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Giulio Cavalli

Nelle foibe c’è ancora posto

181125457-a66e187a-e4d1-41a2-b80d-7311d054e2c6L’ha scritto il capogruppo in zona 9 a Milano di Rifondazione Comunista-Sinistra per Pisapia, Leonardo Cribio che per il Giorno del Ricordo ha deciso di onorarci con una cazzata degna del più becero comico di Caracas. E il fatto che mi colpisce è che nessuno ne chieda le dimissioni come se un’uscita imbecille della maggioranza debba essere perdonata “più” di quelle di centrodestra. Perché l’idiozia è bipartisan e il cambiamento passa estirpandola tutta ovunque si sia sedimentata. E la condanna “morbida” verso gli amici rispetto ai nemici fa sembrare tutti molto più stupidi e meno credibili.

Quella filiale dell’Unicredit e le mafie all’ortomercato

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Dava finanziamenti senza nessun controllo che finivano in un traffico di droga. Per questo E.R., funzionaria di Unicredit a Milano, è stata condannata a due anni e otto mesi per riciclaggio. La sentenza della corte d’Appello di Milano è stata confermata nel luglio scorso dalla Corte di Cassazione. “Non importa che non conoscesse la provenienza di quei soldi, la condanna è giustificata dal fatto che non sono state rispettate le normative anti-riciclaggio”, scrivono i Supremi giudici. Un principio che potrebbe fare scuola e minare più facilmente il sodalizio grigio tra malavitosi e colletti bianchi. Le 27 pagine della Corte, che respingono i ricorsi di altri 6 imputati, raccontano proprio una storia fatta di traffici di droga, soldi e legami tra criminali, imprenditori e banche. E’ questo lo spaccato che affiora dalle nebbie dell’Ortomercato e dal processo nato dall’operazione For a King. Secondo i giudici di Milano, R. ha riciclato il denaro di Paolo Antonio, titolare e prestanome della rete di cooperative utilizzate da Francesco Zappalà e Salvatore Morabito per ripulire i soldi della cocaina.

Facciamo un passo indietro. In primo grado R. se la cava. Viene assolta perché i giudici sospettano che il riciclaggio sia avvenuto, ma non riescono a dimostrare che la donna sapesse da dove provenissero quei soldi. I giudici di secondo grado vanno oltre e ribaltano il giudizio. Con la consulenza di due periti e l’indagine interna di Unicredit riescono a ricostruire le operazioni scorrette della funzionaria che non aveva mai segnalato la natura delle società di Morabito e Paolo (Consorzio Europa e Nuovo Coseli contenitori di società fantoccio) né mai rispettato le norme anti-riciclaggio. Questo basta per condannarla.

Sono numerosi gli affidamenti concessi dal 2006 e il 2007 alle società fittizie, che vengono elargiti oltre i limiti consentiti alla funzionaria. Nonostante non fosse stata presentata alcuna documentazione. E per un ammontare di un milione e 899 mila euro. “Addirittura – si legge nella sentenza – talvolta mancava la stessa domanda di affidamento, oppure i bilanci presentati erano del tutto inconsistenti o la loro presentazione era del tutto omessa”.

Ma i soldi vengono dati anche quando una delle tante società ha un fatturato pari a zero e un patrimonio netto preceduto dal segno negativo. In un caso, R. ha dato 280 mila euro a una di queste scatole vuote. E anche quando le somme versate sui conti correnti registrano sei cifre, la funzionaria non segnala mai i movimenti sospetti. Il denaro viene affidato senza nessuna garanzia “e, anzi, quelle poche esistenti venivano trasferite da un contratto a un altro delle società per plurimi finanziamenti”, tutto a vantaggio del prestanome di Morabito, Paolo. Un caso riportato dai giudici d’Appello spiega bene il meccanismo ben collaudato. La funzionaria Unicredit concede un finanziamento di 330 mila euro alla società Angelica, che a sua volta lo gira a un’altra società, appena nata, che non produce utili e il cui amministratore, Amos Parisi, è un semplice operaio. La donna, poi, consente sconti di numerose fatture per operazioni inesistenti di cui si avvalgono le società fantoccio del gruppo. Anticipando, sempre in contanti, somme importanti che finiscono nel traffico di droga.

L’indagine sull’Ortomercato di via Lombroso, il più grande mercato di rivendita di frutta e verdura in Europa, nasce nel 2006. Gli investigatori della Squadra mobile di Milano puntano sul For a King: night club di lusso aperto al piano terra dell’edificio Sogemi (società municipalizzata al 99 percento del Comune di Milano, che gestisce l’Ortomercato). Il vaso di Pandora va in frantumi. Gli uomini della Mobile setacciano il contenuto. Scoprono un traffico internazionale di droga che parte dalla Bolivia e arriva in Svizzera, saltano fuori 200 chili di cocaina pura. Individuano società fittizie messe in piedi per ripulire i soldi. Smascherano il lavoro sporco della R.

Il processo si divide in due: il gruppo di Salvatore Morabito, nipote del boss di Africo, Beppe detto u tiradrittu, va al rito abbreviato che si conclude con 14 condanne per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga (Morabito prende 13 anni). Mentre Antonio Paolo, Antonio Marchi, Mariano Veneruso, Giuseppe Bruno, Antonio Rodà e E. R. scelgono il rito normale.

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”Non lasciate che siano i clan a dar lavoro ai miei ragazzi”

Sulla credibilità sello Stato come arma per la lotta alla mafia ne abbiamo detto, letto e non smetteremo di ripeterlo. Ma le parole di Immacolata sono da stampare a memoria:

Non lasciate che siano i clan a dar lavoro ai miei ragazzi”. E’ l’appello lanciato allo Stato, dalle pagine de L’Espresso, da Immacolata Mancusosorella di Pantaleone “Luni” Mancuso, detto “Scarpuni“, sottoposto al carcere duro del 41 bis e considerato il capo dell’omonima cosca che opera a Limbadi, nel vibonese ed ha diramazioni in tutta Italia.

La donna è fuggita dalla Calabria per salvare i figli e tenerli lontani dalla ‘ndrangheta. “Lo Stato – ha detto la donna al settimanale – dice di andare contro la mafia. Noi lo facciamo, ma allo stesso tempo non ci tende la mano per vivere meglio, perché ci riempie di tasse e non offre alcuna possibilità ai giovani di lavorare. In questo modo la mafia ha il sopravvento. I ragazzi vengono attratti dal denaro facile e così rischiano di finire nella rete dei mafiosi. È per questo che chiedo aiuto. Qualcuno intervenga a salvare mio figlio come pure tanti altri giovani che sono nelle sue condizioni: c’è un’intera generazione che non trova lavoro e rischia di finire nelle mani di chi vive nel crimine“.

La donna ricorda anche l’omicidio di Nicolino “Cocò” Campolongo, il bambino di tre anni ucciso e bruciato a Cassano allo Ionio (Cosenza) insieme al nonno ed alla compagna di quest’ultimo. “Mi chiedo – ha detto – con quale coraggio si può arrivare ad ammazzare un bambino. Questa mafia è uno schifo. Purtroppo nessuno parla. Tutti stanno in silenzio anche davanti ad una tragedia come quella di Cocò. La gente si sarebbe dovuta rivoltare ma purtroppo non è accaduto e nulla si farà. La maggioranza dei calabresi non cambia, continua a credere in questi assassini. La mafia fa più schifo di prima. Quella che conoscevo da bambina, perché in famiglia ne sentivo parlare, era collegata tutta a ‘don Ciccio’, mio zio Francesco, ricercato dai carabinieri ma considerato dalla gente un benefattore perché dava lavoro a tutti”. “Basta – ha concluso Immacolata Mancuso – con slogan e dichiarazioni. Ce ne sono tanti, come la targa fatta sistemare dalla Regione davanti all’ingresso del municipio di Limbadi. C’è scritto: ‘qui la mafia non entra’. Ma come, tutti sanno che è già entrata in quel Comune grazie a mio zio che ha fatto assumere alcune persone che ancora oggi sono in servizio. Come pure gli edifici confiscati che poi vengono abbandonati. C’è una villa accanto al municipio che è stata confiscata ma è completamente abbandonata e devastata dai vandali: questi scempi fanno perdere fiducia nelle istituzioni“.

Terroni e fili spinati

So che ultimamente lo sto citando spesso ma non posso che essere d’accordo con quanto scrive oggi Alessandro:

Ma a me il ritorno agli stati nazionali dell’Ottocento – confini, muri, chiusure, fili spinati, gente che urla contro lo straniero – fa un po’ sorridere: mi sembra un tentativo di fermare il mare con le mani. Le tecnologie ci portano ogni giorno di più nella casa comune, i ragazzi vanno all’estero con l’Erasmus e non solo, questo straccio di post lo possono leggere pure in un cyberbar di Dakar.

Insomma non è cosa.

La scommessa semmai è provare a fare, gestire e governare in modo umanista l’altra cosa, cioè lo stare insieme. E mai come adesso mi vengono in mente i rompiscatole che di sovranità democratica transnazionale parlano da anni, ma anche gli utopisti tipo Jacque Fresco, Emery Reves o Daisaku Ikeda: gente che oggi vediamo come strampalata, domani chissà.

Bobo Maroni: razzista (e imbecille) a comando

Interior Minister Roberto Maroni puts hi«La Svizzera non può considerare i lavoratori lombardi come dei topi. Sono dei lavoratori che operano oltre confine, hanno una dignità che va rispettata». 

La frase è di Roberto Maroni e questa volta gli sporchi terroni sono gli italiani che in Svizzera vorrebbero stessero a casa loro. Senza entrare nella complessa questione dei frontalieri (che abbiamo seguito e approfondito già dalla scorsa legislatura in veste tutta politica in Consiglio Regionale) la dichiarazione di Maroni rasenta l’imbecillità del credo leghista che frana davanti agli interessi elettorali. Leghisti al contrario con il culo degli altri. Roba da funamboli. O da imbecilli. O da leghisti.

Tsipras: una lista necessaria

Le parole (condivisibili) di Fabio Mussi:

I-PROMOTORI-DELLA-LISTA-TSIPRASChe impressione ti ha ha fatto Alexis Tsipras? E perchè sceglierlo?

Tispras è una autentica personalità uno che ha testa politica. Il nostro interesse è nato dal fatto che in queste  elezioni per il Parlamento europeo ci troveremo davanti a due blocchi. Da una parte, certamente, una ondata di destra neo-nazionalista, populista, che si spingerà fino ai confini del neo-fascismo, e dall’altra le forze politiche di governo che probabilmente difenderanno questa Europa che si è rinsecchita, ristretta, che con le politiche di austerità ha provocato sulla società europea effetti simili a quelli di una guerra. Penso che sia utile avere una posizione come la nostra e di Tsipras di europeismo critico. Un europeismo intransigente. Su questo Tsipras è stato molto chiaro: noi siamo per l’Europa, un Europa larga che deve riformarsi profondamente.

Quindi aperta anche al dialogo…

Non solo può dialogare con quella parte dei partiti socialisti che vedono ormai l’impossibilità di continuare sulla strada imboccata con la guida di Merkel ed altri. Penso che una buona affermazione delle liste collegate a Tsipras può fare molto di più per aiutare a cambiare, per far maturare una svolta a sinistra di quelle forze in Europa, svolta inevitabile se il socialismo vuole avere un futuro.

Alessandro Gallo, senza pace

Con Alessandro Gallo mi incrocio spesso in giro per l’Italia. Mi ritrovo spesso invitato agli eventi suoi (o con lui) e anche lui si occupa di teatro e di scrittura (con gli amici di Caracò). Oggi è uscito un ritratto di Alessandro che coglie bene nel segno di un impegno che ha alle spalle storie difficili (a proposito di capacità di discernimento, eh) e che premia giustamente le bellissime iniziative culturali ed editoriali che meritano di entrare nelle case di più persone possibili. Leggendo oggi il pezzo di Ciro Oliviero per Huffington Post ancora una volta ho pensato agli splendidi compagni di strada che mi sono capitati e mi capitano di continuo:

5-Alessandro-Gallo-a-Reggio-EmiliaÈ concezione comune, soprattutto al di fuori della regioni maggiormente ritenute ad alta presenza mafiosa, che l’azione malavitosa sia una questione di famiglia, sia scritta nel dna delle persone che scelgono di percorrere la strada sbagliata. Non è sempre così. Ci sono storie che insegnano che si può scegliere di cambiare strada. Storie come quelle di Alessandro Gallo e Antonio Prestieri.

Alessandro Gallo nasce a Napoli nel 1986 e cresce al rione Traiano in una famiglia apparentemente tranquilla. All’età di sedici anni però, sfogliando le pagine di un giornale provinciale, il giovane Alessandro legge dell’arresto del padre per spaccio internazionale di droga.

In quel momento la sua vita cambia ed inizia a collegare alcuni avvenimenti che lo avevano visto protagonista negli anni precedenti. Esempio lampante in tal senso è la restituzione della refurtiva di una rapina che aveva subito all’età di tredici anni. I ragazzetti del quartiere gli chiesero quasi scusa per l’accaduto dicendo di non sapere che lui fosse il cugino di Nikita, primo killer donna della camorra.

Gallo è riuscito a tenersi fuori dalla vita di strada e dalla vita criminale soprattutto grazie al teatro, al quale si era avvicinato per una punizione inflittagli da una professoressa alle scuole medie. Ha poi proseguito questa passione, facendola diventare un lavoro, finanche a laurearsi al Dams di Bologna qualche anno dopo.

Nella città emiliana vive e lavora tutt’oggi portando avanti l’impegno civico e civile, principalmente attraverso i progetti di educazione alla legalità nelle scuole medie e superiori. Ma non solo. Alessandro Gallo è anche attore, regista teatrale e scrittore.

Il primo romanzo ‘Scimmie’ è liberamente ispirato alla figura del giornalista napoletano Giancarlo Siani, ucciso all’età di ventisei anni nel 1985.

Oggi il padre di Alessandro è libero. “I nostri rapporti sono buoni, ci incontriamo. Mio padre ha pagato il suo debito con la giustizia. Oggi il nostro rapporto è diverso da quando lui era in carcere”.

Il 14 febbraio prossimo uscirà il secondo libro di Gallo, scritto stavolta a quattro mani con Giulia Di Girolamo, che si intitola ‘Non diamoci pace’, edito da Caracò, e raccoglie storie di denuncia e prevenzione sui temi dell’antimafia tra Parma e San Marino. In quella data la prima presentaizone avrà luogo all’interno dell’evento ‘Processo alla nazione’ che si terrà a Bologna in ricordo di Pippo Fava. I diritti d’autore del libro saranno devoluti in beneficenza alla ‘Rete no Name’ di Bologna e al ‘Gruppo della Zuccherificio’ di Ravenna’.

La giungla del 5 per mille e la rapacità della politica

Un ennesimo esempio di rapacità politica che si potrebbe risolvere in poche mosse. Ce ne parla Sergio Rizzo:

casi03_MGzoomLa relazione della Corte dei conti cita una nota dell’Agenzia delle Entrate nella quale si precisa che «la fondazione Liberal ha presentato domanda di iscrizione nella categoria degli enti per la ricerca scientifica». Ed è stata ammessa dopo i controlli eseguiti dal ministero dell’Istruzione.
Il fatto è che le regole sono frutto di una giungla intricatissima: 21 leggi in sette anni. Per non parlare dei controlli spesso inesistenti. Basta dire che nonostante spetti al ministero del Lavoro fare i riscontri sulle migliaia di potenziali destinatari dei finanziamenti, «segnalando eventuali posizioni da sospendere, tale attività», sottolinea il rapporto, «risulta esercitata una sola volta». Tutta questa confusione burocratica finisce per penalizzare soprattutto, com’è ovvio, chi di quei soldi ne ha un bisogno disperato. Per averli ci vogliono due anni. Almeno.
Non che non ci siano paletti. Per legge il 5 per mille può essere dato alle organizzazioni del volontariato e della promozione sociale, alla ricerca scientifica, universitaria e sanitaria, alle attività sociali svolte dal Comuni, allo sport dilettantistico, alla tutela dei beni culturali e del paesaggio. Ma nelle pieghe delle norme ognuno ha trovato il proprio spazio.

Ragion per cui negli sterminati elenchi si trova di tutto. Dalla Fondazione San Raffaele di Don Luigi Verzé (5,7 milioni nel 2011) al San Raffaele romano degli Angelucci, all’istituto neurologico Neuromed che fa capo alla famiglia dell’europarlamentare pdl Aldo Patriciello (1,8 milioni); dalla fondazione dei notai, che con appena 1.081 contribuenti, evidentemente assai facoltosi, ha portato a casa quasi 800 mila euro, all’associazione Radio Maria, che ha registrato nel 2010 introiti per 2,1 milioni sotto la voce «volontariato». Fino alle sigle di emanazione sindacale o padronali vicine a quei mondi: come l’Istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo (Cisl) o l’Associazione nazionale comunità sociali e sportive (Confartigianato). Con il rischio di un clamoroso conflitto d’interessi degli enti legati a soggetti che gestiscono i centri di assistenza fiscale e contemporaneamente sono beneficiari del 5 per mille. L’Agenzia delle Entrate ha ammesso di essere intervenuta in passato «per rimuovere una specifica situazione che poteva influenzare la libera scelta del contribuente…».

«Esemplare per l’incertezza delle disposizioni», scrivono i giudici contabili, «la vicenda relativa alle fondazioni. All’origine, furono previste nella categoria del volontariato; nel 2007, furono escluse quelle non qualificate come Onlus, a meno che non rientrassero nella tipologia della ricerca scientifica. Per gli anni 2007-2009, fu inserita una categoria specifica: le fondazioni nazionali di carattere culturale, peraltro, di difficile individuazione, essendo il requisito culturale di incerta qualificazione». Senza dire che «la mancanza di una rigorosa selezione ha fatto crescere a dismisura il numero dei beneficiari». Ecco allora comparire fra gli ammessi «le fondazioni di tendenza politica», ma anche i fondi di assistenza e previdenza e «le fondazioni di supporto alle squadre di calcio». Il rapporto segnala come nella lunga lista figuri anche, fra le Onlus, la Fondazione Milan, emanazione del club di Silvio Berlusconi, che a novembre del 2013 ha celebrato il decennale con un memorabile galà che ha favorito la tregua armata fra Barbara Berlusconi e Adriano Galliani.

La conseguenza è che di quei circa 400 milioni l’anno il 40 per cento circa finisce nelle casse di 200 organizzazioni: le più potenti e attrezzate. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Ovvero la polverizzazione di contributi a favore di «una pletora» di soggetti. Il che, secondo il rapporto, fa salire i costi e rallenta le procedure di erogazione «rischiando di indebolire l’istituto del 5 per mille rendendolo un inutile contributo a pioggia privo di ogni ricaduta positiva».

Preso

Domenico Cutrì, l’uomo in fuga. Nonostante i consigli della madre che chissà cosa consiglierebbe ora.

042103972-9a354a90-f2da-473e-bd3d-e816f207bc82Le detonazioni, la porta che salta, l’odore di cordite, l’irruzione. Alle 3.35 di domenica 9 febbraio è finita la fuga di Domenico Cutrì. L’ergastolano, scappato lunedì dal carcere di Gallarate, è stato catturato dai carabinieri in via Villoresi, a Inveruno, suo paese natale. Cutrì, 31 anni, dormiva sui cuscini di un divano nell’appartamento di una palazzina in costruzione e riconducibile a un amico, Franco Cafà.

Con lui c’era l’ultimo complice, Luca Greco. Nella casa, al piano terra, che un cortile separa da altri locali e da un piccolo gabinetto, c’erano pasta, riso, farina, pane, biscotti, merendine, bottiglie d’acqua e di latte, un piccolo fornello e tabacco, tutti rifornimenti per proseguire il più possibile la latitanza. Sul pavimento erano sparsi i quotidiani con le pagine di questi giorni che hanno raccontato la caccia intensa, asfissiante, condotta dai carabinieri coordinati dalla Procura di Busto Arsizio. In azione i militari del Comando di Varese e del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma. Il blitz in via Villoresi è stato condotto dal Gis, il Gruppo d’intervento speciale dei carabinieri. Cutrì era armato di una pistola ma non ha nemmeno avuto il tempo di capire cose stesse accadendo che già era in manette. L’inseguimento dunque è terminato in meno di una settimana.