Vai al contenuto

Giulio Cavalli

Un patto per le storie (ballata per Mauro Rostagno)

24 anni fa moriva Mauro Rostagno. Ieri a Milano molti amici, artisti e persone hanno voluto ricordarlo. Questo il mio ricordo scritto e recitato per lui e la sua meravigliata complessità:

Facciamo un patto. Un regolamento per le storie. Per cercare di provare a tenerlo almeno in bilico questo paese che tende sempre a volere stare a testa in giù e raccontarci che sia comunque tutto così normale. Un patto mica solo per i professionisti, delle storie. Per tutti: chi le racconta, chi le ascolta, chi le vive, chi le subisce, chi le nasconde, chi le confessa e chi sente anche se gli mancano le ultime prove. Ci sono tutti, a pensarci bene. Un patto mica come un comandamento, molto più laico, divertitamente profano come quelle lotte senza bava alla bocca ma con la meraviglia della missione, che manca la tenda, le frecce e gli indiani per poter essere benissimo un pomeriggio tutti insieme in giardino.

Le frasi, prima. Le frasi che nel patto delle storie dovrebbero essere l’andata e il ritorno, l’inizio e la fine e insieme anche il cuore bianco: dice Francesco Milazzo (roba di mafia, per capirsi) che Francesco Messina gli disse “Per Rostagno abbiamo sistemato tutto”. Ecco così. Pronti, via. E la mettiamo la frase sul comodino pronta per usarla come coperchio per chiudere tutto prima di metterla in bella mostra sulla dispensa della cucina o sulla vetreria appena dentro il corridoio d’ingresso. Non è troppo importante il posto. Conta che ci passino spesso i nostri figli, e i figli dei nostri figli e gli amici che invitiamo a casa. E poi viene da solo che la storia si racconta da sola. Scavalca le generazioni con la leggerezza di un’onda di vento. E vive.

Poi facciamo che il protagonista non è il morto. Il protagonista è il vivo. Perché una storia con il morto finisce che è una memoria che non si può mica difendere e allora dentro la storia ci si infilano tutti per raccontare le cose loro che sono così banali, strumentali e oscene che hanno bisogno di infilarsi dentro i morti delle storie degli altri per meritare qualche riga di attenzione. Come una storia che parte dalla fine e serve solo quando è abbastanza fredda con le formiche e gli avvoltoi sopra. Niente formiche e niente avvoltoi, per favore nel patto che vogliamo fare per un’ecologia sana nel raccontare di questo Paese. La storia è del vivo, anche se ha la barba troppo lunga e fa paura alle signore al mercato, che la paura hanno bisogno di rivestirla con la giacca buona dell’odio per riuscire a conviverci, anche se il vivo ha sotto il palato i tempi che sono stati così vivaci e pieni che non si riescono a banalizzare con le etichette con cui si tranquillizzano le epoche, anche se il vivo ha quella curiosità così bambina, ogni anno più bambina di qualche giorno, da diventare una curiosità insopportabilmente leale e fiera, gioiosa e aperta, discutibile e discutente. Che “discutente” nemmeno esiste ma nel nuovo regolamento per le storie ogni parola che lascia un senso, un fastidio o un rumore addosso vale lo stesso. Esiste. Si parla del vivo, si chiede ai vivi, si racconta ai vivi. Si festeggia i compleanni prima del giorno che si muore ammazzati. Perché si festeggia il perché delle cose, con il nuovo patto per le storie, e se manca il perché delle cose non esiste finché qualcuno una volta per tutte non ce lo viene a raccontare. Come le parole che non esistono ma valgono lo stesso, le morti successe e con nemmeno un perché non valgono per essere commemorate. Ci si siede e si aspetta. Si aspetta un senso, un fastidio o un rumore addosso.

Facciamo che è abolita la paura: ogni parola la si pronuncia guardandola negli occhi appena evapora su davanti al naso appena detta. I mandanti sono quelli che scrivono la lettera per uccidere, gli assassini sono gli esecutori che portano la portata al tavolo (e non ci ha mai fatto impazzire l’arresto di un cameriere) e le protezioni sono quelle che curano che tutto fili liscio, come dei manuntentori della strada del proiettile dalla scatola, alle tasche, al tamburo, la pistola, l’aria, vento, faccia e poi le ossa o il marciapiede.

Dico, Mauro ci rideva anche quando si vedeva passare davanti alla faccia le parole. Per dire. Facciamo che teniamo le cose buone e che ci serve tenere sempre in tasca o nel portafoglio. Tipo, come diceva Mauro  “…agli uomini capita di mettere radici, e poi il tronco, i rami, le foglie… quando tira vento, i rami si possono spaccare, le foglie vengono strappate via: allora decidi di non rischiare, di non sfidare il vento. Ti poti, diventi un alberello tranquillo, pochi rami, poche foglie, appena l’indispensabile. Oppure te ne fotti. Cresci e ti allarghi. Vivi. Rischi. Sfidi la mafia, che è una forma di contenimento, di mortificazione. La mafia ti umilia: calati junco che passa la piena, dicono da queste parti. Ecco, la mafia è negazione d’una parola un po’ borghese: la dignità dell’uomo”.

Ecco ci teniamo le frasi buone. Quelle che tengono insieme il vento, le foglie, l’amore e la vita e riescono a raccontare comunque la merda. E ci scappa anche un sorriso mentre la racconti. Facciamo un regolamento per le storie. E decidiamo che ci ricordiamo i buoni e i cattivi. I buoni, come al solito, ce li teniamo come protagonisti per tenerli al centro e per ripararli dagli schizzi che qualcuno di corsa gli butterebbe volentieri in faccia e i cattivi in tutte le mille diversi forme di cattivi. I cattivi fieri di essere cattivi, quelli sono facili e vengono riconosciuti subito dai primi minuti. E i cattivi che vorrebbero rimbalzare tranquilli con la forma dei buoni: gli amici che dimenticano, i polemisti senza fantasia, le sicumere importanti che nessuno se la sente di mettere in discussione, quelli che sembra che scavano e invece spostano solo la sabbia e i cattivi che sono pagati per fare i buoni e se ne fottono perché il bipolarismo dell’etica e la labirintite della morale sono malattie molto in voga in questo paese a testa in giù.

Ecco facciamo che la memoria non la decidono i processi, questo no. Ma i processi una storia hanno il dovere di raccontarcela. Perché un fatto è un fatto perché è stato fatto e se è stato fatto c’è un chi, dove, come, cosa, quando e se siamo fortunati anche un perché. Senza quei sanguinosi sfilacciamenti che durano venti o trent’anni per riprendere il filo della storia. E la memoria è una vigilessa che si preoccupa prima, poi se ne occupa e poi non si addormenta. Semplice come una mamma.

Facciamo che ce la prendiamo la responsabilità della storia di Mauro. Di mettere insieme i pezzi. Di tenere al caldo quelli che abbiamo, di preparare il pennello quello degli archeologi per i pezzi che ci eravamo dimenticati in giro e che rovistiamo tra le siepi tutto intorno con la stessa attenzione come se ci fosse scoppiato per sbaglio il cuore. Poi mettiamo tutto in uno straccio, per riparare dall’umido dal freddo, e i pezzi li rimettiamo in fila girandoli per vedere qual è l’angolo in cui si attaccano e poi ci mettiamo il coperchio. Quello a forma di frase sul comodino pronto per usarla come coperchio per chiudere tutto.

“Per Rostagno abbiamo sistemato tutto”. Ci diciamo. E se riusciamo non spegniamo mica nemmeno il sorriso.

Poi la storia con le nuove regole delle storie in questo paese a testa in giù che vorrebbe convincerci che così è normale, la storia di Mauro la mettiamo in bella mostra sulla dispensa della cucina o sulla vetreria appena dentro il corridoio d’ingresso. Non è troppo importante il posto. Conta che ci passino spesso i nostri figli, e i figli dei nostri figli e gli amici che invitiamo a casa.

“Per Rostagno abbiamo sistemato tutto”. Ci diciamo. E poi viene da solo che la storia si racconta da sola. Scavalca le generazioni con la leggerezza di un’onda di vento. E vive.

(pubblicato su IL FATTO QUOTIDIANO)

Dimissioni

“Raccogliamo la proposta del Partito Democratico e rassegnamo le nostre dimissioni nelle mani del suo capogruppo in Regione Lombardia col mandato di verificare la possibilità di effettive dimissioni della maggioranza dei consiglieri regionali.” Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli affidano a una nota la propria adesione all’iniziativa proposta oggi da Maurizio Martina.

Il nostro comunicato di ieri. Per dire.

Dal porcellum al monstrum

Tra le proposte incredibilmente ancora allo studio delle forze politiche c’è anche un proporzionale puro, e persino le liste bloccate (ancora!). Il tema non è dei più affascinanti, me ne rendo conto, ma sono necessarie alcune brevi riflessioni sul punto.

Parafrasando il rag. Ugo Fantozzi, il proporzionale “è una cagata pazzesca”.

Il sistema proporzionale non permette al cittadino di sapere per chi sta votando. O meglio, lo illude di scegliere tra le molte proposte quella che ritiene più vicina al proprio sentire, salvo poi non sapere chi governerà, con quale coalizione e come dovrà adattarsi il programma di governo per non scontentare nessuno. Prima si formerebbe il Parlamento e poi gli schieramenti verificherebbero le possibili convergenze su una coalizione di governo. Delle miserevoli conseguenze per il Paese ha parlato diffusamente Libertà e Giustizia (leggi qui).

Personalmente, se la cosa non disturba, preferirei conoscere, con qualche giorno di anticipo sulla data delle elezioni, il candidato Presidente del Consiglio, quali partiti lo sostengono e quale sia il programma di governo. Magari, se non chiedo troppo, vorrei essere consultato con delle primarie per poter “dire la mia” almeno sullo schieramento per il quale ho intenzione di votare.

Peggio del proporzionale, però, è la lista bloccata. Un vero cancro nel nostro Paese. Se fossimo civili e se i partiti si facessero carico davvero di garantire le migliori condizioni di governo ai cittadini, il sistema in sé non sarebbe negativo. La possibilità di selezionare “a priori” i rappresentanti comporterebbe il vantaggio per il partito di garantire tra i propri parlamentari un livello morale e tecnico elevato.

Ma non è così. I vertici dei partiti hanno dimostrato la loro totale inettitudine a selezionare una buona classe dirigente. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: Razzi, Scilipoti, Calearo, Barbareschi, Colaninno, Dell’Utri, Cosentino… Nella classifica del peggio, svetta Nicole Minetti. La show girl consigliere regionale è l’emblema della assoluta incapacità di selezione da parte del partito. Nel sistema elettorale regionale i consiglieri vengono scelti attraverso le preferenze. Tutti, tranne quelli del c.d. “listino presidente”. I fedelissimi. Gli eletti a prescindere (purché il candidato presidente vinca la competizione elettorale).

Francesco Arcari apre un dibattito sulla legge elettorale su Non Mi Fermo. L’articolo è da leggere e la discussione sicuramente da sostenere.

20120926-105920.jpg

Cava Cantello: sì allo stralcio

[comunicato stampa]

Troppo spesso, in questa legislatura, abbiamo visto la Giunta usare l’ambiente per interessi privati nei collegi elettorali. Anche per la Cava Cantello si è rischiato il disastro e ci si è fermati solo sul ciglio del burrone” Giulio Cavalli commenta così  a margine del Consiglio Regionale il voto sul ripristino ambientale per la cava di Cantello.

“Il vero bene comune è il senso di responsabilità che la  maggioranza anche in questa occasione ha dimostrato di avere con molta fatica” conclude il consigliere regionale di Sinistra Ecologia Libertà “perché l’unica lobby cui è necessario rispondere è la salute dei cittadini”

Finalmente

Si smette con la caccia in deroga in Lombardia. Passano le pregiudiziali presentate da noi e quella di IDV e non se ne discute nemmeno. E non si tratta di essere ambientalisti, animalisti o qualsiasi altro “isti”, si tratta di una legge illegittima. Punto. Il resto è noia.

Per quelli che “sono tutti uguali”

Perché il gioco per cui se tutti sono ladri alla fine nessuno è ladro. E’ un gioco antico. E allora vale la pena rivendicarle, le differenze.

Forse vale la pena leggervi (e fare leggere) l’articolo qui. Questo il titolo:

 

Due parole

Due parole a Fano, su Andreotti, mafie e questo Paese che potrebbe decidere di ripartire dalla bellezza.

La chiamano razionalizzazione ma sono tagli: le risorse alle politiche sociali in Lombardia

Una relazione (che è anche il nostro programma) su quello che avviene in Lombardia. Di Siria Trezzi.

RISORSE POLITICHE SOCIALI

FONDO NAZIONALE POLITICHE SOCIALI

ANNO trasferimento
2008 94.915.901,37
2009 73.000.000,00
2010 53.801.546,00
2011 24.774.392,36
2012 1.536.000,00

Il riparto del fondo 2012 (che si ripercuote su utilizzo 2013) è praticamente inesistente. Le manovre che si sono seguite negli anni hanno di fatto cancellato il fondo sociale per le politiche sociali. Se dovesse confermarsi il dato di fine luglio, i comuni avrebbero dei trasferimenti ridicoli dallo stato.

Pochi e non consistenti finanziamenti restano invece sulle politiche familiari (circa 40 milioni di €) a seguito dell’approvazione del Piano famiglia da parte del Governo. Inoltre resta un piccolo finanziamento sulle Pari Opportunità di circa 15 milioni di € sempre dal Governo, entrambi ad oggi non sono ancora stati ripartiti.

FONDO SOCIALE REGIONALE

ANNO STANZIAMENTO
2009 85.900.000,00
2010 85.900.000,00
2011 70.000.000,00
2012 70.000.000,00

Dal 2011 lo stanziamento iniziale è stato di 40 milioni di € e solo in seguito a proteste delle associazioni di disabili e dei Comuni nell’ assestamento (in genere a luglio) sono stati recuperati i 30 milioni di € mancanti. Ovviamente non poter disporre della cifra complessiva fin dall’inizio porta disagi alla programmazione dell’offerta e difficoltà nell’erogare adeguatmente i servizi sui territori, trasformandosi di fatto in un risparmio per il bilancio regionale. Inoltre dal 2009 c’è stato comunque un taglio.

Bisogna sottolineare che quest’anno per la prima volta anche nel fondo regionale è stato previsto ‘utilizzo dei voucher per servizi rivolti a persone con disabilità (comunità alloggio, CSE e SFA; assistenza domiciliare).Si tratta di una novità non prevista e che vede i comuni in difficoltà nel rispettare la tempistica data e le modalità proposte. In genere il FSR serviva completamente a sostenere le spese dei servizi sui territori. Si tratta di un cambiamento importante, che con molta probabilità anticipa “il nuovo patto per il welfare lombardo”.

Sempre a luglio sono stati stanziati 24 milioni di € (sempre con assestamento) per minori in  comunità con situazioni di abuso e maltrattamento e per famiglie con ragazzi in affido. Anche in questo caso non si tratta di risorse fresche, ma di un pacchetto di risorse che ciclicamente Regione utilizza per forme di finanziamento differenziate: negli ultimi anni era stato utilizzato per il buono famiglia erogato dalle asl (prima 25 milioni di €, poi 17 milioni di €)

FONDO PER LA NON AUTOSUFFICIENZA

ANNO STANZIAMENTO
2009 44.083.734,18
2010 58.827.457,99
2011 56.494.672,88
2012 ZERO

In questo caso si tratta di un vero e proprio taglio che colpirà in modo drammatico  servizi rivolti alle persone più fragili (anziani e disabili) e che i comuni non sono assolutamente in grado di coprire con risorse proprie. Alcune Regioni hanno creato un fondo specifico per la non autosufficienza che in questo caso poteva servire per contenere i danni.

Stiamo parlando di servizi essenziali, di sostegno al mantenimento al domicilio di persone con una grave fragilità (es buono badante, sostenuto in precedenza anche dalla Regione con i fondi della circolare 41 sulla regolarizzazione delle assistenti familiari), di mantenimento di un minimo di autonomia (buoni trasporto, per assistenza), di garanzia di un stile di vita sufficientemente dignitoso (sollievo, vacanze protette, integrazioni economiche).

Considerazioni 

  • Con evidenza stiamo parlando di tagli drastici che non permetteranno di garantire la sostenibilità economica dei servizi, anche di quelli essenziali. Inoltre si aggiungono gli effetti delle spending review sui bilanci dei comuni che , a questo punto, non potranno nemmeno più compensare con risorse proprie la diminuizione dei trasferimenti. Ciascuno deciderà da solo a cosa dovrà rinunciare? Si potrà parlare direttamente di tagli secchi o continueremo a parlare di razionalizzazione della spesa e ottimizzazione delle risorse?
  • Regione Lombardia negli ultimi anni ha stanziato circa 40 milioni di € sulle politiche di conciliazione (dote conciliazione, leggi sui tempi di vita, bandi conciliazione alle imprese, etc…) che hanno di fatto creato un welfare sostitutivo, invece che incidere sulla situazione occupazionale-economica. Un uso “ipocrita” di risorse che non ha prodotto i risultati sperati e che quindi deve essere rivisto;
  • Vengono stanziate risorse “specialistiche” su alcuni temi, con risultati poco verificabili e sganciati da un sistema di offerta stabile; es buono per la SLA e le malattie del motoneurone, sperimentazioni su residenzialità di vario genere, etc…).
  • Qualche riflessione su consulenze davvero faraoniche andrebbe denunciato (es 5 milioni di € per lo studio e proposta su nuovo welfare,) e proposto un utilizzo più oculato degli esperti che già lavorano e operano in questi settori: Penso ai dirigenti dei Comuni, ad alcuni testimoni privilegiati e competenti del terzo settore, al mondo della conoscenza e dell’università, etc..).

Prospettive

  • A fine settembre dovrebbe chiudersi il percorso di consultazione per la sottoscrizione di “un nuovo patto sul welfare”. Molti sono i punti critici della proposta in campo, ma alcuni rischiano di essere davvero preoccupanti:
  1. Passare dall’offerta alla domanda significa avere una lettura del bisogno precisa e puntuale. I territori non sono gli stessi per composizione demografica, complessità, dati epidemiologici e condizioni economiche. Il modello non può essere standard e nemmeno l’offerta (Milano non è uguale a Varese)
  2. La centralità della famiglia è un concetto sempre più sfruttato da Regione. La famiglia. o meglio le famiglie, non possono trasformarsi un welfare sostitutivo e meno costoso. La famiglia è luogo di relazioni e di coesione sociale prezioso, è risorsa che deve essere valorizzata, ma non è né erogatore di servizi né sostituivo delle funzioni dei servizi pubblici. Inoltre in una condizione di crisi economico-occupazionale come questa è rischioso riversare sulle famiglie, già caricate di troppi oneri, anche le funzioni del “prendersi cura”. La centralità della famiglia rischia di far perdere l’attenzione sulla persona e sui suoi bisogni.
  3. Il riferimento anche per i servizi alla persona sarà la “dote welfare”. Il sistema di Regione Lombardia, ormai basato esclusivamente su doti, buoni e voucher, rischia di compromettere definitivamente il concetto di “presa in carico” della persona con fragilità (come previsto dalla Legge regionale 3) e mina definitivamente la titolarità della programmazione pubblica dei servizi. Senza un sistema che permetta di definire tempi, modalità, risorse per la presa in carico e la definizione di un progetto di aiuto chiaro rischia di trasformarsi in un disorientamento. La presa in carico non può essere sostituita dalla competizione fra i soggetti erogatori di buoni o voucher.
  4. Il piano di zona, che doveva essere il luogo della programmazione del offerta integrata dei servizi e lo strumento per superare la frammentarietà dei comuni rischia di essere privato delle sue funzioni e di terminare l’esperienza, delegando di fatto alle asl le proprie competenze.
  • Da tempo si dichiara a necessità di un’integrazione socio-sanitaria, che però stenta a realizzarsi. Troppi fondi differenziati, risorse parcellizzate, una programmazione non integrata ed efficace. Sarebbe necessaria unificare le deleghe e ripensare il bilancio delle due direzioni in un’ottica integrata, puntando sulla prevenzione, non solo alla malattia, ma anche al disagio.
  • Valorizzare ed incentivare la rete territoriale per creare veramente l‘offerta integrata di servizi alla persona, con una titolarità pubblica della programmazione ed una gestione associata dei servizi. Questo permetterebbe la presa in carico complessiva della persona fragile, senza trasformare la risposta ai bisogni in un semplice buono spesa in mano alle persone.
  • Individuare un principio di equità nell’utilizzo delle risorse (tema della compartecipazione della spesa) e prevedere una proposta di definizione dei liveas, almeno in materia assistenziale.
  • Coordinare e armonizzare i servizi rivolti ad alcune categorie che risultano distribuiti e spezzettati tra troppi interlocutori e enti di competenza (si pensi ad esempio alle persone con disabilità per quanto riguarda i temi sociali, dall’istruzione, al lavoro, al trasporto, sullo stesso tema hanno competenze dirette stato, regione , provincia, comuni)

Sono tutti uguali

Sì, lo so il quadro è desolante. Dopo il caso Fiorito nel Lazio e tutto quello che a cascata ne verrà fuori. E’ imbarazzante che i rendiconti dei soldi pubblici non debbano essere pubblici. Come se esistesse un “pubblico” parallelo che non si può vedere. Ma il giochetto del “tutti uguali” non è etico lo stesso. No. L’articolo è qui.

 

Il caso Sallusti oltre Sallusti

Ho fatto un sogno. Niente di rivoluzionario, per carità, ma qualcosa di utile: provare a cogliere le opportunità oltre che crogiolarsi nelle piccole soddisfacenti vendette. E provare a cogliere nel recente caso Sallusti (almeno per la dimensione mediatica che sta suscitando) un quadro generale di tutela non tanto per chi ha fatto della diffamazione e l’aizzamento a mezzo stampa un marchio di fabbrica (verrebbe da dire che a Sallusti stia capitando un banale contrappasso, del resto) ma per i molti giornalisti precari che non hanno casse di risonanza.

Come scrive Matteo su ValigiaBlu:

La difesa del diritto all’informazione non può essere subordinata allo scalpore provocato dal caso di turno, o allo status del giornalista coinvolto. Non deve diventare, implicitamente, una questione di classe riguardante i giornalisti di serie A. Spesso è proprio il giornalista che lavora nella piccola redazione locale  a subire le pressioni più forti, a essere più esposto a ogni tipo di censura, anche solo antropologica. Perché quando esce dalla redazione, e va in piazza o al bar, si trova gomito a gomito con quei personaggi di cui ha indagato e denunciato le malefatte. Lì trova il sindaco, l’assessore, l’amministratore delegato. Lì vede in faccia chi potrebbe, il giorno dopo, rivolgersi a un avvocato per zittirlo a suon di milioni, una volta letta la cronaca locale. In questi casi il rischio di querela è come avere una parte del cervello chiusa in un carcere le cui pareti sono fatte di paura, ansia, frustrazione e incertezza. Diventa dunque vitale, per poter svolgere al meglio la professione, essere tutelati.

Vale la pena di leggere il suo post e la sua intervista a Stefano Santachiara.