico con il mio motorino abbia un dovere morale identico al pediatra con la malattia di un mio figlio. E’ la transuamnza incontrollata e incontrollabile del Marchionnismo in tutti i campi: salute inclusa. E mentre i tribunali provano a parare il colpo alla fine la comunità internazionale finge di non capire che la propria latitanza sulla disposizione di nuove regole continua ad avere un costo sociale altissimo e relega una questione morale ai professionisti del marketing e del bilancio.

E questo succede in India, vero, ma in fondo l’India è molto più vicina di quanto pensiamo se ricordassimo un minuto soltanto le vicende della Clinica Santa Rita in Lombardia o gli innumerevoli casi di aziende ospedaliere gestite da mercatari che farebbero impallidire Ippocrate e i suoi.

E sarebbe bello che l’Italia partisse da qui per ricostruirsi una credibilità internazionale che non stia a farneticare solo di saggi, spread e alchimie di governo. Sarebbe bello davvero essere gli innovatori di un’etica farmaceutica comunitaria.

La Lombardia degli -oni

maroni_e_formigoniFormigoni e Maroni, che non finiscono solo allo stesso modo per il cognome ma si assomigliano molto di più di quanto il Roberto leghista si stia impegnando di nascondere. Un’inchiesta sulla sanità come quella di oggi (“una ramificata rete di complicità nel mondo sanitario e istituzionale” si legge nelle carte) che coinvolge il leghista Boriani, ex direttore de La Padania, e i soliti noti amici del Formigoni.

Un’inchiesta che inizia con un suicidio nell’ospedale (San Paolo di Milano) dove (sarà un caso?) stanno ricoverati i boss del 41 bis (sarà un caso?). Una sanità che sorprende (ma non troppo) per la vicinanza con ambienti corrotti, corruttivi, corrutibili e criminali. Come reagisce Maroni? Con gli slogan, i soliti che, mio Dio, qui in Lombardia funzionano per vincere le elezioni.

Maroni di quella Lega che ha appoggiato Formigoni in questi ultimi anni.

Maroni di quella Lega che è alleata con quei parlamentari brutti ceffi che manifestano oggi in Procua a Milano come chiassosi alunni in gita alcolica.

Maroni che parla di cambiamento e promette la sanità al PDL (ancora) passando per un cambiamento che non cambia niente e nessuno.

Sarà una lunga notte per la Lombardia.

I nomi degli arrestati. In manette sono finiti Massimo Guarischi, 49 anni, ex consigliere regionale di Forza Italia vicino a Formigoni, già condannato a titolo definitivo nel 2009 per corruzione negli appalti per il dopo alluvione; Leonardo Boriani, 66, giornalista, ex direttore della Padania e ora della testata online www.ilvostro.it; tre imprenditori della famiglia Lo Presti di Cinisello Balsamo, titolari della società Xermex Italia (Giuseppe Lopresti, 65 anni, e i figli Salvo Massimiliano, 43, e Gianluca, 39); Luigi Gianola, 65, direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Sondrio, e Pierluigi Sbardolini, 61, direttore amministrativo dell’ospedale Mellino Mellini di Chiari nonché ex direttore del San Paolo di Milano. L’operazione, denominata ‘La Cueva’, è stata coordinata dal colonnello Alfonso Di Vito (Dia). Fra gli indagati ci sono, oltre al direttore generale della Sanità lombarda, Carlo Lucchina, alter ego di Formigoni, numerosi altri manager pubblici degli ospedali di Chiari, di Cremona, di Valtellina e Valchiavenna (Sondrio) e dell’Istituto nazionale tumori. Perquisito anche uno svizzero, Giovanni Lavelli, titolare di una finanziaria a Lugano e accusato di aver costituito la provvista con cui pagare le tangenti.

Gli appalti nel mirino. Le mazzette, nella ricostruzione dei pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio, erano pagate per ottenere l’appalto per la manutenzione di apparecchi elettromedicali al San Paolo, per i servizi di radiologia all’Azienda ospedaliera della Valchiavenna di Sondrio e per l’installazione di sofisticati macchinari per la diagnostica tumorale all’Istituto milanese dei tumori (che “si dichiara del tutto estraneo ai fatti”) e all’Azienda ospedaliera di Cremona. L’appalto valtellinese, per esempio, valeva 9 milioni di euro e il direttore generale avrebbe accettato la promessa di 500mila euro per assicurare un trattamento di favore all’azienda dei Lo Presti. Parte dei pagamenti è documentata con intercettazioni e pedinamenti degli investigatori della Dia, i quali sono partiti dalle indagini che nel 2010 avevano portato in carcere un ex direttore dell’Asl di Pavia, Carlo Antonino Ciriaco, e Giuseppe Neri, capo della ‘locale’ della ‘ndrangheta pavese. Ci fu anche un suicidio ad attirare l’attenzione della Direzione investigativa antimafia: quello di Pasquale Libri, dirigente del San Paolo, sfiorato dall’inchiesta su Ciriaco. 

Gli indagati eccellenti. Fra gli indagati spiccano i nomi di Danilo Gariboldi, direttore generale del Mellino Mellini di Chiari; Simona Mariani, direttore generale dell’ospedale di Cremona; Gerolamo Corno, direttore generale dell’Istituto tumori di Milano; Pierguido Conti e Vincenzo Girgenti (General elettric medical systems Italia di Milano); Alessandro Pedrini, già dipendente della Regione Lombardia;Massimo Streva (Fratelli Scotti, impresa edile di Cinisello Balsamo); Battista Scalmani (BS Biotecnologie di Bergamo); Carlo Barbieri (Brainlab Tecnologie di Milano); Giuseppe Barteselli (dirigente dell’ospedale San Gerardo di Monza) e Bruno Mancini (Biemme Rappresentanze di Roma). L’operazione ha portato anche a una cinquantina di perquisizioni.

Un impegno: odontoiatria nel programma sanitario regionale in Lombardia

odontoiatria2Sono le cose semplici che si possono fare e si devono fare: inserire l’odontoiatria nel programma sanitario regionale significa bilanciare un campo dove solo il 5% è pubblico e soprattutto elaborare una una proposta che contenga questo settore che parta dalla prevenzione fino alla impiantologia sarebbe di grande importanza, considerando il fatto che i notevoli costi dei privati fanno sì che molti abbandonano l’idea di iniziare un percorso sanitario in questo settore.

Un impegno preciso. Un mio impegno.

Pubblica o privata la sanità è malata

Per risanare i conti pubblici non bastano i tagli, bisogna anche capire quanti soldi si sprecano. Perché i bilanci dello Stato spesso sembrano un serbatoio pieno di buchi: più acqua si versa, più ne esce. La Guardia di Finanza adesso sta cercando di cambiare strategia: oltre a potenziare le operazioni per combattere l’evasione fiscale, e quindi trovare altre risorse per le istituzioni, con il nuovo anno si punta a migliorare il controllo all’emorragia di denaro ai danni della collettività.

Va letto Gianluca Di Feo per entrare nel merito delle cose. Anche e soprattutto qui in Lombardia.

SAN RAFFAELE: SI' AL CONCORDATO. LA PROCURA CHIUDE LE INDAGINI-FOTO ARCHIVIO

L’autocritica no

Ho letto il programma elettorale di Roberto Maroni. Lo so, sono fatto così, mi piace terribilmente conoscere prima di deliberare ed esprimere giudizi. Nessuna autocritica, nessuna.

Nella sanità (oltre all’amore smisurato per il fondo Nasko) non c’è un’autocritica che sia una su San Raffaele, Santa Rita, Fondazione Maugeri e tutte quelle altre cose lì. Nemmeno una. Per dire.

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Assistenza sessuale

assistenza-sessualeMentre il Governo Formigoni IV cadeva stavamo lavorando ad un progetto di legge sull’assistenza sessuale alla persona affetta da disabilità fisica o mentale. Eravamo anche pronti a raccogliere gli strali dei perbenisti che subito aizzano le truppe appena si sfiora il tema. Credo che sarà uno dei primi provvedimenti che depositeremo nella prossima legislatura convinti che il pregiudizio sia nemico del progresso e dello sviluppo, anche dei diritti. Oggi un amico mi ha girato una petizione che riprende il tema e che forse varrebbe la pena di leggere e aprire il dibattito. Davvero.

L’assistenza sessuale alla persona affetta da disabilità fisica o mentale nasce per permetterle di fruire di una pratica necessaria, più spesso indispensabile, al suo benessere psicofisico. Le pulsioni sessuali costantemente represse e impedite nella loro manifestazione, sia autonoma sia relazionale, si risolvono in un costante e ossessivo stress psichico che affligge non poco l’esistenza di chi non ha autonomia nell’uso del proprio corpo. 

Determinate forme di disabilità, rendono impossibile l’uso delle mani, quasi tutte le forme di disabilità rendono difficoltosa, quando non proibitiva, l’interazione fisica e sessuale con partner adeguati, più spesso con qualunque tipo di partner consenziente.

L’assistenza sessuale si configura come una pratica soprattutto relazionale, empatica e comunicativa. Attraverso il periodo in cui si svolgerà la sessione d’incontro tra la persona che lo richiede e l’assistente, il fulcro dell’interesse sarà nello stabilire un rapporto empatico. 

Quello che l’assistente debitamente preparata deve riuscire a trasmettere all’altro è innanzitutto l’accettazione del suo corpo attraverso l’esplorazione manuale, l’accarezzamento, il massaggio. 

Concedere un momento di profondo benessere e attenzione all’altro inteso nella sua dimensione olistica, globale: l’uso delle mani sarà accompagnato dalla voce, da musica, dal racconto. 

L’assistenza viene non a caso definita sessuale. Il che significa che il corpo sarà preso in considerazione nella sua interezza. L’area genitale, generalmente la più trascurata nelle pratiche di massaggio e quella trattata con più distacco o imbarazzo in chi assiste la persona disabile nelle sue funzioni corporali quotidiane, sarà al centro di particolare attenzione e manipolazione, al fine di rimuovere tensioni e pulsioni concentrate e dannose che solitamente si manifestano come interesse ossessivo verso il sesso e l’area genitale in tutti quei casi in cui non trovino modo di essere canalizzate per molto tempo.

L’assistenza sessuale non prevede alcuna tipologia di contatto a rischio contagio, scambio di fluidi né penetrazione. La sfera sessuale è approcciata attraverso lo scambio emozionale e comunicativo, il sentimento dell’accettazione del corpo, la conduzione all’apice del piacere sessuale attraverso le mani.  La durata indicativa della sessione d’incontro è un’ora e mezza.”

Il nostro gruppo su facebook “Assistenza Sessuale”. E’ una scelta.

La petizione si può firmare qui.

Lombardia, salute e il cuore dei cittadini

regione_lombardia_ansa-jpg-crop_displayChiedo al dott. Marco Zanobini, cardiochirurgo presso il Centro Cardiologico Monzino di Milano, se è vero che in Lombardia ci sono più cardiochirurgie che in tutta la Francia: “Se consideriamo che in Lombardia vi sono 20 centri di cardiochirurgia mentre  nella regione francese dell’Ile de France ve ne sono 14,  con una popolazione residente superiore del 15%, possiamo senz’altro dire che in Lombardia ve ne sono troppi. Il dato attuale tiene conto di una programmazione sanitaria effettuata negli anni addietro non troppo illuminata: si decise allora, vista la richiesta immediata di prestazioni cardiochirurgiche che causava lunghe liste di attesa anche superiori ad un anno, di autorizzare l’apertura di un elevato numero di centri, soprattutto privati”. […]

“Si dovrebbe garantire l’accesso di tutta la popolazione ad un elevato standard di cura e al tempo stesso lo si dovrebbe consentire in tempi ragionevoli; mentre la riduzione dei posti letto che si sta portando avanti costituisce un ostacolo. Inoltre si dovrebbe garantire l’appropriatezza delle cure erogate con una continua interazione e collaborazione tra Istituzioni ed operatori del settore, al fine di trovare dei chiari punti di intesa su cui sviluppare una implementazione ed un miglioramento del servizio offerto; a tal proposito ricordo ancora la necessità di un rigoroso controllo della qualità dei risultati clinici forniti soprattutto in un momento come quello attuale in cui si impone la necessità di un serio e razionale controllo della spesa pubblica”.

Domenico De Felice in un’intervista cardiaca che centra il “cuore” della meritocrazia e della programmazione sanitaria fallimentare nonostante la retorica dell’eccellenza.