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Giulio Cavalli

Poliziotti e poliziotti

Mentre siamo costretti a discutere dei poliziotti che vergognosamente (e da codardi istituzionali) hanno applaudito i colleghi assassini di Federico Aldrovandi (riuscendo a farsi riprendere da Renzi, Alfano, il capo della Polizia Alessandro Pansa e qualche centinaio di migliaia di cittadini) è morto a 53 anni Roberto Mancini, il poliziotto che con le sue indagini ha anticipato di 15 anni ciò che poi è stato il disastro della Terra dei Fuochi.

Nei primi anni ’90 inizia a lavorare sul traffico illecito di rifiuti in Campania. Nel 1996, dieci anni prima dell’uscita del libro “Gomorra” di Roberto Saviano, consegna un’informativa alla Procura di Napoli che verrà presa in considerazione soltanto nel 2011. Le carte consegnate da Mancini svelavano nel dettaglio attraverso intercettazioni, pedinamenti, dichiarazioni di pentiti, i nomi delle aziende del Nord coinvolte nel traffico: come l’Indesit e la Q8. Descrivevano i rapporti tra camorra, massoneria e politica. Anticipavano quel sistema che ha portato al biocidio della Terra dei fuochi.

L’informativa rimane in un cassetto per 15 anni. Fin quando nel 2011 il pubblico ministero Alessandro Milita la trova e la mette agli atti del processo per disastro ambientale e inquinamento delle falde acquifere. Tra gli imputati anche Cipriano Chianese, broker dei rifiuti del clan dei casalesi, che gestiva tutto il sistema criminale.

Negli anni successivi alle indagini, tra 1997 e il 2001, Mancini lavora come consulente per la Commissione rifiuti della Camera dei deputati. Il presidente è Massimo Scalia. Esegue decine d’ispezioni e sopralluoghi in discariche di rifiuti tossici nocivi e in siti di stoccaggio di materiali radioattivi. È proprio in questo periodo che Mancini si ammala di Linfoma non-Hodgkin.

La diagnosi arriva nel 2002. Il ministero degli Interni certifica il suo cancro del sangue come “causa di servizio” e gli riconosce un indennizzo di 5000 euro. A Roberto Mancini non bastano: “È un’ingiustizia”, dice. Così inizia la sua guerra contro lo Stato. Nel luglio 2013 la Camera gli nega un ulteriore indennizzo. La battaglia continua. Il 6 Aprile 2014 vengono consegnate a Montecitorio oltre 20mila firme in calce a un appello che chiede che a Mancini sia riconosciuto il giusto risarcimento. La Camera promette l’apertura di un’istruttoria. A oggi la petizione di change.org è stata sottoscritta da più di 50mila persone.

Claudio che fa i nomi

claudio_favaPuò piacere o non può piacere ma Claudio Fava è una delle più belle menti dell’antimafia in Italia: studia, invita allo studio, analizza senza ego o sicumera, discute con curiosità e intelligenza, non ha mai bisogno di alzare i toni o risarcirsi con vendette personali. In più Claudio Fava è una gran penna: densa, umanissima e con grande memoria. In Commissione Antimafia una presenza come la sua può solo farci bene (nonostante il resto) e al di là delle posizioni politiche non si può non riconoscergli l’abitudine di fare nomi e cognomi.

Per questo non stupisce che più di qualche mafioso sia infastidito da lui e per questo non colpisce che (ancora una volta, nella sua già lunga carriera intellettuale) arrivino le minacce.

A Claudio un abbraccio (che è soprattutto per noi) di continuare a distinguersi e non sentirsi solo in quel pantano.

Processo trattativa: Mancino non risponde

>>>ANSA/STATO-MAFIA: A GIUDIZIO TUTTI E 10 GLI IMPUTATILa strategia difensiva di Mancino al processo sulla trattativa Stato-mafia è il silenzio. Certo vale dal punto di vista giudiziario e quindi non resta che concederglielo ma un cosiddetto “uomo di Stato” che non parla e non sostiene una propria posizione in uno dei gangli più oscuri di questo Paese può essere liberamente, onestamente e oggettivamente giudicato un omertoso.

E’ una persona perbenissimo

dellutri1Roma, 28 apr. (TMNews) – “Ho negato assolutamente, non sapevo neppure dove fosse. E’ stata una sorpresa sapere che fosse in Libano”. Così, durante una intervista a Piazza Pulita, Silvio Berlusconi risponde a Corrado Formigli che gli chiede se sia stato lui a suggerirgli di andare in Libano.

“Dell’Utri – aggiunge – è un persona perbenissimo, è un cattolico fervente, non conosco cose negative che abbia fatto Marcello Dell’Utri. Soffre da vent’anni di una accusa assurda che non esiste nemmeno nei codici: quello di concorso esterno in associazione mafiosa”.

(Questa è una notizia dell’agenzia TMNews)

Arrestato Pignatelli

E’ stato localizzato a Juan Dolio, a Santo Domingo, e arrestato dal Servizio Centrale Operativo (Sco) della Polizia, insieme a Interpol Roma e uomini della questura di Reggio Calabria, il boss Nicola Pignatelli, 43 anni, latitante dal 2011 e ricercato per 416 bis e reati di droga.

L’uomo, inserito nell’elenco dei 100 latitanti più pericolosi dal ministero dell’Interno, ha una condanna a 13 anni e 6 mesi, in primo grado, perchè ritenuto elemento di vertice della cosca Mazzaferro Ursino Aquino.

Quello di Gioiosa Ionica è attualmente ritenuto uno dei più potenti cartelli della ‘ndrangheta dedito al traffico internazionale di droga.

A Toronto uccidono Verduci

Attento alla ‘ndrangheta internazionale La Valle dei Templi riporta una notizia che pesa:

Carmine-VerduciCittadino canadese, ma nativo di Oppido Mamertina in Calabria, il 56enne Carmine Verduci era conosciuto dagli inquirenti italiani che nel 2009 lo avevano intercettato mentre parlava al telefono con Giuseppe Comisso in merito agli equilibri interni alla ?Ndrangheta calabrese.
Un’intercettazione che lo aveva portato ad un accusa per associazione a delinquere di stampo mafioso.

La sua vicinanza a Carmelo Bruzzese, ha portato gli inquirenti canadesi a ritenere Verduci uno dei leader della criminalità calabrese in Canada.

Ad ucciderlo fuori da un club privato, secondo quanto narrato agli inquirenti da alcuni testimoni oculari, sarebbero stati due uomini che dopo aver sparato sarebbero fuggiti a bordo di un’automobile.

Gli investigatori, con i quali collaborano diversi testimoni, stanno analizzando i filmati delle telecamere di video sorveglianza degli esercizi commerciali della zona.

L’omicidio di Verduci, secondo la polizia canadese, rientra nella guerra di mafia per il controllo di Montreal, scoppiata tra la ‘Ndrangheta e la Sesta Famiglia. Una lunga scia di sangue che non ha risparmiato nessuna delle due opposte organizzazioni criminali e che sembrava dovesse arrestarsi con la morte – per cause naturali – di Vito Rizzuto, il 23 dic 2013.

Questo nuovo omicidio lascia pensare che nonostante la morte del boss della Sesta Famiglia, la mafia siciliana miri a mantenere il controllo di Montreal e in particolare dei traffici portuali ed è pronta a continuare quella guerra che nell’ultimo periodo aveva assunto il carattere di una vendetta che apparteneva soltanto ai Rizzuto.

Io, siccome è il 25 aprile

Proverei ad ascoltare e riflettere sul documento-manifesto del 29 aprile approvato dal Comitato nazionale dell’Anpi sulle riforme costituzionale:

Il Comitato nazionale dell’ANPI rileva che:

– l’indirizzo che si sta assumendo nella politica governativa in tema di riforme e di politica istituzionale non appare corrispondente a quella che dovrebbe essere la normalità democratica;

– si sta privilegiando il tema della governabilità (pur rilevante) rispetto a quello della rappresentanza (che è di fondamentale e imprescindibile importanza);

– si continua nel cammino – anomalo – già intrapreso da tempo, per cui è il Governo che assume l’iniziativa in tema di riforme costituzionali e pretende di dettare indirizzi e tempi al Parlamento;

– un rinnovamento della politica e delle istituzioni è essenziale per il nostro Paese, come già rilevato nel documento dell’ANPI del 12 marzo 2014;

– sono certamente necessari aggiustamenti anche del sistema parlamentare, così come definito dalla Costituzione, rispettando peraltro non solo la linea fondamentale perseguita dal legislatore costituente, ma anche le esigenze di centralità del Parlamento, della rappresentanza dei cittadini, del controllo sull’attività dell’Esecutivo, delle aziende e degli enti pubblici, in ogni loro forma e manifestazione;

– in questo contesto, è giusto superare innanzitutto il cosiddetto bicameralismo “perfetto”, fondato su un identico lavoro delle due Camere e quindi, alla lunga, foriero anche di lungaggini e difficoltà del procedimento legislativo; ma occorre farlo mantenendo appieno la sovranità popolare, così come espressa fin dall’art. 1 della Costituzione e garantendo una rappresentanza vera ed effettiva dei cittadini, nelle forme più dirette;

– il Senato, dunque, non va “abolito”, così come non va eliminata l’elezione da parte dei cittadini della parte maggiore dei suoi componenti; possono essere individuate anche forme di rappresentanza di altri interessi, nel Senato, come quelli delle autonomie locali, della cultura, dei saperi, della scienza; ma in forme tali da non alterare il delicato equilibrio delle funzioni e della rappresentanza;

– la maggior parte dell’attività legislativa può ben essere assegnata alla Camera, così come il voto di fiducia al Governo; ma individuando nel contempo forme di partecipazione e tipi di intervento da parte del Senato, così come previsto in molti dei modelli già esistenti in altri Paesi;

– in nessun modo il Senato può essere escluso da alcune leggi di carattere istituzionale, nonché dalla partecipazione alla formazione del bilancio, che è lo strumento fondamentale e politico dell’azione istituzionale e dei suoi indirizzi anche con riferimento alle attività di Autonomia e Regioni;

– tutto questo può essere realizzato agevolmente, anche con una consistente riduzione di spese, non solo unificando la gran parte dei servizi delle due Camere, ma anche riducendo il numero dei parlamentari, sia della Camera che del Senato, vista l’opportunità offerta dalla differenziazione delle funzioni;

– bisogna anche dire che concentrare tutti i poteri su una sola Camera, per di più composta anche col premio di maggioranza, lasciando altri compiti minori ad un organismo non elettivo, con una composizione spuria e fortemente discutibile ed obiettivi e funzioni altrettanto oscure, non appare rispondente affatto al disegno costituzionale, dotato di una sua intima coerenza proprio perché fatto di poteri e contropoteri e di equilibri estremamente delicati; un disegno che in qualche aspetto può – e deve – essere aggiornato, ma non fino al punto di stravolgere quello originario.

Queste sembrano, all’ANPI, le linee fondamentali di un cambiamento democratico delle istituzioni, che esalti il ruolo del Parlamento, rafforzi la rappresentanza dei cittadini in tutte le sue espressioni, ed assegni ad ognuna di esse il ruolo che le compete secondo gli orientamenti generali della Carta Costituzionale e le esigenze della democrazia, da perseguire con economicità di spesa ed efficienza dei risultati.

Appare, altresì, pacifico che deve essere riformato il titolo V della Costituzione, procedendo ad una più razionale ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, che elimini ragioni di conflitto e consenta agli organi centrali dello Stato di esprimere una legislazione di pieno indirizzo su materie fondamentali per tutto il territorio; definisca compiutamente e definitivamente il ruolo delle Regioni, a loro volta bisognose di riforme sulla base dell’esperienza realizzata dal 1970 ad oggi, che spesso le ha viste diventare altri organismi di centralizzazione dei poteri e le riconduca a funzioni di indirizzo e controllo e non di gestione; nonché precisi in modo conclusivo tutta la materia delle Province e degli enti intermedi, finora risolta con provvedimenti parziali che non sembrano corrispondere ad esigenze di effettiva razionalità e di contenimento delle spese.

Tutto questo richiederà tempi più adeguati, escluderà la fretta, rispondente, piuttosto che ad esigenze razionali, ad altro tipo di logiche; ma dovrà essere affrontato senza tergiversazioni e senza inopinati stravolgimenti dei metodi e degli stessi contenuti. Se è giusto porre rimedio ad alcune incongruenze strutturali rivelate dall’esperienza, l’obiettivo deve essere quello di farlo con saggezza e ponderazione, ed anche con le competenze necessarie, sempre preferibili alla improvvisazione ed all’incoerenza di una fretta dettata da ragioni molto lontane dal rispetto con cui si devono affrontare serie riforme costituzionali.

Ci sono, sul tappeto, diverse proposte; altre sono fornite dall’esperienza giuridica e politica di altri Paesi; le si esamini senza pregiudizi e insofferenze ed ascoltando pareri e proposte che possono contribuire al miglior esito delle riforme.

E si approfitti dell’occasione per un ripensamento della legge elettorale, che così come approvata da un ramo del Parlamento, non risponde alle esigenze di una vera rappresentanza e di democrazia e soprattutto contraddice, oltre alle attese di gran parte dei cittadini, le stesse indicazioni della Corte Costituzionale.

Infine, l’occasione non appare idonea per raccogliere l’antica esigenza, manifestata da altri Governi e sempre respinta, di un rafforzamento dell’esecutivo e del suo Presidente, che vada a scapito della funzione e del ruolo del Parlamento, al quale il Governo può indicare priorità, come è suo diritto, ma non imporre scadenze e calendari privilegiati rispetto a qualunque autonoma iniziativa del Parlamento.

Su tutti questi temi, l’ANPI è pronta a discutere e confrontarsi, ma prima di ogni altra cosa, intende informare i cittadini, perché sappiano qual è la reale posta in gioco e capiscano che questa Associazione, che si rifà a valori fondamentali e in essi trova la sua forza e la sua autorevolezza, intende esercitare non solo la sua funzione critica, ma anche la sua capacità propositiva, nel rispetto assoluto del suo ruolo e della sua autonomia.

Quando si tratta di difendere valori che si richiamano alla Costituzione ed alla democrazia, oltreché ai diritti di fondo in cui si esprime la sovranità popolare, l’ANPI non può che essere in campo, non per conservare, ma per innovare, restando però sempre ancorata ai valori ed ai princìpi della Costituzione.

Questa non è l’ora della obbedienza ai diktat, ma è quella della mobilitazione, a cui chiamiamo tutti i cittadini, per fare ciò che occorre con la dovuta ponderazione e col rispetto e la salvaguardia degli interessi fondamentali dei cittadini, che certo aspirano ad un rinnovamento, ma in un contesto equilibrato e democratico, corrispondente alle linee coerenti e chiaramente definite dalla Costituzione repubblicana.

 

 

Vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo.

di Pietro Calamandrei

[..] Ma fino da allora cominciò la Resistenza: contro l’oppressione fascista che voleva ridurre l’uomo a cosa, l’antifascismo significò la Resistenza della persona umana che si rifiutava di diventare cosa e voleva restare persona: e voleva che tutti gli uomini restassero persone: e sentiva che bastava offendere in un uomo questa dignità della persona, perché nello stesso tempo in tutti gli altri uomini questa stessa dignità rimanesse umiliata e ferita. Cominciò così, quando il fascismo si fu impadronito dello Stato, la Resistenza che durò venti anni. Il ventennio fascista non fu, come oggi qualche sciagurato immemore figura di credere, un ventennio di ordine e di grandezza nazionale: fu un ventennio di sconcio illegalismo, di umiliazione, di corrosione morale, di soffocazione quotidiana, di sorda e sotterranea disgregazione civile. Non si combatteva più sulle piazze, dove gli squadristi avevano ormai bruciato ogni simbolo di libertà, ma si resisteva in segreto, nelle tipografie clandestine dalle quali fino dal 1925 cominciarono ad uscire i primi foglietti alla macchia, nelle guardine della polizia, nell’aula del Tribunale speciale, nelle prigioni, tra i confinati, tra i reclusi, tra i fuorusciti. E ogni tanto in quella lotta sorda c’era un caduto, il cui nome risuonava in quella silenziosa oppressione come una voce fraterna, che nel dire addio rincuorava i superstiti a continuare: Matteotti, Amendola, don Minzoni, Gobetti, Rosselli, Gramsci, Trentin. Venti anni di resistenza sorda: ma era resistenza anche quella: e forse la più difficile, la più dura e la più sconsolata.

Vent’anni: e alla fine la guerra partigiana scoppiò come una miracolosa esplosione. Lo storico che fra cento anni studierà a distanza le vicende di questo periodo, narrerà la guerra di liberazione come una guerra che durò venticinque anni, dal 1920 al 1945, e ricorderà che la sfida lanciata dagli squadristi del 1920 fu raccolta e definitivamente stroncata dai partigiani del 1945. E il 25 aprile finalmente i vecchi conti col fascismo furono saldati: e la partita conclusa per sempre.
Non bisogna credere, come qualche pietoso oggi vorrebbe per carità di patria, che gli orrori degli ultimi due anni siano stati così spaventosi solo perché il nemico era mutato: perché gli oppressori non erano più soltanto i fascisti nostrani, ma erano gli invasori tedeschi, gli Unni calati dai paesi della barbarie.
E’ vero sì, che gli ultimi due anni portano il nome di Kesselring; ma Kesselring fu l’ultimo dono che Mussolini fece all’Italia; fu l’ultimo volto di una follia che da venti anni preparava l’Italia a quell’epilogo spaventoso. Su su, regione per regione, borgo per borgo, porta per porta, la furia barbarica, chiamata in casa nostra dal dittatore impazzito, passava e livellava come una falce. […]

La Resistenza alla fine li spazzò via; ma non bisogna oggi considerar quell’epilogo soltanto come la cacciata dello straniero. Quella vittoria non fu soltanto vittoria contro gli invasori di fuori: fu vittoria contro gli oppressori, contro gli invasori di dentro. Perché, sì, veramente, il fascismo fu un’invasione che veniva dal di dentro, un prevalere temporaneo di qualche cosa di bestiale che si era annidato o si era ridestato dentro di noi: e la Liberazione fu veramente come la crisi acuta di un morbo che finalmente si spezzava dentro il nostro petto, come lo strappo risoluto con cui il popolo italiano riuscì con le sue stesse mani a svellere dal suo cuore un groviglio di serpi, che per venti anni l’aveva soffocato.

Vittoria contro noi stessi: aver ritrovato dentro noi stessi la dignità dell’uomo. Questo fu il significato morale della Resistenza: questa fu la fiamma miracolosa della Resistenza.
Aver riscoperto la dignità dell’uomo, e la universale indivisibilità di essa: questa scoperta della indivisibilità della libertà e della pace, per cui la lotta di un popolo per la sua liberazione è insieme lotta per la liberazione di tutti i popoli dalla schiavitù del denaro e del terrore, questo sentimento della uguaglianza morale di ogni creatura umana, qualunque sia la sua nazione o la sua religione o il colore della sua pelle, questo è l’apporto più prezioso e più fecondo di cui ci ha arricchito la Resistenza.

(Passato e avvenire della Resistenza, discorso tenuto da Piero Calamandrei il 28 febbraio 1954 al Teatro Lirico di Milano)

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