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Giulio Cavalli

«Dissi: ingegnere, vada subito dal pm»

Poiché non sono “tutti uguali” vale la pena leggere l’intervista di Daniela Preziosi a Diego Novelli, ex sindaco di Torino che denunciò la corruzione nella sua giunta, era il 1983:

«In con­fronto a quello che leggo oggi la nostra era una cor­ru­zione da goliardi. Io sco­prii che un impren­di­tore pagava ad alcuni asses­sori le pro­sti­tute ceco­slo­vac­che. Li por­tava a Praga in albergo all inclu­sive. Offriva week end. Un lunedì mi arrivò un asses­sore tutto abbron­zato in pieno inverno. ‘Sei andato a sciare?’. ‘No’, mi disse, ‘ho fatto un viag­getto in Kenya’». Diego Novelli, classe ’31, pre­si­dente ono­ra­rio dell’Anpi tori­nese, una lunga car­riera da gior­na­li­sta dall’Unità degli anni 50 alla al set­ti­ma­nale Avve­ni­menti negli anni 80, oggi dirige il quo­ti­diano online Nuo­va­so­cietà. Ma Novelli è soprat­tutto il mitico sin­daco comu­ni­sta di Torino nel decen­nio 75–85. Quello che nel 1983, dieci anni prima dell’esplosione di Tan­gen­to­poli, di fronte a un sospetto di cor­ru­zione nella sua giunta mette tutto in mano alla pro­cura. Finì con le con­danne. Ma da lì per Novelli la vita poli­tica non fu facile.

Come hai sco­perto che alcuni tuoi asses­sori erano corrotti?
Era venuto da me un impren­di­tore che mi denun­ciava dei fatti ille­citi sugli appalti però senza fare i nomi. La terza volta che viene gli dico: inge­gnere’, era un inge­gnere, si chia­mava Di Leo, ‘o lei fa i nomi o io la denun­cio per calun­nia’. Lui risponde: ‘non mi rovini, ho fami­glia’. ‘Lei è venuto a dirmi che io sono quello del rigore ma non si fida di me. Si fida dei magi­strati?’. Mi fac­cio chia­mare il pro­cu­ra­tore della Repub­blica e gli dico: ‘Le mando que­sto signore, non me lo spa­venti e fac­cia quello che crede’. Poi però, per paura che l’ingegnere uscito dal muni­ci­pio cam­biasse idea, gli metto appresso un vigile della mia scorta, si chia­mava Bar­bero, che lo accom­pa­gni in pro­cura. Dopo tre mesi sono arri­vati gli arresti.

Cosa era successo?
Sco­pri­rono un giro di cor­ru­zione mise­ra­bile. Ave­vamo un appalto da cen­ti­naia di milioni di lire, allora una cifra da capo­giro, per l’informatizzazione di tutto il comune, ana­grafe, bilan­cio, ser­vizi sociali. A pagare tan­genti e viaggi di pia­cere era una ditta di infor­ma­tica ame­ri­cana. Fu arre­stato il mio vice­sin­daco socia­li­sta. Alla fede­ra­zione del Psi fecero let­te­ral­mente piazza pulita: teso­riere, il segre­ta­rio, alcuni asses­sori. Bec­ca­rono anche due dei nostri, due comu­ni­sti che si erano limi­tati a farsi pagare viaggi di pia­cere. Sco­prii che nella lista degli alle­gri viag­gia­tori c’era anche il mio nome, ma con me non ci ave­vano nean­che pro­vato, al mio posto ave­vano offerto il week end a un democristiano.

Ma qui ini­ziano i tuoi pro­blemi politici.
Craxi venne a Torino e chiese in piazza la mia testa. Disse: ‘Novelli non può più fare il sin­daco, non gode più della fidu­cia del Psi’.

Il Pci, il tuo par­tito, come reagì?
Qual­cuno si è schie­rato subito con me, come l’allora segre­ta­rio di fede­ra­zione Piero Fas­sino. Craxi mandò alla fede­ra­zione tori­nese del Psi un com­mis­sa­rio straor­di­na­rio (fu scelto Giu­liano Amato, ndr), fui accu­sato di non aver «risolto poli­ti­ca­mente la que­stione». I socia­li­sti usci­rono dalla giunta, io mi dimisi e for­mammo una giunta mono­co­lore comu­ni­sta con qual­che indi­pen­dente. I socia­li­sti in teo­ria ci davano l’appoggio esterno, ma mi fecero venire l’esaurimento: ogni giorno non sapevo nean­che se in con­si­glio avevo il numero legale. Siamo andati avanti fino a novem­bre ‘84 quando hanno con­vinto, diciamo così, due com­pa­gni comu­ni­sti di pas­sare al gruppo socia­li­sta. Il 25 gen­naio dell’85, a tre mesi dalle ele­zioni, ci fu un ribal­tone. E venne eletto un sin­daco socia­li­sta soste­nuto da una giunta pen­ta­par­tito. Così quello che aveva chie­sto Craxi in piazza nel marzo dell’83, e cioè la mia testa, si era avverato.

Poi però il Pci tori­nese alle ele­zioni dell’85 ti ricandidò.
Ma il Pci era rima­sto iso­lato, fummo bat­tuti dal pentapartito.

E dal Pci nazio­nale quali segnali arrivarono?
Al con­gresso d Milano, che si svol­geva pro­prio in quei giorni, inter­venni e spie­gai che l’iniziativa era par­tita dal sin­daco quindi non dove­vamo temere nulla: noi ci siamo sem­pre com­por­tati con rigore. Quando la com­mis­sione ristretta del comi­tato cen­trale discusse i nomi della dire­zione del par­tito, nell’elenco c’era il mio nome. Ma quel nome fu tolto.

Chi lo tolse?
E’ pas­sato molto tempo, lasciamo stare. I pro­ta­go­ni­sti si saranno emen­dati. Partì lan­cia in resta il segre­ta­rio regio­nale dell’Emilia che diceva: atten­zione, noi abbiamo tutte le giunte con i socia­li­sti, se ora met­tiamo Novelli in dire­zione sem­bra che lo abbiamo pre­miato per­ché ha fatto que­sta cosa con­tro il Psi. Ricordo che Nilde Jotti dalla tri­buna del comi­tato cen­trale si rivolse a me con que­ste parole: com­pa­gno Novelli, quando si hanno inca­ri­chi così deli­cati biso­gna saper can­tare e por­tare la croce. Molti anni dopo, leg­gendo il libro di Luciano Barca, Cro­na­che dall’interno del ver­tice del Pci (Rubet­tino, 2005, ndr) ho sco­perto com’è andata. Barca scrive così, rac­con­tando del con­gresso: «La rive­la­zione di Novelli mette subito allo sco­perto che nella Dire­zione del Pci con­vi­vono ormai due posi­zioni oppo­ste: c’è chi con­si­dera il sin­daco un giu­sto che ha fatto il suo dovere e chi, come Maca­luso, un “povero cre­tino mora­li­sta”». Barca rac­conta anche che poi in com­mis­sione elet­to­rale sulla pro­po­sta di por­tare me in dire­zione, soste­nuta da Minucci, Pec­chioli e Pajetta e con il favore di Ber­lin­guer, «la pro­po­sta è respinta sotto l’attacco della destra» (si tratta ovvia­mente della destra del Pci, ndr).

Ma come può suc­ce­dere che in un par­tito non ci si renda conto che il pro­prio com­pa­gno è un mascalzone?
Non so spie­gar­melo. Un par­tito deve sem­pre tenere alta l’attenzione. Io avver­tii i primi sin­tomi di inqui­na­mento all’inizio degli anni 80. A Torino furono le prime avvi­sa­glie di Tan­gen­to­poli, che però arrivò molto dopo. Ma nes­suno poteva cadere dal pero: il primo segnale cla­mo­roso lo dette pro­prio Ber­lin­guer, nel luglio dell’81, nella famosa inter­vi­sta a Euge­nio Scal­fari sulla que­stione morale. Dove dice: «I par­titi hanno dege­ne­rato».

Dice ‘i par­titi’, non ‘gli altri par­titi’. Era chiaro il segnale di allarme che stava lan­ciando era anche verso il suo Pci.

(Il manifesto, 9 dicembre 2014)

Caro Giulio

Caro Giulio,
te lo giuro che ci ho provato cento volte a scriverlo e riscriverlo questo pezzo. Mangiato, sputato e rimangiato come non si dovrebbe fare per il rispetto per le storie che nei documenti bollati si scrivono con le maiuscole. Ho provato a metterci il rigore e tutto l’impettimento degli studiosi scientifici ma mi sembrava di martellare un palazzo bello ma abusivo, costruito sulla spiaggia, anche se con l’aria da ingegnere. Ho provato a scriverlo e ripetermelo in testa con l’eco di muro e legno dei tribunali ma qui il cuore della storia sta tutto nella giustezza più che nella giustizia.
Una mattina mi ci sono messo di piglio, con tutte le carte e i trucchi da camerino, raccogliendo gli avanzi di scenografie che avevo sparso in giro, e mi sono detto che magari con quattro parrucche e del rossetto pesante saremmo riusciti tutti a digerirla, questa storia. Sbagliato.
Caro Giulio, l’unico inizio vero è che questa storia accende la nausea: nausea nera, nausea pelosa, nausea incurabile. Una storia che galleggia tutta nei fondi che non si riescono a sciacquare, una storia che spia dalla serratura cinquant’anni di istituzioni che si baciano di nascosto nei cessi, una storia che sta nelle risalite a pelo d’acqua per prendere fiato e più in basso è tutta acqua al buio, una storia che non rimane in piedi senza livore e senza la sua nausea.
Caro Giulio, confesso che ci è uscito un libro maleducato e rissoso. Di quella maleducazione indignata che batte sulle vene in testa e che si vorrebbe in prescrizione. E non vale né pentirsi né dissociarsi. Ci sono palcoscenici che vanno usati e palcoscenici che vanno osati: non cerchiamo l’equilibrio educato da teatro stabile dentro questo girotondo di onorevoli venerabili e di bugie liriche. Caro Giulio, questo libro è stato martellato tutto storto, con dentro i fatti desunti e i nomi rivoltabili come un Molière senza boccoli e sorrisi. Ma indignato. Indignato sì. E ci avessimo messo il papillon all’indignazione forse sarebbe stato meglio ma non ci avrebbe creduto quasi nessuno. Un libro scritto, detto, e dispiaciuto. Con la nausea come odore di introduzione.

(dal libro L’INNOCENZA DI GIULIO, Andreotti e la mafia in offerta qui nella nostra piccola libreria)

Le confische che non confiscano

Parole, immagini e azioni della Casa della Legalità e della Cultura:

canfarotta

Quella dell’operazione “TERRA DI NESSUNO”, promossa ed eseguita dal Centro Operativo D.I.A. di Genova con la collaborazione dell’Arma dei Carabinieri il 3 luglio 2009, a carico dei CANFAROTTA – LO RE è stata una delle più consistenti e rapide confische nel nord Italia, nonostante fosse ancora in vigore la vecchia e più complessa normativa sulle misure preventive. Un risultato a cui come Casa della Legalità, con la costante collaborazione dei Liberi Cittadini della Maddalena, si è portato un concreto contributo perché il contrasto all’illegalità, alle mafie come allo sfruttamento della prostituzione, deve vedere un azione civile concreta e collaborante con le Autorità dello Stato, non limitandosi a slogan o parate.

Ai CANFAROTTA – LO RE, oltre alla misura della Sorveglianza Speciale di P.S., sono stati confiscati beni per un valore di circa 5 milioni di euro. Beni immobili principalmente a Genova, nel centro storico ma anche a Coronata (otto), a Cornigliano(due) e Sampierdarena (quattro), a Rivarolo (uno) e Campasso (uno), ad Apparizione (uno). Quelli di Fontanigorda(tre terreni, due magazzini, sei appartamenti) non hanno visto, invece, seguito al sequestro. Due i beni confiscati anche a Ceva(una colonna intera di un vecchio casolare contadino) in provincia di Cuneo ed altri anche nella città di Palermo (otto beni immobili e due terreni)…

A Genova risultavano 103 unità immobiliari ma sei di questi immobili certamente erano stati accatastati due volte, uno è stato dissequestrato e tre non risultavano più di proprietà (uno espropriato, uno risultava già venduto ed un altro che non risultava più di proprietà).

Nel centro storico di Genova si tratta, certamente, di 75 unità immobiliari (tra magazzini, bassi, appartamenti). Immobili che, ad oggi, sono nella gestione dell’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati.

Di questi immobili diversi risultano (ancora al dicembre 2014) occupati abusivamente dai CANFAROTTA – LO RE. Precisamente:
– l’unità immobiliare sita in VIA CANNETO IL CURTO 25 R;
– l’unità immobiliare (appartamento) sita in VIA MACELLI DI SOZIGLIA 4 int. 2;
– unità immobiliare (appartamento) sita in VIA STEFANO CANZIO 4 int. 1;
– unità immobiliare (appartamento) sita in VIA CORONATA (SALITA PADRE UMILE) 10 int. 1
– sembrerebbe che anche gli altri immobili siti negli altri interni di CORONATA siano occupati e/o comunque nella disponibilità dei CANFAROTTA – LO RE, così come sempre il CANFAROTTA Benito considera ancora nella sua disponibilità (occupandoli con materiali ed andandoci ogni tanto) altri beni, tra cui il magazzino/cantina di VICO DELL’UMILTA’.

Per queste occupazioni abusive, come Casa della Legalità, abbiamo inviato un Esposto-Denuncia alla Procura della Repubblica ed al Questore di Genova, oltre che per conoscenza anche al Prefetto. Non è infatti tollerabile l’affronto allo Statoche costoro perpetuano e, quindi, per questo non devono soltanto essere perseguiti penalmente ma anche sgomberati con estrema urgenza dai beni confiscati loro dallo Stato. Per chi ha sfruttato esseri umani, facendoli vivere in condizione disumane e sfruttandoli per la prostituzione, non ci può essere alcuna pietà!

Per quanto concerne il bene confiscato di via Canneto il Curto 25 rosso siamo anche riusciti a documentare con alcune foto l’occupazione abusiva da parte del CANFAROTTA Benito:

CANFAROTTA Benito tiene aperto il bene confiscatogli che occupa
il bene confiscato occupato dal CANFAROTTA in via Canneto il Curto
Oltre a quelli occupati abusivamente dai CANFAROTTA, degli altri beni confiscati a Genova ne risultano occupati a vario titolo 31 (18 con contratto in essere prima della confisca definitiva – contratti che possono essere cessati in ogni momento in base alla normativa vigente – ed altri 13 occupati senza contratto e quindi abusivamente).

Fatta questa panoramica sulla situazione reale, passiamo alla prospettiva.

Nel giugno scorso inviammo all’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati, alla Prefettura ed al Comune di Genovauna proposta aperta per un progetto di gestione di alcuni beni confiscati. Dal Comune di Genova (Assessore Fiorini) non giunse alcuna risposta, mentre il Prefetto ha segnalato l’interessamento della Casa della Legalità al Delegato dell’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati che ci ha contattati. Da qui, oltre ad aver acquisito le informazioni sulla situazione generale, abbiamo sviluppato i dovuti approfondimenti e le valutazioni conseguenti. Ovviamente, come nostra prassi, partendo dal territorio. E’ così che si è proceduto con il coinvolgimento di quella realtà che da lungo tempo (e non dalle ultime settimane o qualche mese) vive, opera e si impegna su quel territorio, come i Liberi Cittadini della Maddalena, che già ci aveva fornito il massimo supporto per raccogliere quegli elementi che passati alla D.I.A. sono divenuti utili in quella Operazione “Terra di Nessuno” che ha portato alla confisca dei beni ai CANFAROTTA (così come, parallelamente, sono stati colpiti dalla Polizia di Stato gli ZAPPONE e dalla Guardia di Finanza il CACI Rosario, che veniva ospitato dal Comune di Genova in un albergo di Via Balbi e con anche assegnazione di casa popolare, dopo l’occupazione abusiva dei beni – come da nostra denuncia pubblica ed all’A.G. – che la D.I.A. gli aveva confiscato in Vico delle Mele… ovviamente mentre l’allora Amministrazione comunale che faceva parate a destra e a manca contro le mafie, sic!).

Vista la situazione di totale stallo sui beni confiscati ai CANFAROTTA (nel contesto che abbiamo già delineato al dettaglio) abbiamo promosso due proposte. Una proposta generale su come affrontare lo sblocco della situazione, arrivando a coinvolgere cittadinanza, associazioni ed Istituzioni in un percorso comune dove i singoli interventi di ciascuno arrivino a comporre un mosaico di intervento, con il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscati, senza gravare sulla spesa pubblica e che conducano ad una “bonifica” non soltanto circoscritta agli immobili ma con ampia ricaduta sul territorio del centro storico. L’altra è la formale manifestazione di interesse e richiesta di assegnazione di alcuni beni confiscati sulla base di un progetto specifico di intervento, fondato sul volontariato (e non sulle sovvenzioni pubbliche), che sia anche in grado di autoalimentare economicamente la stessa gestione dei beni confiscati per cui si richiede l’utilizzo e le attività previste nel progetto. Non solo quindi proposte generiche o grandi riflessioni, ma concretezza e diretta assunzione di responsabilità, come nostra (pessima, a quanto pare) abitudine.

Le abbiamo inviate entrambe in data 30 novembre 2014 e sono state, ovviamente, protocollate il 1 dicembre 2014. Unico riscontro giunto è stato quello del Delegato dell’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati. Da lì si è avviata la fase dei sopralluoghi finalizzata ad accertare lo stato effettivo degli immobili per confermare o modificare la richiesta di assegnazione. Non sono stati pochi i problemi in questo ambito visto che purtroppo mancano diverse chiavi per poter accedere ai beni confiscati e l’iter per il cambio di lucchetti o serrature che l’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati deve seguire, oltre alla carenza delle risorse per farlo materialmente. Dai sopralluoghi si è potuto constatare, ad esempio, che vi sono molte incongruenze tra la metratura dichiarata e quella reale, visto che, ad esempio, l’immobile sito in Vico del Duca angolo Via della Maddalena risulta essere stato frazionato e quindi quasi dimezzato come spazio. Da qui quindi la decisione di modificare la richiesta con un altro bene confiscato, sempre nella zona della Maddalena, perché è lì che occorre promuovere una rinascita concreta che necessita di iniziative concrete, presenza che vada oltre alle iniziative di facciata e di marketing.

Il Sindaco di Genova, Marco Doria, che si diletta in “sefie” antimafia, non ha ovviamente dato alcun cenno di riscontro né al progetto che abbiamo formalmente presentato, né alla proposta generale di percorso che si è avanzata. Ha invece, a quanto appreso dalla sua Segreteria, passato la palla all’Assessore alla Legalità, Fiorini (da cui attendiamo ancora una risposta dal giugno scorso) ed all’Assessore al Bilancio, Miceli. Anche da questi ancora nessun riscontro è giunto.

E’ triste constatare questa disattenzione su una questione che dovrebbe vedere il Comune in prima linea. Ci spiace anche perché dovrebbero capire che le iniziative di “immagine” che si promuovono in tema di legalità e di antimafia, non servono ad un fico secco se non c’è un’azione concreta sul territorio.

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“Se non fosse stato ucciso oggi Renatino De Pedis starebbe in Parlamento, minimo sottosegretario”

hqdefault“C’è sempre qualcuno dei ripuliti a comandare, a stare sopra, senza i ripuliti non andremmo da nessuna parte, fermi alle rapine”. L’intervista del Fatto Quotidiano ad Antonio Mancini, ex boss della Banda della Magliana, apre la caccia all’uomo che sta sopra Massimo Carminati nella scala gerarchica di Mafia Capitale, un “insospettabile”.

Antonio Mancini conosce Massimo Carminati, il “Guercio” o il “Nero” di Romanzo Criminale, da “quando aveva tutti e due gli occhi boni”, spiega, e lo ha visto crescere come uno abituato a “drizzare i torti”. “La più grossa sorpresa, anzi l’unica, sono i termini che utilizza Massimo. Io me lo ricordo come una persona educata, riservata, taciturna, conosceva l’italiano. Ora si aggrappa a espressioni forti che non gli appartenevano” spiega Mancini, più noto come Accattone della Banda della Magliana. Inizialmente non lo vedeva come un leader, “per me era un ragazzo d’azione. Ma è stato bravo a riempire il vuoto lasciato da Renatino De Pedis dopo la sua morte”. Se non fosse stato ucciso “oggi Renatino starebbe in Parlamento, minimo sottosegretario. Lui è morto incensurato. Eppure ha ammazzato la gente con me, ha rapinato con me, è stato dentro, ma è riuscito a farsi ripulire tutto”. Fu lo stesso De Pedis a dire ad Antonio Mancini che “era stato sempre Carminati a far parte del commando che ha ammazzato Mino Pecorelli”, il giornalista ucciso nel 1979. E aggiunge: “Ha presente quante e quali prove avevano su di lui rispetto all’omicidio Pecorelli? Chiunque altro, me compreso, sarebbe stato condannato”.

Carminati sale poi ai vertici dell’organizzazione perché “di tutti gli altri che c’erano attorno a Renato, era l’unico ad avere lo spessore giusto, appellava De Pedis come presidente, ci sono le intercettazioni a raccontarlo, ed era l’unico a poter riacchiappare i fili della varie componenti“. C’è però qualcuno sopra Carminati, Antonio Mancini è sicuro di questo: “C’è sempre qualcuno dei ripuliti a comandare, a stare sopra, senza i ripuliti non andremmo da nessuna parte” spiega al Fatto Quotidiano, “anche per questo nella Banda c’è stata la frattura tra noi della Magliana e quelli di Testaccio”. Perché “loro avevano preso le sembianze mafiose, esattamente quelle che hanno scoperto ora. Noi della Magliana eravamo banditi da strada, amavamo le rapine, senza guardarci le spalle, senza compromessi”.

Per quelli di Testaccio Carminati “era l’unico ad avere le chiavi per entrare nell’armeria del Ministero della Sanità” e Mancini lo tira in ballo per la strage di Bologna perché “il fucile ritrovato alla stazione stava nella nostra armeria, e lui aveva le chiavi e lui già stava dentro a certe storie di Servizi”.

Accattone è convinto che Carminati uscirà presto, “prima di quanto potete immaginare, altrimenti dovrebbero incarcerare mezzo mondo”. Ricordando il suo passato da Boss della Banda della Magliana, Mancini dice che “noi eravamo il terzo mondo di Carminati, quello in basso; mentre oggi quello di mezzo, e quello sopra, si utilizzano a vicenda, per questo dico che Carminati ne uscirà pulito; il mondo di sopra si salverà, e porterà con sè il mondo di mezzo e ucciderà il mondo di sotto”.

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A Brescia intanto

Arriva Roberto Pennisi nella sezione bresciana della DIA.

Ormai anche agli amministratori negazionisti più arditi conviene fare un po’ di antimafia da parata per non farsi cogliere di sorpresa in occasione dei futuri arresti per associazione mafiosa.

Moltiplicava i pani, i pesci e i profughi: Luca Odevaine (ex braccio destro di Veltroni)

luca-odevaine-durante-le-operazioni-di-sgombero-del-campo-rom-di-via-troili-a-ro-620558Se il Pdl trema, anche il Pd non è messo tanto bene. L’ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni, Luca Odevaine (arrestato per corruzione aggravata), si faceva versare le tangenti su conti segreti di moglie e figlio. E il capo della segreteria del sindaco Ignazio Marino, Mattia Stella, (non indagato) oltre a essere stato più volte tirato in ballo da Salvatore Buzzi nelle intercettazioni, c’era stato tranquillamente a cena.

Luca Odevaine – membro del Coordinamento nazionale sull’accoglienza profughi – preferiva incassare le mazzette sui conti correnti bancari dei parenti. A partire da quello dell’ex moglie venezuelana Lozada Hernandez Nitza del Valle per passare poi a quello del figlio Thomas Edinson Enrique Lozada. Considerato «il moltiplicatore dei profughi da destinare al centro di Buzzi» per fargli guadagnare di più, Odevaine è stato anche consigliere del ministro dei Beni Culturali Giovanna Melandri.

Secondo la procura e i carabinieri del Ros il sodalizio con Buzzi si ritroverebbe nelle forti pressioni per trasferire i migranti in altre strutture parallele: per questo sarebbe stato pagato mensilmente con i 5 mila euro. Le ha provate tutte, Odevaine, per aggirare i controlli: chiamava la tangente «affitto» e la voleva depositata su conti non a lui direttamente riconducibili.

Il 15 febbraio 2013 spedisce un sms a Salvatore Buzzi: «Salve, buongiorno. Puoi verificarmi gli affitti, per piacere. Sono un po’ in difficoltà. Grazie, un abbraccio…». La ricompensa, in passato pagata con bonifico sul conto dell’ex moglie venezuelana, doveva finire nelle mani del figlio Thomas. Ma un intoppo ha creato confusione. Odevaine incalza dunque Buzzi: «No, se so’ sbagliati, hanno mandato… purtroppo m’hanno fatto un bordello i tuoi, l’hanno mandato al… al vecchio conto».

La sua preoccupazione è che l’ex moglie ora non gli consegni il denaro ricevuto per errore: «Eh, no, m’ha bruciato, chiaramente, quella, figurati, che so’ arrivati… col cazzo che me li dà, però va be’…». Buzzi cerca allora di calmarlo, spiegando che si è trattato della svista di una collaboratrice «…Sandra gliel’ha ridato, se so’ sbagliati loro, hanno… ce… ce l’avevano quello… quello buono di iban, no? Quello di, di… di Thomas, e però per… si vede che per errore, in automatico… l’hanno mandato a quell’altro di prima…».

Destinata a scatenare nuove polemiche è invece la cena tra Buzzi e Mattia Stella. L’uomo vicinissimo a Marino non è indagato ma dalle intercettazioni dei carabinieri del Ros, agli ordini del generale Mario Parente e il colonnello Stefano Russo, emerge che «i rapporti con la nuova amministrazione comunale da parte di Buzzi sono costituiti da una relazione con il capo della segreteria del sindaco, Mattia Stella, che s’intrecciano con quelli con Mirko Coratti (Pd, presidente del consiglio comunale, dimessosi dopo essere stato indagato per corruzione aggravata e illecito finanziamento ndr), massimamente in relazione alla questione Ama.

Eloquente nel senso della costruzione di un rapporto privilegiato con Stella è la conversazione nella quale Buzzi chiamava Carlo Guarany, lo informava che prima sarebbe andato in Ama e successivamente sarebbe andato presso il Gabinetto per incontrare Mattia. Conversazione nella quale Guarany diceva che occorreva “valorizzare” Mattia e “legarlo” di più a loro».

Non sono indagati e minacciano querele anche i deputati Pd Micaela Campana e Umberto Marroni, sollecitati da Buzzi per ottenere un’interrogazione parlamentare sull’appalto su un centro rifugiati bloccato da un giudice del Tar del Lazio. E se la Campana saluta Buzzi, via sms, con «Bacio grande capo», Umberto Marroni, alle 18.31 del 20 marzo scorso gli inviava il seguente sms: «Ho parlato con Micaela meniamo». E, in riferimento alla stesura del testo, precisava «La sta preparando Micaela».

(link)

La bugia dell’onorevole Micaela Campana (PD)

Ha poco da lamentarsi l’onorevole del PD Micaela Campana che protesta per i possibili fraintendimenti del suo sms a Salvatore Buzzi, uomo coinvolto in pieno nell’inchiesta Mafia Capitale. Chiede che non siano estrapolate le frasi in modo che possano essere fraintese ma a leggere bene l’ordinanza (che abbiamo pubblicata per intero qui) c’è qualcosa di peggio del “bacio virtuale” via sms:

La sera del 20.03.2014, Salvatore BUZZI riceveva notizia del fatto che l’interrogazione, proposta dai parlamentari del PD da lui definiti “amici miei”, a breve sarebbe stata presentata. Già alle ore 18.31, Umberto MARRONI (deputato PD, ndr)  gli inviava un SMS recante il testo: “Ho parlato con Micaela meniamo” e, in riferimento alla stesura del testo, precisava “La sta preparando Micaela”.
[…]
Infine, alle ore 21.03, riceveva l’attesa notizia proprio da Micaela CAMPANA, la quale inviava al BUZZI il seguente SMS: “Parlato con segretario ministro. Mi ha buttato giu due righe per evitare il fatto che mi bloccano l’interrogazione perche non c’e ancora procedimento. Domani mattina ti chiamo e ti dico. Bacio grande capo”.
Alle ore 15.49 del 21.03.2014, Salvatore BUZZI riceveva un SMS dal BARBIERI (assistente dell’onorevole Campana, ndr), che lo informava di un “rigetto” dell’interrogazione per difetto di presupposti, avendo come esclusivo fondamento le notizie di stampa: “Buongiorno mica (Micaela, ndr) aveva depositato interrogazione, ma l’ufficio responsabile ce l’ha rigettata perche non era congrua essendo basata solo su articoli di giornali, ora l’ufficio ce la riscrive affinche non venga rigettata ma ci vorra qualche giorno. Simone”.

Io, fossi in lei, penserei bene anche all’opportunità di dimettermi. Sul serio.