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Giulio Cavalli

Arrestato il boss di San Giorgio Extra

f786be46cbe846b008ddff3720386fce_XLREGGIO CALABRIA – In manette il cugino dell’ex assessore del Comune di Reggio Calabria Giuseppe Plutino che si adoperò per raccogliere voti per il centrodestra.

Dopo la condanna dei giorni scorsi di Plutino a 12 anni di reclusione, la squadra mobile di Reggio Calabria ha arrestato Filippo Condemi, 53 anni, ritenuto affiliato al sodalizio ‘ndranghetista Borghetto-Caridi-Zindato operante nei quartieri di Modena, Ciccarello e San Giorgio Extra. Il provvedimento è stato emesso dal tribunale di Reggio – Sezione dibattimentale, su richiesta della Procura distrettuale antimafia, dopo la condanna inflitta a Condemi il 3 dicembre scorso al termine del processo “S.Giorgio extra” a 10 di reclusione per associazione mafiosa.

Il percolato dell’etica in Lombardia

C’è la consulenza da 3mila euro al mese a un idraulico che ha il solo merito di essere l’autista dell’ex ministro Mariastella Gelmini. C’è il contratto a una ragazzina appena maggiorenne, figliastra dell’ex consigliere regionale Angelo Giammario, che non ricorda di aver firmato nulla. C’è il gommista che incassa oltre 23mila euro come rimborso spese per la sua attività di segretario dell’Udc di Bergamo, grazie alla generosità dell’ex assessore regionale Mario Scotti.

E poi c’è un politico di An, Luca Daniel Ferrazzi, eletto nella lista Maroni Presidente, che concede la consulenza a una ex commessa e poi, mese dopo mese, si fa dare indietro i soldi in contanti. L’inchiesta sulle consulenze facili in Regione Lombardia, coordinata dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dai pm Antonio D’Alessio e Paolo Filippini, non finisce di regalare sorprese. E dopo aver scoperchiato la Parentopoli del Pirellone, con gli incarichi che finivano a figli, sorelle, mariti e fidanzati, svela come i destinatari del denaro pubblico abbiano incassato soldi senza aver svolto nulla. E spesso senza nemmeno sapere cosa firmavano.

Il contratto alla liceale. È il caso di Michelle Cattini, 18 anni e 9 mesi quando ottiene una consulenza in Regione dal consigliere pdl Angelo Giammario. Il politico ha sposato in seconde nozze la madre della ragazza, che davanti agli uomini del nucleo di polizia tributaria sembra non sapere nulla dell’incarico. «Riconosco la firma come la mia — dice — ma ribadisco di non aver lavorato con la Regione. Alla data della stipula frequentavo il quinto anno del liceo classico». Poi gli investigatori invitano la ragazza a guardare meglio il contratto. «Non mi sembra di averlo mai sottoscritto né letto. Questa è la prima volta che lo vedo nonostante la firma apposta in calce sia la mia». Il mistero sarà forse risolto dal patrigno, che dovrà rispondere di truffa nel processo.

L’autista della Gelmini. Ugo Fornasari è un idraulico con licenza elementare di Cacinato (Brescia). Eppure è riuscito a spuntare un ricco mensile da 3mila 500 euro dalla Regione dal gennaio al giugno 2008: 22mila 200 euro in totale. Fornasari, però, non è un idraulico qualunque: ha un ex ministro per amica. «Dal 2005 al 2008 — dice ai pm a marzo — ho svolto la mansione di collaboratore dell’allora consigliere regionale Mariastella Gelmini (che non è indagata). La conosco da molto tempo in quanto è un’amica di famiglia. Intorno al ’94 mi ha proposto di lavorare in Regione, nel suo ufficio. Facevo l’autista dal suo paese nel bresciano fino al Pirellone». Sulla sua consulenza su “materie attinenti l’area territoriale”, per cui è indagato l’ex capogruppo pdl Paolo Valentini, Fornasari non ricorda molto. «Non sono in grado di chiarire a cosa possa riferirsi l’oggetto del contratto. Ho firmato senza conoscere il contenuto. Ribadisco che la mia attività prevalente era quella di autista della Gelmini».

Il gommista esperto di case. Diplomato segretario d’azienda, autotrasportatore da giovane, poi gommista, Sergio Boschetti, sessant’anni, ex segretario provinciale dell’Udc di Bergamo, ha ottenuto nel 2008 tre contratti dall’allora assessore alla Casa, Mario Scotti, ora indagato per truffa, per un totale di 23mila euro. «Ricordo — dice in Procura — che le somme che mi venivano bonificate sul mio conto erano erogate per finanziare le spese che sopportavo come segretario dell’Udc». Anche se l’oggetto dei contratti faceva riferimento alle “problematiche sull’edilizia residenziale pubblica”.

I contanti per Ferrazzi. Graziella Caruso, ex commessa, ha avuto due contratti in Regione. Col primo, 25mila euro l’anno, «lavoravo regolarmente in ufficio». Col secondo, 28mila euro nel 2010, «non ho svolto nessuna attività, perché il compenso che ricevevo sul mio conto corrente non è mai stato da me utilizzato. Prelevavo in contanti i soldi e li portavo all’assessore Luca Ferrazzi presso il suo ufficio di Gallarate». Racconta la donna, allora 29enne, di aver ricevuto una telefonata da Ferrazzi, indagato per truffa, eletto nel listino di Maroni. «Mi invitò a un incontro. Lì mi chiese un favore, adducendo che il partito, An, aveva necessità di soldi. Mi riferì che vi erano dei soldi della Regione da utilizzare e che era un peccato perderli — continua la donna — A quel punto mi chiese esplicitamente di sottoscrivere un contratto di collaborazione con la Regione per 1.000 euro al mese e che successivamente avrei dovuto consegnare il contante nelle mani dello stesso Ferrazzi»

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Carminati: da Milano a Roma, da Fausto e Iaio alla ‘ndrangheta passando per Roma

massimo-carminati-206213Una svastica d’oro tempestata di diamanti. Da appendere al collo con una catenina. Bisogna partire da questo gingillo che portava Francis Turatello, storico boss della mala di Milano, prima nemico e poi testimone di nozze di Renato Vallanzasca, ucciso brutalmente in carcere nel 1981, per capire i legami del Re di Roma Massimo Carminati con Milano. Il Cecato, il Nero della Banda della Magliana, il protagonista dell’inchiesta su Mafia Capitale, è infatti nato nel capoluogo lombardo nel 1958. Di origini bergamasche, è qui che ha iniziato a coltivare sin da giovanissimo la passione per la destra eversiva che lo ha portato poi nei Nuclei Armati Rivoluzionari, i temibili Nar. Carminati si trasferisce nella Capitale insieme con la famiglia negli anni ’70, ma continua a mantenere rapporti con il Nord, con la città che in quegli anni vede in piazza San Babila l’avamposto della destra milanese negli scontri con la sinistra antagonista.

«Faceva parte dei Nar con cui noi della destra missina abbiamo avuto sempre da polemizzare. Erano schegge impazzite. Lui per di più teneva i rapporti tra una certa destra militarizzata e la malavita organizzata, quella di Francis Turatello e della mafia del Brenta di Felice Maniero»

E’ la trincea nera dei picchiatori, tra Ordine Nuovo, Terza Posizione o esponenti del Msi di Giorgio Almirante. Il nome di Carminati spunta persino nell’omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo “Iaio” Iannucci, i due ragazzi diciottenni del Leoncavallo, uccisi il 18 marzo del 1978. Il Re di Roma, in sostanza, non è un personaggio qualunque. «E’ sempre stato un personaggio border line» spiega un camerata milanese che lo ha conosciuto e che chiede rassicurazioni sull’anonimato. «Faceva parte dei Nar con cui noi della destra missina abbiamo avuto sempre da polemizzare. Erano schegge impazzite. Lui per di più teneva i rapporti tra una certa destra militarizzata e la malavita organizzata, quella di Francis Turatello e della mafia del Brenta di Felice Maniero…». Fu Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, condannato per la Strage di Bologna, a descrivere nei numerosi processi Carminati come un killer spietato, al soldo dei servizi segreti e della Banda della Magliana.

Oltre ad aver conosciuto Giusva a Roma, i due erano compagni di scuola, Carminati può vantare le conoscenze dei Nar milanesi. E’ il collante tra il Nord e il Sud, in quel mondo fatto di rapine, spaccio di droga e politica. Tra i suoi sodali c’è Gilberto Cavallini, ora rinchiuso nel carcere di Terni o Lino Guaglianone, ex tesoriere del gruppo terroristico, condannato nel 1992, dalla quarta Corte d’Assise di Milano per associazione sovversiva e partecipazione a banda armata. Guaglianone non è personaggio da poco. Proprietario di alcune palestre di boxe, tra cui la Doria in pieno centro, è stato candidato più volte in regione Lombardia e ha vantato in questi anni appoggi politici nel centrodestra – in particolare Alleanza Nazionale di Ignazio La Russa – che lo hanno portato a sedersi in consigli di amministrazione di importanti società pubbliche.

MILANO, I NERI E LA ‘NDRANGHETA

Del resto se Milano è diventata provincia di Reggio Calabria lo deve anche a quel legame forte tra il colore nero e la criminalità organizzata calabrese, in particolare il clan De Stefano. Tra i Nar con una carriera fulminante sotto la madonnina c’è appunto Guaglianone. L’ex tesoriere costituisce diverse società, partecipa ad altre, si candida al Pirellone e a Palazzo Marino senza essere eletto, ma arriva a sedersi nel consiglio di amministrazione di Ferrovie Nord Milano, società pubblica gestita al 57% da Regione Lombardia e nel collegio sindacale di Fiera Congressi Milano, altra partecipata lombarda. Negli anni ’90 per lui arriva una condanna per banda armata e riciclaggio. Anni dopo finisce nelle carte dell’inchiesta della dda di Milano “Redux-Caposaldo” per alcuni suoi incontri con Paolo Martino, definito dagli inquirenti come il tramite tra i De Stefano di Reggio Calabria e le cosche insediate al nord. Ambienti che non a caso ritornano poi nell’inchiesta su Mafia Capitale, con indagini per associazione a delinquere persino sull’ex sindaco Gianni Alemanno, esponente storico della destra italiana. 

Ambienti che non a caso ritornano poi nell’inchiesta su Mafia Capitale

Grattacapi più grossi però per il giro “nero” arrivano con le indagini su Francesco Belsito, ex tesoriere della Lega Nord. Qui le indagini toccano uno dei punti nevralgici dell’intreccio: lo studio Mgim di via Durini. Non è un mistero che i pm di Reggio Calabria nell’inchiesta sui conti della Lega Nord sia arrivata a contestare anche l’associazione segreta.Secondo il pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio della Direzione Nazionale Antimafia le indagini proverebbero la caratteristica di segretezza della presunta associazione fra professionisti e imprenditori in odore di ‘ndrangheta, tanto da rientrare nella fattispecie prevista dalla Legge Anselmi. Non è un caso, tra l’altro, che la vicenda delle società riconducibili alla galassia sia ricostruita anche nella relazione dei commissari prefettizi che portò allo scioglimento del comune di Reggio Calabria. Si legge nelle carte: vi sono i “noti professionisti” Bruno Mafrici (calabrese classe 75, non è neppure avvocato è indagato per riciclaggio, ma compare pure in altre indagini della Dda calabrese, tra queste pure un omicidio del 2008) ,Guaglianone e Giorgio Laurendi, amministratore unico della società Milasl e subentrato a Guaglianone nel ruolo. Milasl è una delle società citate nel decreto di scioglimento del comune di Reggio Calabria, con sede in via Durini 14. Lo stesso Laurendi detiene il 20% dello studio Mgim e figura insieme a Michelangelo Tibaldi, nella compagine di Multiservizi, società partecipata al 51% dal comune di Reggio Calabria, sciolta per mafia alcuni mesi fa per infiltrazioni della cosca.

Proprio in uno dei locali milanesi della Milasl in via Pareto, gestito dalla società Brick di Tibaldi ha trovato posto la sede di “Lealtà e Azione”, dietro la quale si muovono anche gli Hammerskin, movimento neonazi internazionale. Leader degli Hammer milanesi è Domenico Bosa, detto Mimmo Hammer, gelese classe ’67 e un passato con qualche guaio con la giustizia. Bosa, non indagato, verrà comunque pizzicato da due recenti inchieste del Gico della Guardia di Finanza perché in rapporti con il narcotrafficante montenegrino Milutin Todorivic, che a sua volta intratteneva rapporti con il boss della ‘ndrangheta Pepè Flachi. A fare da sfondo la “bamba” e una malavita che anche a Milano incrocia criminalità organizzata e ambienti dell’estrema destra.

L’OMICIDIO DI FAUSTO E IAIO

Alla fine degli anni ’80 due giornalisti, Fabio Poletti e Umberto Gay scrivono una controinchiesta sull’omicidio di Fausto e Iaio, che fu rivendicato proprio dai Nar come vendetta per la morte di Sergio Ramelli. La vicenda non si è mai risolta. «La nostra fu un’inchiesta sull’ambiente in cui era maturato quell’omicidio, non avevamo individuato i colpevoli», ricorda Poletti. Non ci riusciranno neppure i giudici dopo aver indagato proprio su Carminati, Mario Corsi, detto Marione, ex capo della curva della Roma pure lui tra le carte dell’inchiesta di Mafia Capitale e Claudio Bracci, cognato del Re di Roma. Stefano Dambruoso, nel 1999, ha archiviato l’inchiesta per insufficienza di prove. Eppure anche in quella storia di due ragazzi di diciotto anni trucidati con otto colpi di pistola s’incrociano i misteri d’Italia che ritornano di attualità dopo l’arresto di Carminati, uno degli esponenti più importanti della Banda della Magliana, cerniera tra la malavita organizzata, l’estremismo di destra e servizi segreti deviati. C’è infatti un lato inquietante inella morte dei due ragazzi. E riguarda via Montenevoso, strada dove negli anni ’70, al numero 9, c’era un covo delle Brigate Rosse. Fausto Tinelli viveva al numero 8.

Anche in quella storia di due ragazzi di diciotto anni trucidati con otto colpi di pistola s’incrociano i misteri d’Italia che ritornano di attualità dopo l’arresto di Carminati

E proprio in quella palazzina, come ricostruirà in una puntata Chi l’ha visto, che i servizi segreti hanno una piccola mansarda da dove spiano i brigatisti: dalla finestra della camera di Fausto si vedono le finestre del rifugio brigatista. In via Montenevoso quasi 12 anni dopo sarà ritrovato il memoriale di Aldo Moro, lo statista democristiano rapito il 16 marzo del 1978, due giorni prima di quel massacro di via Mancinelli. Danila Angeli, madre di Fausto, in diverse interviste alla fine del 2000 tirò in ballo i servizi segreti. Dopo l’omicidio di mio figlio», raccontò la madre di Tinelli, «ognuno offriva la sua versione. Chi parlò di regolamento di conti tra spacciatori di droga, oppure una faida tra gruppi della sinistra extraparlamentare. Negli anni ho riannodato i fili della memoria, i pezzi di un piccolo mosaico che mi ha permesso di raggiungere la vera verità che io conosco. Mio figlio è stato vittima di un commando di killer giunti da Roma a Milano, nel pieno del rapimento di Aldo Moro, in una città blindata da forze dell’ordine. Un omicidio su commissione di uomini dei servizi segreti. Gli apparati dello Stato avevano affittato un appartamento al terzo piano del mio palazzo, in via Monte Nevoso 9, esattamente davanti all’appartamento in cui risiedevano appartenenti alle Brigate Rosse, responsabili del rapimento Moro, dove vennero rinvenuti i memoriali del presidente della Democrazia cristiana». Un altro tassello nella storia di Carminati che non ha mai avuto risposta. 

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‘Peppe la mucca’ e la ‘ndrangheta da esportazione

Dopo il fermo del 18 novembre, originato dall’indagine ‘Insubria’ della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Milano, arriva oggi l’ordinanza di custodia cautelare in carcere – voluta dalla DDA di Reggio Calabria – per cinque esponenti della ‘Ndrangheta di Giffone e Grotteria legati al locale svizzero di Frauenfeld.

Le manette dei Carabinieri del ROS e del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria sono scattate all’alba per Giuseppe Larosa, Pasquale V., Salvatore B., Antonio M., Vincenzo C. in quanto ritenuti responsabili di aver fatto parte, con altre persone allo stato non ancora individuate, dell’associazione mafiosa denominata ‘Ndrangheta, operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, del territorio nazionale ed estero.

Le indagini si basano sulla densa attività di intercettazione, comprensiva di riprese video, nonché sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia portate avanti dai ROS di Milano durante l’indagine ‘Insubria’ che ha portato, come abbiamo scritto, all’arresto di 40 persone ritenute affiliate alla ‘Ndrangheta in Lombardia.

L’indagine reggina ha provato il ruolo fondamentale ricoperto da Giuseppe Larosa, alias ‘Peppe la mucca’, in possesso della dote di Mammasantissima, con ruolo di vertice della ‘Ndrangheta e, in particolare – come spiega Il Dispaccio – “dell’articolazione territoriale riferibile alla Locale di Giffone, alla quale sono subordinate le Locali individuate nella Brianza comasca di Cermenate e Fino Mornasco, e quella di Calolziocorte nel lecchese, nonché altre Locali ancora non meglio individuate. Inoltre, l’organizzazione mafiosa di Giffone capeggiata da Larosa, così come documentato nel corso delle attività investigative condotte dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Reggio Calabria nell’ambito dell’indagine denominata ‘Helvetia’ dell’agosto scorso, è collegata con altre strutture ‘ndranghetistiche calabresi, quali la Locale di Fabrizia della provincia di Vibo Valentia e con la dipendente Società di Frauenfeld (Svizzera).

Il lavoro puntale dei ROS ha inoltre dimostrato come il panettiere incensurato Pasquale V., già arrestato a novembre, fosse in possesso della dote della Santa, e ricoprisse quindi un ruolo di rilievo nell’ambito della Locale di Giffone stando in strettissimo contatto con Giuseppe Larosa. Importante anche Vincenzo C., sempre legato a Larosa, e partecipe del locale di Grotteria, attivo sia in Svizzera che in Germania.

Tornando a Larosa, il suo ruolo in Svizzera e’ da non sottovalutare. Dalla Svizzera Larosa – si legge sull’OCC – era investito del ruolo di mantenere i contatti con le locali lombarde, funzionalmente dipendenti da quella di Giffone, nonché con gli altri affiliati residenti all’estero, tra cui Antonio Nesci a capo della locale di ‘Ndrangheta di Frauenfeld e inteso ‘cucchiarune’, alias ‘la montagna della Svizzera’, come avevamo scritto dopo il suo arresto ad agosto.

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Negare, insistere, insistere, negare.

Leggetevi Luigi Castaldi:

In tal senso occorre denunciare come pericolo pubblico chi si spende nel liquidare come inutile allarmismo il solerte intervento su un focolaio. Non sarà untore, ma al pari dei politici, delle procure, dei preti e del popolino che decenni fa in Sicilia negavano l’esistenza della mafia – de facto – lavora perché la peste diventi endemica.  «Secondo me – dice – questa storia della cupola mafiosa a Roma è una bufala… Forse tutto questo è abbastanza per una delle solite retate nel mondo del delitto, ma non è un po’ poco per definire il contenuto di un patto mafioso corruttivo nella capitale del paese?… Niente è più credibile a Roma, città estranea antropologicamente a tutti quelli che ora indagano su di essa, di una rete di piccola e media criminalità che si avvale di complicità dei bassifondi politici o di alcuni pesci piccoli che vi nuotano. Ma è allo stato delle cose totalmente incredibile la surrealtà di una cupola mafiosa, sia pure in forma originale, che si sia impossessata della città per realizzare fini di guida e orientamento politico della sua vita amministrativa nei modi e nelle forme che sono suggeriti dal linguaggio delle intercettazioni e dalla sua elaborazione nelle notizie relative all’inchiesta… Quella che vi stanno dando non è informazione su un’associazione delinquenziale ma una coglionatura ideologica per creduloni. »(Il Foglio, 4.12.2014).

È il fisiologico rosicchiar di topi dove c’è formaggio, insomma, e si tratta di topi che ruggiscono come leoni, ma topi restano, e chi gli corre appresso è un esaltato con la fissa dei safari. Er Cecato avrà un avvocato, ma pure la cecataggine ne ha uno. Sì, il morto ha un sasso in bocca, ma era un fimminaro e l’avrà fatto fuori un marito cornuto.

Confiscati bar, ristoranti, ville: a Roma anche la ‘ndrangheta pascola indisturbata

Le quote sociali e l‘intero patrimonio aziendale della Macc 4 Srl, con sede nella capitale che si occupa di acquisto, vendita e gestione di bar, ristoranti, pizzerie, rosticcerie, proprietaria del bar Antiche mura; il 30% delle quote del capitale sociale e del patrimonio aziendale, comprensivo dei conti correnti, della Colonna Antonina 2004 Srl titolare, sino al novembre 2009, del noto Bar Chigi; due immobili, tra cui un villino di pregio, a Roma; appezzamenti di terreno agricolo per oltre 12 mila metri quadri; vari rapporti finanziari bancari, postali ed assicurativi: sono i beni confiscati dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria.
I beni, secondo le indagini del Comando provinciale di Reggio Calabria e del Servizio centrale investigazione criminalità organizzata di Roma, sono riconducibili, direttamente o indirettamente, a due affiliati di rilievo, Francesco Frisina, di 58 anni, ed il nipote Alessandro Mazzullo (31).
Frisina è figlio di Domenico, già affiliato alla cosca ucciso il 4 luglio 1979, nell’ambito della guerra di ‘ndrangheta che sino al 1990, aveva visto coinvolte le cosche Condello e e Gallico che ha mietuto più di 50 vittime. Mazzullo è figlio di Giuseppe , ritenuto uno dei “rampolli” emergenti della Cosca Gallico, al quale è stato attribuito il ruolo di intestatario fittizio dell’associazione criminale a Roma.
Dalle indagini è emerso come la cosca, proprio grazie a Frisina e Mazzullo ed ai legami da quest’ultimi, instaurati con altri soggetti di elevata caratura criminale a vario titolo collegati alla storica cosca degli Alvaro nelle ramificazioni di Sinopoli e Cosoleto rispettivamente denominate “Carni i cani” e “Testazza o Cudalonga”, già da tempo impiantate nel comprensorio romano, avesse delocalizzato il proprio centro di interessi dalla Calabria alla Capitale. I due, dopo il trasferimento a Roma, in breve tempo, erano riusciti a condurre una serie di operazioni finanziarie finalizzate all’acquisizione, diretta o indiretta, di diversi immobili, nonché alla gestione di varie attività commerciali – in primis nel settore della ristorazione – manipolando le regole di libero mercato con l’alterazione dei dettami commerciali e finanziari del contesto socio-economico romano. Inoltre è emerso che, a fronte dell’esigua capacità di reddito, i due hanno investito ingenti capitali.
Frisina e Mazzullo sono stati anche sottoposti alla sorveglianza speciale di ps per 3 anni e 6 mesi con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora.

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Ora a Roma si esulta per il Meno peggio

Ci pensavo proprio oggi e invece l’aveva già scritto perfettamente Alessandro:

Con l’esplosione della vicenda Alemanno-Carminati, la riabilitazione di Marino è giunta a conclusione. «Meno male che il problema di Roma era la Panda» è stato il commento più scritto e visto in giro delle ultime 24 ore. Ci si è resi conto nelle mani di chi era questa città, come sindaco e amici, fino a 17 mesi fa. Roba da brividi alla schiena. Certo, nell’inchiesta è finito anche un pezzo di Pd. Ma il presidente del consiglio comunale indagato, Mirko Coratti, era proprio tra quei potenti piddini che fino a dieci giorni fa facevano i bulli col sindaco. E l’assessore Daniele Ozzimo era un altro ras delle preferenze, uomo di Umberto Marroni, insomma un’altra delle tribù armate democratiche. Ovvio che rispetto a questa gente il chirurgo in bicicletta faccia la figura dello statista.

Resta il dubbio che se Marino non era un grande amministratore fino un mese fa – e qui basta uscire di casa per averne contezza – non è che lo sia diventato adesso. Resta cioè il dubbio che sia scattata inesorabile la logica del meno peggio.

Salvini si sceglie un vice, ovviamente indagato. Ma non solo.

Il nuovo vice di Salvini nominato nel Consiglio Federale della Lega è lo stesso capace di essere ubiquo secondo la Procura di Torino che lo sta indagando per peculato poiché, scrive Tgcom:

Un po’ come Riccardo Molinari, che a maggio 2011 passa la notte per 120 euro in un hotel ad Avila, in Spagna, ma secondo il registro della Guardia di finanza è a Castelletto Monferrato.

Ma non basta: secondo le antiche tradizioni leghista di diplomi “presi” all’estero, Riccardo Molinari risulta avvocato “stabilito” essendosi laureato in Spagna (lecitamente, ovviamente, si presume).

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(grazie a Marco)