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La politica dopo Utoya

Direi: non mollate. So che l’Italia ha gravi problemi economici in questa fase ma la cattiva salute dell’economia non dev’essere un motivo per gettare la spugna. È la politica a creare le condizioni dello sviluppo economico, è la politica a stabilire le regole del gioco. In tutti i campi dobbiamo affrontare sfide sempre più complesse, basta fare una ricerca tra i forum online per vedere che il problema dell’estremismo esiste. Chi deve decidere come sarà il mondo che abiteremo? Se noi per primi rinunciamo a dire la nostra, cosa resta della democrazia? Il 22 luglio ha cambiato il mio Paese, i giovani hanno capito che ciò che davano per scontato – la libertà, la tolleranza, la pace – era in pericolo. E hanno deciso di agire, di partecipare

Il 22 luglio Stian era sull’isola di Utoya per il campo estivo del partito. Quando cominciò la carneficina, lui si mise a correre con altri compagni verso il bosco, rimase nascosto per oltre due ore, con un pensiero fisso: “Forse oggi morirò”. Non è morto e interrogato su politica e Italia fissa tre punti: la libertà, la tolleranza, la pace. 

Quanta libertà, quanta tolleranza e quanta pace ci sono nell’agenda della politica? Perché forse è una mia sensazione ma sembra che ci sia un pudore (per inadeguatezza e poca credibilità) nel pronunciarle queste tre parole, qui da noi, che mi fa chiedere se noi siamo sopravvissuti per davvero.

Quando la relazione sull’export di armi?

Un appello importante della Rete Italiana per il Disarmo e della Tavola della Pace.

“Presidente Monti, a quando la Relazione sulle esportazioni di armamenti italiani?”. E’ la precisa domanda che la Rete Italiana per il Disarmo e la Tavola della Pace rivolgono al Presidente del Consiglio, Mario Monti, diretto responsabile della pubblicazione del documento che, secondo la legge 185 del 1990 che regola le esportazioni italiane di natura militare, deve essere predisposto e consegnato al Parlamento entro il 31 marzo di ogni anno.

“Ad oltre due settimane dalla data prevista dalla normativa vigente, la Presidenza del Consiglio non ha ancora reso noto questo documento di fondamentale importanza per il Parlamento e per la società civile, poiché dettaglia le autorizzazioni all’esportazione e le consegne di armamenti italiani nel mondo” – dichiara Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo. “Mentre i precedenti governi Prodi e Berlusconi dal 2006 hanno puntualmente pubblicato sul sito della Presidenza del Consiglio anche un sintetico ‘Rapporto’ con i dati principali, l’attuale Presidenza del Consiglio non solo non ha ancora adempiuto al compito previsto dalla legge, ma non ha finora risposto ufficialmente alle nostre richieste di confronto. Tutto ciò diversamente dalle buone prassi degli ultimi anni” – conclude Vignarca.

La “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento nonché dell’esportazione e del transito dei prodotti ad alta tecnologia” è il documento che certifica le operazioni autorizzate e svolte in materia ed è stata puntualmente predisposta a partire dal governo Andreotti già dal 1991.

“Mentre restiamo in attesa della relazione, non possiamo non dirci preoccupati per le recenti affermazioni del Presidente del Consiglio in materia di esportazioni di armamenti” – commenta Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della Pace. “Durante la sua visita in Israele, il presidente Monti ha dichiarato nella conferenza stampa col premier israeliano Benyamin Netanyahu «l’intenzione del governo di finalizzare al più presto i dettagli del contratto Alenia-Aermacchi sulla fornitura ad Israele di 30 velivoli M346 da addestramento». Secondo Monti un contratto in un ambito così sensibile consentirà un salto di qualità nei rapporti tra i due Paesi. In effetti – conclude Lotti – la vendita per un miliardo di euro di aerei addestratori per i piloti dei caccia d’attacco F-35 (che Israele ha intenzione di acquisire dalla Lockheed Martin) in cambio dell’acquisto, coi soldi dei contribuenti italiani, di un pacchetto da un miliardo di euro di velivoli senza pilota e altro materiale bellico rappresenta un salto di qualità… ma non certo nella direzione della promozione della diplomazia della pace. Chiediamo, pertanto, che si rinunci a questo scambio di materiali bellici e che il Governo italiano riprenda l’impegno diplomatico per la soluzione del dramma del popolo palestinese e per la pace nel Medio Oriente”.

Negli ultimi anni i maggiori acquirenti di armamenti “made in Italy” sono stati i paesi nelle zone di maggior tensione del pianeta dal Medio Oriente alla penisola araba fino al sub-continente indiano. “L’ampia consistenza di queste forniture – commenta Giorgio Beretta, analista della Rete Disarmo – soprattutto negli anni recenti, ai regimi autoritari del nord Africa e dell’intero Medio Oriente che si sono macchiati di gravi violazioni in materia di diritti umani, non può passare inosservata ed è urgente che il Parlamento riprenda il ruolo che gli compete ed esamini con attenzione la compatibilità di queste esportazioni con il dettato della legge 185/1990 secondo la quale l’esportazione di armamenti deve essere conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia”.

Una legge che il Governo sta ampiamente modificando: “Per recepire una direttiva dell’Unione europea che intende facilitare i trasferimenti intra-comunitari di sistemi militari, il Consiglio dei Ministri ha definito e presentato al Parlamento un disegno di legge che delega al Governo un’ampia riforma della legge 185/1990 – commenta Maurizio Simoncelli vicepresidente di Archivio Disarmo. “In questo modo si toglie al Parlamento quella funzione legislativa che lo qualifica: non dobbiamo dimenticare che la legge 185/1990 è il frutto di un intenso lavoro durante due legislature attraverso il costante confronto e con la partecipazione della società civile”.

Le organizzazioni del mondo del disarmo sottolineano che la proposta di decreto legislativo formulata tende a smantellare tutti i controlli con gravi rischi sotto molti punti di vista. Ricordiamo che se le competenti Commissioni parlamentari non svolgeranno nei tempi previsti un esame approfondito vi è rischio di semplificare i controlli su trasferimenti di armi che potrebbero così finire a paesi sotto embargo o in stato di conflitto, come è già avvenuto in passato. Il rischio è anche che attraverso trasferimenti all’interno dell’Unione Europea si possano far giungere (attraverso le cosiddette “triangolazioni)” armi verso destinatari indesiderati come i gruppi terroristici, situazione già avvenuta ad esempio anche in Afghanistan.

“Non va poi dimenticato che gli strumenti di trasparenza a livello europeo sono molto meno dettagliati della relazione italiana prevista dalla legge 185 del 1990, la stessa di cui stiamo sottolineando il ritardo di pubblicazione – evidenzia Chiara Bonaiuti ricercatrice presso Oscar IRES Toscana – che da questo punto di vista è considerata una migliore pratica internazionale. L’attuale proposta del Governo non copre la grave lacuna legislativa attuale che per le operazioni di intermediazione di armi da fuoco, nel caso in cui la merce non attraversi il territorio nazionale, non prevede alcuna possibilità di intervento”. Un vulnus che ha già permesso a trafficanti senza scrupoli e organizzazioni criminali di trasferire armi nei peggiori teatri di guerra senza alcuna possibilità di controllo.

La Rete Italiana per il Disarmo e la Tavola della Pace hanno ottenuto – su richiesta di alcuni parlamentari sensibili a queste tematiche – di essere ascoltate in audizione la prossima settimana dalle Commissioni riunite Esteri e Difesa della Camera dei Deputati. In quella sede verranno esplicitate osservazioni e proposte, anche a commento dei dati di export militare italiano (che speriamo di vedere a breve pubblicati).

Per la prima volta si sta procedendo a modificare una legislazione sensibile dal punto di vista della sicurezza con lo strumento della legge delega e del successivo decreto legislativo del Governo. E’ indispensabile che il Parlamento non abdichi alle sue prerogative costituzionali e proceda ad una valutazione attenta, puntuale e documentata delle profonde modifiche legislative. Le conseguenze di eventuali leggerezze si potrebbero ripercuotere sia sulle popolazioni destinatarie di quelle armi sia sulla nostra stessa sicurezza.

Roma, 20 aprile 2012

Per info http://www.perlapace.it/http://www.disarmo.org/

Il rimpatrio adesivo

“L’impiego del nastro adesivo, sia pure accompagnato da rudimentali accorgimenti per assicurare la respirazione e dettato dalla comprensibile concitazione del momento, non corrisponde a nessuna delle misure coercitive previste e, nei fatti, si traduce in un comportamento che la coscienza collettiva percepisce come offensivo della dignità della persona” dice  la Cancellieri sui metodi di rimpatrio dei tunisini zittiti con scotch sulla bocca.

E intanto spunta un altro caso.

A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. (Primo Levi)

carCIEri?

Prigioni, sì. I Cie sono nati per recintare uomini, donne e minori in attesa di essere identificati; se la loro eventuale richiesta di asilo viene respinta, o si prova che i loro documenti non sono in regola, vanno rimpatriati. Il sito del Ministero dell’Interno dice che in Italia di Cie e strutture simili, Cda (centri d’accoglienza) e Cara (centri di accoglienza per richiedenti di asilo), ce ne sono almeno 25: da Lampedusa fino a Gradisca d’Isonzo, cancello al confine con i Balcani. La maggior parte degli “ospiti”, gergo ufficiale, è accusata di clandestinità, reato amministrativo bocciato nel 2011 dalla Corte dell’Unione europea. In realtà inchieste e reportage fotografici descrivono Cie, Cara e Cda come luoghi detentivi: le persone vivacchiano su una branda anche fino a 6 mesi. Delegazioni di “Medici senza Frontiere” hanno visitato più volte Cie, Cda e Cara, denunciando che quelle strutture sono emergenziali, e non badano minimamente alla condizione degli ospiti, le loro esigenze igienico-sanitarie e psicologiche. Un’indagine di “Medici per i diritti umani” nel Cie di Ponte Galeria ha fatto emergere storie da brivido: simulazioni di suicidi, numerosi casi di autolesionismo, distribuzione di psicofarmaci senza visite psichiatriche al solo fine di tenere calma la gente. Si sono verificate, infatti, varie rivolte nei centri, roghi appiccati nelle stanze, fughe di massa. La giovane tunisina Nabruki Mimuni, arrestata mentre era in coda per il permesso di soggiorno e tradotta nel Cie di Ponte Galeria, si è impiccata il giorno prima di essere rimpatriata. Un caso estremo, ma sono moltissime le persone che hanno perso dall’oggi al domani un lavoro onesto e si sono ritrovate in uno di questi luoghi, prima di essere rispedite al loro Paese d’origine. Il blog Nuovi Italiani curato da Alessandra Coppola ha seguito alcune storie esemplari e terribili. Come quella di Adama Kebe, somala accoltellata dal suo convivente e finita in un Cie invece di un ospedale perchè non in regola. Volevano rispedirla in un Paese sfasciato dalla guerra civile. Poi c’è il caso di Nadia, 19enne nata e vissuta a Guidonia che non aveva regolarizzato il suo status e, non avendo rinnovato il permesso di soggiorno, stava per essere spedita in Africa prima che il buon senso rischiarasse le teste delle autorità. Dietro alle sbarre Nadia imprecava in romano. Ai microfoni di Amisnet Giuseppe Di Sangiugliano, direttore del Cie di Ponte Galeria, ha confermato che “casi come quello di Nadia ce ne sono moltissimi, a riprova che qualcosa non sta funzionando”.

Da leggere con attenzione la riflessione di Cristiano Arienti. Su CIE, immigrati, nati in Italia e in attesa di giudizio.

Esentare l’esenzione per i disoccupati

La notizia aveva creato ovviamente sconcerto. Il fatto che si trattasse di un “refuso” ancora di più. Scrive LeggiOggi.it:

L’esenzione del ticket per i disoccupati sara’ ripristinata nel ddl di riforma del mercato del lavoro tramite emendamento del Governo.

Lo comunica il ministero del Welfare in una nota precisando che si e’ trattato di “un refuso“. “Con riferimento alle notizie circa lo stop all’esenzione dal ticket sanitario per i disoccupati – precisa la nota – il Ministero del lavoro e delle politiche sociali precisa che ha gia’ rilevato il refuso e pertanto da’ assicurazione che ne fara’ oggetto di una proposta emendativa da presentare durante l’iter parlamentare del disegno di legge di riforma del mercato del lavoro“.

La notizia aveva suscitato una bufera, con i medici che assicuravano un “allarme sanitario” e il Pd che garantiva una modifica in Parlamento.

Nel testo del ddl di riforma del mercato del lavoro all’esame del Senato si prevedeva lo stop all’esenzione dai cosiddetti ticket in materia sanitaria “in favore dei disoccupati e dei loro familiari a carico, appartenenti ad un nucleo familiare con un reddito complessivo inferiore a 8.263,31 euro“. Secondo la relazione illustrativa del provvedimento, la soppressione “e’ connessa all’estensione ‘della platea dei beneficiari dei trattamenti di sostegno al reddito’. La partecipazione alla spesa sanitaria in oggetto – si legge nella relazione – riguarda il pagamento delle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e delle altre prestazioni specialistiche, ivi comprese le prestazioni di fisiokinesiterapia e le cure termali“. Le norme in esame – spiega ancora la relazione – “non riguardano i tickets sui medicinali e le relative esenzioni, in quanto entrambi sono eventualmente introdotti e disciplinati dalle singole regioni“.

Sono mesi che su e giù per la Lombardia chiedo a tutti di innamorarsi degli emendamenti, delle mozioni, delle leggi per rimettere in scena la politica e l’amministrazione, per non lasciare la stesura della drammaturgia amministrativa agli altri, per interpretare la ricaduta di ogni singola riga di legge. E i tecnici ci dicono “refuso”. Va bene.

 

A proposito di comunione

Non si può essere felici finché intorno a noi tutti soffrono e si infliggono sofferenze; non si può essere morali fintantoché il procedere delle cose umane viene deciso da violenza, inganno e ingiustizia; non si può neppure essere saggi fintantoché l’umanità non si sia impegnata nella gara della saggezza e non introduca l’uomo alla vita e al sapere del più saggio dei modi. (Friedrich Nietzsche)

Sonia e la lingua comune in Europa contro le mafie

Per la prima volta il Parlamento Europeo, dimostrando di aver compreso la minaccia rappresentata dal fenomeno mafioso, istituisce un organismo finalizzato alla predisposizione e all’attuazione di politiche di contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione e al riciclaggio di denaro a livello globale. La Commissione CRIM, composta da 45 membri del Parlamento e il cui mandato avrà la durata di un anno, rinnovabile per una volta, si occuperà di studiare in maniera approfondita la minaccia criminale mafiosa, e, nel contempo, di mettere allo stesso tavolo tutti gli organismi che, a livello nazionale, europeo e internazionale, sono impegnati nella lotta al crimine organizzato, al fine di rafforzarne la cooperazione. Sonia Alfano ce ne aveva parlato a Milano per #nonmifermo. Ora Sonia ne è presidente.

Io e Sonia non ci siamo mai lasciati e per questo mi brilla il cuore vederla lì. E’ una vittoria al merito, al suo lavoro, all’impegno e alla buona politica. Nonostante qualche mentitor cortese di troppo che le gira intorno e le difficoltà di un percorso così lungo e arduo.

Nella sua intervista al Corriere dichiara: «Bisogna che dentro tutti gli Stati membri si parli la stessa lingua nella lotta al crimine. L’Europa ha perso tempo nel prendere coscienza, mentre la mafia non ha mai considerato un problema i confini geografici. Per fare questo ascolteremo procuratori dei vari Paesi, gli investigatori, le associazioni che si occupano di contrasto al crimine». Ed è un inizio pieno di speranza.

Buon lavoro, Sonia.

(Vicepresidente è Rosario Crocetta. Per dire. Un’Italia migliore che già c’è.)

Dimesso a 60 mila euro in più

Stefano Maullu si dimette da assessore (le intense motivazioni politiche le avevamo scritte qui) e non decide di fare il consigliere regionale solamente. Non basta. Mentre l’indignazione sulla voracità della casta alimenta il crollo della credibilità della politica, Formigoni (che incredibilmente mentre viene travolto da problemi in sequenza trova comunque il tempo di sistemare chirurgicamente gli amici e gli amici degli amici) sistema il suo ex assessore alla presidenza della TEM (la tangenziale esterna milanese che fa gola ai soliti cantieristi). E certo un ex assessore al commercio sembra proprio indispensabile per presiedere la costruzione di un’infrastruttura del genere, dirà qualcuno. Peccato che l’unica cosa chiara del nuovo incarico del vecchio assessore siano quei 60.000 euro all’anno che (guarda caso) sono più o meno la cifra che Maullu avrebbe perso con le proprie dimissioni.

Quando ero bambino, a calcio, giocava sempre titolare in porta il figlio di un amico dell’allenatore. Pensavo che fosse un’ingiustizia per i bambini; poi con Formigoni ho capito che è il metodo per fare la formazione. Tanto se si perde in questo gioco, perde solo il pubblico.

Formigoni, c’è posta per te

E passiamo al fatto che possa serenamente dire che non ha mai avuto rapporti direttamente con Daccò. Ebbene lo spettacolo dei suoi «rapporti» con Daccò è sotto gli occhi dei molti chef d’alto bordo dove regolarmente veniva nutrito a spese di Daccò stesso, vuoi Sadler, vuoi Cracco, vuoi Santin, vuoi Aimo e Nadia, per non parlare dei locali «à la page» della Costa Smeralda dove a chi, come me, accadeva di passare per motivi vari, era possibilissimo ammirare il nostro Governatore seguire come un cagnolino al guinzaglio Daccò, lo stesso con cui non aveva rapporti diretti. Vederli insieme era una gioia degli occhi: soprattutto per una come me che assieme a tanti altri meravigliosi amici di Cl ha militato per lui volantinando, incontrando gente, garantendo sulla sua persona. Era una gioia degli occhi perché – e qui secondo me è la vera tragedia, cioè non tanto se e come egli abbia intascato soldi – Robertino con Daccò e tutta la sua famigliola, si divertiva e tanto! Eccolo con la sua «24 ore»: me lo vedo sul molo di Portisco arrivare diritto da Milano pronto ad imbarcarsi sullo yacht di Daccò dove le sue figliole (guarda caso, non sono depositarie del diritto a usare del Pirellone come mega location per eventi da migliaia di euro a botta?) lo attendevano con ansia pronte a togliersi il pezzo di sopra del bikini appena il capitano avesse tirato su l’ancora, perché così il sole si prende meglio, chiaramente. 

Venerdì scorso, all’interno della bufera giudiziaria che investe la sanità lombarda, è stato arrestato Antonio Simone, ex assessore alla Sanità negli anni Novanta, ciellino doc, tra i giovani che fecero parte dell’ entourage ristretto di don Luigi Giussani, padre di Cl. Le indagini hanno già condotto in carcere il faccendiere Piero Daccò. La moglie di Antonio Simone scrive a Formigoni una lettera che in un paese normale non galleggerebbe più di qualche minuto prima delle dimissioni.