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A Roma (ancora) il caffè corretto ‘ndrangheta

E’ stato chiesto dalla Procura di Roma il processo per 9 persone, alcune delle quali ritenute vicine alla ‘ndrina dei Gallico di Palmi, in provincia di Reggio Calabria, che aveva investito nella capitale i denari illeciti in società, beni mobili e immobili, tra cui l’Antico Caffè Chigi, a piazza Colonna, punto di riferimento di ministri e sottosegretari.

Trasferimenti fraudolento di beni aggravato dal metodo mafioso è l’ipotesi di reato che la procura ha contestato a Francesco Frisina, Carmine Saccà, Alessandro Mazzullo e poi a Maria Antonia Saccà, Claudio Palmisano, Andrea Porreca, Grazia Rugolo, Giuseppe Vincenzo Distilo e Carla Voluttà.

Il prossimo 12 giugno sarà il gup Riccardo Amoroso a pronunciarsi sulla richiesta della procura, ma due imputati (Distilo e Voluttà) hanno già chiesto di essere giudicati con rito abbreviato. Per questa vicenda, Frisina, Saccà e Mazzullo finirono in manette lo scorso anno nell’ambito di un’operazione della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma che, indagando su prestanome (familiari e non) in qualche modo legati alla cosca calabrese, portò alla luce l’esistenza di un progetto di infiltrazione nella realtà economico-finanziaria della capitale tramite il reinvestimento di cospicue somme di denaro di provenienza illecita. All’attenzione degli investigatori finì la titolarità delle quote della ‘Macc4 slr’, proprietaria del bar ‘Antiche Murà, quella della ‘Sapac srl’, che gestisce numerosi discount e supermercati, e poi della ‘Lasara 98 srl’, cui è riconducibile il ristorante ‘Platinum’, oltre all’Antico Caffè Chigi, le cui quote appartenevano alla ‘Colonna Antonina 2004 srl’.

Il casalese: Nicola Cosentino

Il comunicato stampa della Procura:

nicola_cosentino_no_arresto_645“Nelle prime ore della mattinata odierna nell’ambito di un’articolata indagine coordinata da questa Procura della Repubblica, i carabinieri del reparto operativo – nucleo investigativo di Caserta hanno eseguito un’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di sei indagati e degli arresti domiciliari nei confronti di altri sette, tutti ritenuti responsabili, a vario titolo, di estorsione (art. 629 C. P.), Concussione (art. 317 C. P.), Illecita concorrenza con violenza o minaccia (art. 513 Bis c. P.), Calunnia (art. 368 Bis c. P.), Favoreggiamento personale (art. 378 C. P.),

Riciclaggio (art. 648 Bis c. P.), Con l’aggravante del metodo mafioso (art. 7 L. 203/91).Le persone tratte in arresto si identificano in Cosentino Giovanni, Cosentino Nicola, Cosentino Antonio, Falconetti Vincenzo, Letizia Giacomo, Schiavone Vincenzo, tutti funzionari dell’ufficio tecnico del Comune di Casal di Principe, Letizia Luigi, funzionario della Regione Campania, Adamiano Giovanni, Sorrentino Bruno, dipendenti della Kuwait Petroleum Italia, Zagaria Pasquale, Zagaria Antonio, S. M. P.

L’indagine, svolta dal 2011 ad oggi, ha consentito di ricostruire l’illecita attività di gestione di impianti di distribuzione carburanti svolta dalle società “Aversana petroli”, “Aversana gas” e “Ip service”, cui sono interessati, Antonio, Giovanni e Nicola Cosentino. Gli indagati, con il concorso di dirigenti pubblici, funzionari regionali e del comune di Casal di Principe, nonché con la complicità di funzionari della società petrolifera Kuwait petroleum italia (Q8), due dei quali destinatari del provvedimento cautelare, si assicuravano il rapido rilascio di permessi e licenze per la costruzione degli impianti, anche in presenza di cause ostative.

Gli stessi, attraverso un sistema di coercizioni in danno di amministratori e funzionari pubblici locali, costringevano le pubbliche amministrazioni competenti (comune di Casal di Principe e Regione Campania) ad adottare atti amministrativi illegittimi per impedire o rallentare la creazione di altri impianti da parte di società concorrenti. Di estrema importanza, al fine della compiuta ricostruzione dei fatti, é stata la collaborazione della parte offesa Luigi Gallo, titolare di una stazione di servizio in corso di costruzione in Villa di Briano, le cui dichiarazioni accusatorie hanno trovato ampi e significativi riscontri nelle investigazioni svolte dalla polizia giudiziaria.

La vicenda, tuttavia, ha formato oggetto anche di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, l’approfondimento delle quali ha richiesto accertamenti particolarmente complessi che, partendo dall’acquisizione della copiosa documentazione riguardante l’apertura di due impianti di distribuzione, sia presso il comune di Casal di Principe (per quanto attiene i Cosentino) che presso il comune di Villa di Briano (per quanto riguarda il Gallo) sono proseguiti con attività d’intercettazione e di escussione sia della parte offesa che di coloro che, a vario titolo, avevano preso parte alle attività istruttorie relative al rilascio delle autorizzazioni richieste dal Gallo e dai Cosentino.

Il nucleo essenziale della vicenda (integrante delitti di estorsione e di concorrenza illecita) ruota intorno alla pratica di autorizzazione, ottenuta da Gallo Luigi dal comune di Villa di Briano, alla apertura di un impianto di carburanti, autorizzazione che di fatto paralizzava la possibilità per i fratelli Cosentino di averne una analoga dal confinante comune di Casal di Principe per ragioni legate alla mancanza della distanza minima di 5 km richiesta dalla normativa dell’epoca.

Antonio, Giovanni e Nicola Cosentino istigavano, allora, Falconetti Vincenzo e Schiavone Vincenzo, dirigenti dell’utc di Casal di Principe a rilasciare comunque ed illecitamente all’Agip petroli (società partner dei Cosentino ai quali in seguito avrebbe ceduto l’impianto e volturato le licenze) un’autorizzazione edilizia (le successive varianti in corso d’opera e l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto) con palesi vizi di legittimità ed in mancanza dei principali pareri previsti dalla legge (vv. Ff., Anas), al fine di indurre il Gallo a recedere dalla sua iniziativa imprenditoriale.

Le minacce nei confronti della persona offesa sono state reiterate nel tempo, anche dopo l’entrata in vigore della legge numero 133/2008, con cui il settore della distribuzione di carburanti era stato liberalizzato, sicché la apertura di nuovi impianti non poteva più essere bloccata per via amministrativa attraverso il meccanismo del rispetto delle distanze minime fra impianti. Cosentino Giovanni e Nicola, attraverso minacce dirette nei confronti del Gallo ed indirettamente, attraverso l’utilizzazione strumentale del rapporto preferenziale e di sostanziale assoggettamento da essi instaurato con l’Adamiano e il Sorrentino, funzionari e rappresentanti di zona della Kuwait petroleum italia, in più occasioni, minacciavano e intimidivano il Gallo, condizionandolo nella realizzazione della propria attività economica.

Le indagini hanno consentito di accertare, l’esistenza di analoghi episodi così da evidenziare un vero e proprio ‘sistema’ criminoso capace di incidere profondamente sul regolare andamento del mercato ed hanno soprattutto evidenziato una illecita posizione di vantaggio, in cui si trovavano ad operare le ditte riconducibili alla famiglia Cosentino, derivanti da tre diversi e convergenti fattori: – in primo luogo, dal ‘canale privilegiato’ di cui questa poteva godere nella interlocuzione con le pubbliche amministrazioni preposte al rilascio delle licenze edilizie e amministrative; si è infatti accertato che gli interessi della Aversana petroli e delle imprese collegate sono stati tutelati attraverso l’espletamento di pratiche amministrative sempre veloci e prive degli ostacoli burocratici generalmente frapposti ai concorrenti, sfociando in alcuni casi nell’omissione della verifica della regolarità delle stesse.

In questo ambito si è rivelato decisivo il potere politico di Nicola Cosentino e quello criminale promanante dal rapporto stabile che l’ex parlamentare ha potuto vantare con il clan dei Casalesi. In secondo luogo, dalla possibilità di poter negoziare con le società petrolifere operanti su scala internazionale, specie la Kuwait petroleum italia (q8), in posizione analogamente privilegiata, sia per la notevole potenza economica di cui sono capaci le società dei Cosentino, sia per l’influenza politica e criminale della famiglia, che consente al colosso dei petroli di fare affidamento su gestori che garantiscono al massimo grado il buon andamento degli esercizi di distribuzione del carburante, pur in una zona controllata dalla criminalità organizzata. Con ciò determinandosi, di conseguenza, una situazione di notevole svantaggio per le iniziative private provenienti da altri imprenditori del settore i quali, o sono stati costretti a rinunciare alla propria impresa (come nel caso di Gallo Luigi) o sono stati costretti a realizzarla in partnership con gli stessi Cosentino (come nel caso di Vozza Francesco o del c. Di G. Amodio Piero, gestori di impianti in Casagiove).

In terzo luogo, dallo stabile rapporto di cointeressenza di Nicola Cosentino ed in misura minore anche del fratello Giovanni con esponenti del clan dei Casalesi, con alcuni dei quali fra l’altro sussistono rapporti di parentela e/o affinità documentata dalle ordinanze di custodia cautelare già contestate all’ex parlamentare per gravissimi reati e dalla contestazione, operata in questa sede, in danno di Giovanni Cosentino, di riciclaggio del denaro del clan attraverso il sistema del cambio assegni. Dall’indagine è emerso che i vertici del clan avevano imposto agli affiliati il divieto di operare estorsioni ai danni degli impianti riconducibili ai Cosentino (così, ad esempio, l’impianto gestito dal c. Di g. Amodio in Casagiove, l’impianto gestito da Piccolo Giuseppe in San Cipriano d’Aversa), a differenza di quanto avveniva per i loro concorrenti. In atti è infatti documentata una estorsione di notevole entità operata dal clan Zagaria nei confronti di Gallo Luigi.

La contestazione prende in esame una serie di condotte tenute dagli indagati, anche in tempi diversi. In particolare Cosentino Nicola e Stasi Maria Elena, convocavano il sindaco di Villa di Briano, Zippo Raffaele, nell’ufficio del prefetto di Caserta, al fine di intimargli di provvedere alla rimozione dall’incarico del tecnico comunale geom. Nicola Magliulo, colpevole sia di avere contribuito al rilascio della autorizzazione al Gallo che di avere resistito alle incessanti pressioni esercitate dai Cosentino e da Letizia Luigi per revocarla, pena azioni ritorsive del Cosentino e della stessa prefettura contro l’amministrazione comunale di Villa di Briano.

Antonio e Giovanni Cosentino, unitamente a Letizia Luigi, esercitavano, in modo coordinato con l’azione posta in essere da Nicola Cosentino e dal funzionario prefettizio Stasi, indebite ed illecite pressioni, sia sul sindaco che su tutti gli addetti dell’utc di Villa di Briano (Tornincasa e Magliulo), affinché si addivenisse alla revoca-sospensione dell’autorizzazione edilizia del Gallo; Antonio Cosentino inoltre presentava una denuncia strumentale presso la autorità giudiziaria di Santa Maria Capua Vetere nella quale, venivano evidenziati presunti abusi dell’amministrazione comunale di Villa di Briano atti a favorire il Gallo nel rilascio di licenze relative al suo distributore, denuncia che seppure in seguito archiviata, nell’immediato determinava un pronto accesso della pg presso gli uffici del comune di Villa di Briano per acquisire atti ed informazioni relativi alla pratica dl Gallo, con conseguente ulteriore rafforzamento dello stato di soggezione indotto nella pa di Villa di Briano.

Dalle indagine è emersa dunque la spregiudicatezza dei fratelli Cosentino nelle gestione del loro potere economico e l’asservimento a tale scopo del concorrente potere politico accumulato da Nicola Cosentino e del rapporto di scambievole interesse con esponenti del clan dei Casalesi. Quanto alle esigenze cautelari, il Gip ha ritenuto significativo il fatto che Nicola Cosentino si sia attivamente interessato per l’andamento degli affari delle imprese di famiglia, circostanza finora sempre negata dallo stesso indagato e l’ulteriore circostanza costituita dalle risultanze dell’analisi di alcuni recenti tabulati telefonici che danno atto dei frequenti contatti del Cosentino, anche nel periodo in cui era agli arresti domiciliari, con importanti esponenti della politica e delle istituzioni locali e nazionali, comprovandosi in tal modo il persistente svolgimento, da parte dello stesso, di attività politica.

Determinante è stata altresì considerata l’attività di inquinamento probatorio posta in essere da Giovanni Cosentino in concorso con Reccia Enrico, concretizzatasi nella presentazione di una querela, da parte del primo, fondata sulla registrazione di un colloquio eseguita dal secondo in maniera preordinata e su istigazione dello stesso Cosentino, volta a screditare il Gallo. Il Gip ha espressamente escluso qualsivoglia volontà diffamatoria e calunniatoria da parte di quest’ultimo. Al Cosentino Giovanni è stata poi contestata una continuata attività di riciclaggio in favore del clan dei Casalesi, svolta attraverso il meccanismo del cambio degli assegni di provenienza illecita con denaro contante. In sostanza, così come è emerso da plurime e convergenti dichiarazioni, esponenti di primo piano del clan casalese, incassati – a seguito di attività illecite (per lo più estorsive ed usurarie) – titoli ed assegni (talora post-datati) direttamente, o attraverso loro incaricati, hanno consegnato gli stessi al Cosentino ricevendone in cambio, nel giro di pochi giorni, moneta contante di valore corrispondente. Si è trattato di un sistema attraverso cui il Cosentino, stabilmente, ha agevolato il sodalizio casalese che è stato rifornito di denaro sicuro ed immediatamente utilizzabile.

A Pasquale e Antonio Zagaria ed a S. M. P. (noto imprenditore di Villa Literno) sono state contestate due ipotesi estorsive, la prima relativa ad una tangente di dieci milioni di lire, ed all’imposizione dell’affidamento dei lavori di scavo e realizzazione nel sito destinato ad ospitare l’impianto di carburanti del Gallo alle imprese gestite di fatto dai fratelli Zagaria Pasquale ed Antonio, con il pagamento di una somma complessiva di circa centomila euro; la seconda legata al tentativo di costringere Gallo Luigi a mantenere la società che aveva iniziato con S. M. P. e che invece il Gallo aveva deciso di sciogliere proprio a seguito dei contrasti sorti in relazione alle richieste estorsive formulate dagli esponenti del clan Zagaria. Durante l’esecuzione dei provvedimenti sono state eseguite anche perquisizioni a soggetti coinvolti nella presente vicenda investigativa, ma non destinatarie di misura cautelare, attraverso cui è stato possibile rinvenire documenti utili al proseguo delle indagini.

Dei 13 provvedimenti di custodia cautelare due saranno notificati a Zagaria Antonio e Pasquale (fratelli del più noto Michele), già detenuti per altra causa”.

Per la ‘ndrangheta destra e sinistra pari sono

Dopo l’arresto del sindaco di centrosinistra di Valmadrera Marco Rusconi ora davvero ci si aspetta la reazione del Partito Democratico. O no?

Terremoto a Lecco. Nelle prime ore di questa mattina gli uomini della Dda di Milano hanno arrestato dieci persone nel lecchese con l’accusa di associazione mafiosa, corruzione, estorsione e concussione. Tra i dieci in manette spicca il nome del sindaco di Valmadrera Marco Rusconi, 37 anni e il consigliere comunale a Lecco,Ernesto Palermo. In carcere è finito anche Mario Trovatonoto personaggio di spicco di un clan della zona e già più volte condannato, ma anche tre imprenditori della zona, un immobiliarista, un commerciante d’auto e un artigiano, tutti lecchesi. L’operazione è partita nel 2009 e dopo innumerevoli intercettazioni ambientali e telefoniche si è conclusa in giornata.

L’operazione ‘Metastasi ha dimostrato il ‘‘connubio tra ‘braccia armate’ della ‘ndrangheta, addette alle estorsioni e ad altri atti di violenza, con esponenti delle istituzioni”. Lo ha spiegato il procuratore aggiunto Ilda Boccassini che ha coordinato le indagini assieme ai pm Claudio Gittardi e Bruna Albertini. ”Quel ramo del lago di Como non e’ poi cosi’ tranquillo”, ha commentato il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati.

IL PROFESSORE – Intercettato al telefono, il consigliere comunale Ernesto Palermo, insegnante in un istituto professionale e iscritto nelle liste del Pd (oggi appartenente a un gruppo misto in Comune), è risultato identificarsi con il clan dei Trovato. Al suo interlocutore diceva: “Siamo il nuovo gruppo dei Trovato a Lecco“. Lo spiega il pubblico ministero Claudio Gittardi, titolare dell’inchiesta “Metastasi” con il pm Bruna Albertini, dicendo che Palermo “parla da uomo di ‘ndrangheta” “si definiva eletto grazie ai voti del clan dei Trovato e dice che se al suo posto ci fosse stato il fratello Coco Franco Trovato (attualmente all’ergastolo, ndr) sarebbe diventato assessore”.

Mario Trovato infatti è fratello di Franco Coco Trovato in carcere con condanna all’ergastolo, ritenuto l’attuale reggente della locale di Lecco. Secondo Boccassini, la famiglia dei Trovato mantiene la sua influenza nel lecchese ancora a 20 anni di distanza dall’operazione Wall Street, famosa inchiesta degli anni Novanta sulla ‘ndrangheta in Lombardia.

Fra i vari episodi, Palermo avrebbe anche offerto ‘protezione’ a un imprenditore che stava aprendo un nuovo ristorante. Dopo che la sua proposta era stata rifiutata, spiega Gittardi, “sono stati sparati dei colpi di pistola nella notte contro il ristorante” e, in seguito all’attentato, Palermo ha provato a riproporre il suo ‘appoggio’ al titolare dell’esercizio. Il pubblico ministero ha sottolineato la pericolosita’ di soggetti come Palermo, “consigliere comunale e insegnante, perfettamento normo – inserito nella societa”.

Da consigliere comunale, Palermo si sarebbe occupato per conto del clan di acquisire “appalti e concessioni” e di intervenire per modificare il piano di governo del territorio per favorire gli interessi dell’ associazione mafiosa. Secondo l’accusa, inoltre, Palermo, che e’ anche accusato di estorsione, corruzione e turbativa d’asta, si sarebbe attivato per fare acquisire alla famiglia dei Trovato la concessione di un’area comunale sul Lido di Valmadrera, nel Lecchese. Secondo le indagini, per tale concessione, il sindaco di Valmadrera, Marco Rusconi, avrebbe intascato una tangente per circa 10 mila euro.

Nell’ambito dell’operazione sono stati sequestrati 17 immobili, tra abitazioni e box, 5 autoveicoli, quote di partecipazione in tre societa’, due bar e circa 700 mila euro distribuiti in otto depositi titoli.

(fonte)

Quei barbosi scassacazzi dei padri costituenti

Malvino, particolarmente in forma e particolarmente cattivo:

Così, ci tocca sentirci dire che i padri costituenti erano barbosi scassacazzi che l’hanno messa giù un po’ troppo pesante solo perché traumatizzati dal fascismo, poverini, mentre il nuovo mago delle televendite ha fegato, e polso, e coglioni, si vede dalla grinta che mette nell’urlare: «E qui, siore e siori, mi voglio rovinare: aggiungo alla riforma costituzionale il taglio di un miliardo alla politica». Sputacchia un poco su quelli in prima fila perché ha una lieve micrognazia, ma mica è detto che l’Uomo della Provvidenza debba per forza essere un mascelluto, basta sappia galvanizzare i fessi e strizzare l’occhio ai furbi.

La balla dei 600mila profughi (e bolle blu)

Per dare un’idea dell’etica, della responsabilità e dello spessore politico dell’alleato di Renzi Angelino Alfano possiamo riprendere una sua dichiarazione lanciata a forma di disperato grido di allarme in cui ci preannuncia l’invasione di un’orda di 600.000 (seicentomila) profughi verso il territorio italiano. Roba da apocalisse.

Peccato sia una balla. Ma colossale.

Anche al Consiglio italiano per i rifugiati sono rimasti sbigottiti dall’affermazione di Alfano: “Sicuramente moltissime persone stanno fuggendo dalla guerra siriana e dal Corno d’Africa, ma uno sbarco di 600 mila persone è impensabile”. Certamente, dicono gli esperti del Cir, nell’ultimo periodo il numero di profughi arrivati in Italia è aumentato soprattutto per il conflitto siriano: dal primo gennaio 2014 sono 12 mila persone, e con la buona stagione gli sbarchi aumenteranno.

Le informazioni sono qui.

Il falso paradigma dell’onore mafioso

Ne avevamo parlato in una puntata di RadioMafiopoli e ne parliamo negli incontri e negli spettacoli: l’obiettivo di un sano antiracket culturale passa per la “distruzione” del falso “onore” mafioso. E per questo vale la pena sottolineare le parole di un convegno tenuto in Calabria che riparte proprio da qui:

Il tema principale del seminario è stata l’analisi del falso mito secondo cui la mafia e i suoi “uomini d’onore” non toccano né donne e né bambini. La tragica vicenda del piccolo Coco Campolongo, bambino di soli 3 anni di Cassano Ionio ucciso e successivamente arso, è invece la netta prova di come questa non sia altro che una grandissima menzogna, alimentata dai poteri forti e dalle numerose fiction televisive che danno un’immagine bella ed onorevole del mafioso, quando in realtà c’è poco onore e rispetto da riservare a queste persone. Il giornalista Arcangelo Badolati ci ricorda infatti di come Coco sia soltanto l’ultimo di una lunga serie di donne e bambini uccisi dalla mafia negli scorsi anni (Domenico Gabriele a Crotone nel 2009, Concetta Iaria a Sant’Eufemia d’Aspromonte nel 1965, Francesco Antonio Conte a Rosarno nel 1977, Michele Arcangelo Tripodi a San Ferdinando nel 1990, ecc), a testimonianza di come bisogna conoscere questi avvenimenti per poter avviare una controcultura che porti ad un’efficace demolizione della mitologia mafiosa.

Ad approfondire il tutto hanno contribuito due importantissime figure della lotta all’illegalità, come Mario Spagnuolo, Procuratore capo di Vibo Valentia, e Pier Paolo Bruni, Pm della Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro. Spagnuolo, autore di diverse indagini sulle cosche mafiose delle provincie di Crotone e Vibo Valentia che gli hanno causato numerose minacce di morte, ha fatto notare ai ragazzi (presenti anche questa volta in modo numeroso) che nell’immaginario collettivo della popolazione la colpevolezza o l’innocenza di determinate figure sia legata esclusivamente all’esito della condanna giuridica, quasi mettendo in secondo piano qualsiasi giudizio morale. Questo fa sì che venga demandato all’ambito giudiziario la risoluzione dei problemi sociali, scaricando così le nostre responsabilità di cittadini nelle mani di magistrati che sono uomini esattamente come noi. Spagnuolo ha infatti voluto precisare la necessità di un aiuto da parte del popolo in questa fondamentale lotta, sottolineando che non serve che i magistrati siano supereroi, ma gente onesta capace di svolgere il proprio ruolo, nella speranza che la società migliori e serva sempre meno l’intervento della magistratura.

Ma siamo sicuri che spariscano le province?

Perché Tito Boeri (qui) non ne sembra molto convinto:

In sostanza, quella approvata al Senato è una legge rinvio. Rinvia l’abolizione delle province e rinvia il riordino di funzioni e risorse fra i livelli di governo che dovrebbe sostituire i precedenti. Mentre il rinvio sul primo aspetto era inevitabile, non lo è sul secondo. Perché, ad esempio, non si è previsto che, una volta abolite le province sul piano costituzionale, tutte lefunzioni e risorse passassero direttamente all’ente di governo di livello superiore, cioè le Regioni? Queste ultime, a loro volta, avrebbero potuto decidere come delegare funzioni e risorse: a proprie suddivisioni amministrative o alle nuove unioni di comuni previste dalla stessa legge. In attesa della riforma costituzionale, si poteva adottare qualche semplice criterio forfettario deciso dal Governo, basato sul costo storico delle funzioni rimaste alle province, per suddividere le risorse tra provincia e Regione, a cui potevano essere attribuite per default le funzioni non lasciate alle province. Ma il sospetto è che, anche in questo caso, sulla razionalità delle scelte abbia prevalso la fretta di poter esibire qualche trofeo e di giustificare agli occhi della Consulta il blocco delle elezioni dei consigli provinciali.

A Lodi la mafia non esiste (ennesima puntata)

Giornata della legalità, il procuratore di Lodi Vincenzo Russo non ha avuto esitazioni nel confermare la presenza della mafia e della ‘ndrangheta nel Lodigiano: «Anche nel nostro territorio, ad un imprenditore, è stata recapitata una testa di maiale tagliata con in bocca un proiettile, dunque una minaccia chiara della cosca». «Quello che può fare ciascuno di noi per combattere la ‘ndrangheta è rispettare le regole che è chiamato a rispettare» ha esortato il sostituto procuratore di Reggio Calabria Alessandra Cerreti.

Ma questa volta ne parlano i procuratori. Ed è una buona notizia.