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Tutti i casi di soffocamento. Altro che taxi (di terra e del mare)

La scoperta di 46 migranti morti all’intento di camion a San Antonio, negli USA, ha riacceso flebilmente la luce sulle condizioni di viaggio dei migranti che cercano la salvezza con tutti i mezzi possibili. È una bella lezione per tutti coloro che continuano a cianciare di “taxi del mare” o di “africani in vacanza”.

Ora, passata l’emozione dell’indignazione da social potremmo ricordare tutti gli altri episodi, tanto per avere il polso del dramma:

Inghilterra, 23 ottobre 2019: 39 migranti vietnamiti morti per soffocamento e ipertermia sono stati trovati in una roulotte fuori Londra. Quattro uomini sono stati incarcerati per omicidio colposo; uno di loro, un uomo vietnamita, è stato condannato a 15 anni di carcere a febbraio dopo essere stato condannato per essere il capobanda.

USA, 23 luglio 2017: otto immigrati sono stati trovati morti in una soffocante roulotte in un parcheggio di San Antonio Walmart nella calura estiva del Texas. Altri due sono morti in seguito negli ospedali, l’autista è stato condannato all’ergastolo. Le autorità hanno descritto l’incidente come un tentativo di traffico di immigrati andato storto.

Libia, 20 febbraio 2017: 13 migranti africani soffocati all’interno di un container mentre venivano trasportati tra due città della Libia. Secondo la filiale locale della Mezzaluna Rossa, un totale di 69 migranti per lo più maliani sono stati stipati nel container. Secondo quanto riferito, erano rimasti intrappolati nel container per quattro giorni.

Austria, 27 agosto 2015: la polizia austriaca ha scoperto un camion abbandonato contenente i corpi di 71 migranti iracheni, siriani e afgani. Tra le vittime soffocate c’erano otto bambini. Il camion, trovato parcheggiato lungo un’autostrada, era entrato in Austria dall’Ungheria.

Pakistan, 4 aprile 2009: 35 migranti afgani soffocati all’interno di un container abbandonato nel Pakistan sudoccidentale. Le autorità hanno affermato che più di 100 persone sono state stipate all’interno del container, che avrebbe dovuto essere portato al confine iraniano.

Thailandia, 9 aprile 2008: 54 migranti birmani soffocati nella parte posteriore di un camion frigorifero ermetico nella città meridionale di Ranong. Il camion portacontainer a 10 ruote, solitamente utilizzato per il trasporto di pesce congelato, era in viaggio verso l’isola turistica di Phuket. I morti includevano 37 donne e 17 uomini. Altri 21 sono stati ricoverati in ospedale e i restanti 46 sono stati arrestati dalla polizia per essere entrati illegalmente in Thailandia.

USA, 14 maggio 2003: 19 migranti sono morti all’interno di un soffocante rimorchio di un trattore mentre viaggiavano dal sud del Texas a Houston.

Inghilterra, 18 giugno 2000: 58 immigrati cinesi sono stati trovati morti all’interno di un camion nella città portuale inglese di Dover. Il camion olandese aveva trasportato gli immigrati attraverso la Manica dal Belgio.

Il traffico di migranti è un crimine orrendo che si poggia su due pilastri fondamentali: l’incuria verso persone che sono viste come “altro” da noi e l’ignoranza di credere che l’ultimo dramma di cui sappiamo sia un caso isolato. Poi ci sono i fiancheggiatori morali, sono quelli che parlano con superficialità di “taxi” senza essere capaci di rispettare l’odore della morte.

Buon mercoledì.

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A Verona si sostiene la destra nel nome di dio

Immancabile, a Verona, scende in campo il vescovo. Che accada in una delle città più neofasciste d’Italia (dove associazioni come Circolo Pink Lgbte Verona, Sat Pink Aps, Pianeta Milk Verona, Non una di Meno Verona, Yanez, Udu Verona, Rete degli Studenti Medi Verona, Eimì sono al fronte per difendere i diritti) non è un caso. Monsignor Giuseppe Zenti lo scorso 18 giugno ha preso in mano la penna per vergare una lettera ispirata da uno spirito tutt’altro che santo per ricordare a sé stesso «e ai fedeli di individuare quali sensibilità e attenzioni sono riservate alla famiglia voluta da Dio e non alterata dall’ideologia del gender, al tema dell’aborto e dell’eutanasia».

Al netto di questa spiritualità meschina l’invito è quello di votare al prossimo ballottaggio per le elezioni amministrative in città il sindaco uscente Federico Sboarina, candidato di Lega e Fratelli d’Italia, preferendolo all’ex calciatore Damiano Tommasi (sostenuto dal Pd, M5s e liste civiche). Del resto parliamo dello stesso vescovo che nel 2015 scrisse agli insegnanti di religione per condividere il programma elettorale di una candidata della Lega alle elezioni regionali. È lo stesso personaggio che sul ddl Zan disse che «l’omosessualità praticata non è un valore agli occhi di Dio» scrivendo, dimostrando di avere poca capacità di comprensione delle leggi, «auspichiamo che si possa continuare a dire, che non resti traccia nel ddl di bavagli o di possibili carceri. Sarebbero residuati da Gestapo».
Essere gretti nel nome di dio dovrebbe essere peccato, nel mondo dei comandamenti giusti. Il vescovo Zenti mostra tutto il suo buio nelle lettere che scrive e nei modi in cui le scrive.

Per avere idea di come sia più arioso e libero il mondo basta buttare l’occhio sul documento politico del Comitato Verona Pride 2022: «La nostra Verona sta reagendo, stiamo costruendo una comunità democratica forte e coesa, le cui discussioni infervorano sempre di più gli spazi di confronto. Solo attraverso questo movimento politico possiamo aprirci a tutte le soggettività con le quali percorrere questo cammino.  “Casa nostra” è dove siamo. I nostri corpi sono “case nostre”. Tutto il mondo è “casa nostra”.  Ma se tutto il mondo è casa nostra, allora, anche la piazza lo è, e non possiamo più farci marginalizzare né accettare le violenze che ci infliggono. Dobbiamo continuare a ripopolare le piazze, a farle nostre, ed è compito di tuttз tenere il passo per vivere la città in una forma nuova. Plasmiamo la società che desideriamo, cominciando con l’educare chi – in buona o in malafede – non conosce l’Abc del vivere insieme. Ecco quindi che le nostre rivendicazioni devono essere intersezionaliste e vigili sulle esigenze collettive. Facciamo di Verona una grande piazza in cui insegnare a chi la vive come rispettare il diritto di tuttз all’autodeterminazione».
Il personale è politico, sempre. Se la Chiesa si butta in politica trascinata dalle idee mediocri di un monsignore non resta che combatterla.

Buon martedì.

Nella foto: Monsignor Zenti al Congresso delle famiglie, Verona, 29 marzo 2019

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Ma le avete lette bene le parole del presidente dell’Anpi Pagliarulo?

Prima di qualsiasi polemica. Avete letto bene cosa ha detto il presidente dell’Associazione nazionale partigiani dl’Italia Gianfranco Pagliarulo? Prima di qualsiasi giudizio, prima di qualsiasi commento. Ecco qui l’intervento video in cui risponde agli attacchi:

«Di questi tempi – spiega Pagliarulo – non c’è giorno che l’Anpi e la mia persona non siano attaccate da qualcuno. Sostengono che si va divisi al 25 aprile in particolare per quello che ho detto lo scorso 15 aprile, quando ho affermato testualmente “Oggi rilanciamo la nostra proposta di dialogo e di unità. Sappiamo bene che la guerra tra i tanti disastri divide. Noi vogliamo contrastare questa deriva, pur nelle opinioni diverse, perché sono convinto che in ultima analisi l’obiettivo comune è quello della pace”, e ho aggiunto “Da ciò l’urgenza di un rafforzamento dell’unità di tutte le forze di pace del nostro Paese e del dialogo fra tutte le forze antifasciste per abbassare la tensione e ricercare la via del negoziato. La diversità di opinioni su singoli punti non deve impedire questo dialogo e la ricerca dell’unità a cominciare dalle più grandi forze democratiche presenti nel governo”. Ecco la tecnica: far dire al bersaglio della polemica, cioè io, esattamente il contrario di quello che ho detto. Ho parlato di unità, e scopro che le mie parole sono di divisione».

Poi il presidente aggiunge: «Ma questo è stato solo l’antipasto. Si è andati a frugare in qualche post su facebook e in qualche articolo che ho scritto nel 2014 e nel 2015 per dimostrare che sono… un seguace di Putin! In quei post, in sostanza, mi riferivo al cambio di regime avvenuto in Ucraina a cavallo fra il 2013 e il 2014 ed all’avvio della guerra civile fra il Donbass autonomista, e le armate ucraine che lo hanno attaccato militarmente. Fin dai tempi del cambio di regime di Maidan erano avvenute cose sconvolgenti: violenze spesso omicide da parte di formazioni paramilitari e politiche esplicitamente ispirate al nazismo, come Settore destro e Svoboda, la creazione di un vero e proprio battaglione combattente, il battaglione Azov, fondato e diretto da Andrij Biletsky, che affermò che la missione dell’Ucraina è quella di “guidare le razze bianche del mondo in una crociata finale contro i subumani, i sottouomini, capeggiati dai semiti”. Il simbolo del battaglione Azov è un simbolo simile alla svastica ed è lo stesso logo utilizzato da varie unità SS, sullo sfondo del sole nero, simbolo della mistica nazista; è lo stesso simbolo di un gruppo neofascista italiano e viene spesso usato da Forza nuova. Negli Stati Uniti l’anno scorso la commissione parlamentare per la lotta al terrorismo ha definito Azov “organizzazione terrorista straniera”. L’Alto commissariato per i diritti umani dell’Onu ha denunciato i crimini di guerra del battaglione Azov nel 2015 e nel 2016».

Dopodiché, Pagliarulo chiarisce: «Io non sono antifascista a giorni alterni. Davanti all’offensiva paranazista di quegli anni pensavo e continuo a pensare che fosse giusto contestare la spirale di violenza innescata da un oscuro cambio di regime e sostenuta da forze esplicitamente neonaziste. Essere antifascista non vuol dire affatto sostenere Putin. Tantomeno oggi dopo un’invasione criminale che sta mettendo a repentaglio la pace nel pianeta. Si dirà: ma il precedente governo ucraino prima di Maidan, quello di Viktor Yanukovych, era corrotto. Credo che sia verissimo. Ma anche il successivo governo di Petro Poroshenko, quello del rinnovamento dopo Maidan, era corrotto. Quando nelle elezioni ucraine dell’aprile 2019 Zelenskiy vinse contro Poroshenko, mi sembrò francamente un fatto positivo. Pensai che forse si sarebbero finalmente realizzati gli accordi di Minsk in merito al Donbass e che ritornasse la pace. Non è avvenuto».

Il presidente Anpi invita poi ad andare a rileggersi alcuni suoi vecchi articoli, su cui in questi giorni la stampa non si è soffermata: «Sembra che chiunque stia fuori dal coro dei vari Mentana diventa in automatico un pericoloso putiniano, agente del nemico, quinta colonna. Suggerisco la lettura di un mio articolo sullo scandalo Metropol, una oscura storia di rapporti fra l’uomo di Salvini, tale Gianluca Savoini, presidente dell’Associazione Lombardia Russia. Nell’incontro fra tre russi e tre italiani, fra cui Savoini, si sarebbe parlato di un finanziamento illegale alla Lega tramite una tangente di 65 milioni di euro in ragione di una triangolazione commerciale di una gigantesca quantità di gasolio. Cito questo episodio fra i tanti, perché si scoprirà che il putiniano Pagliarulo denunciava e approfondiva la vicenda il 26 luglio 2019 sul periodico nazionale dell’Anpi. Di eventi in cui Salvini si è dichiarato putiniano ce ne sono tanti. Ma cito questa storia perché mi pongo e pongo a tutti voi una domanda. Perché le autorevoli testate di orientamento liberaldemocratico non indagano a fondo sui rapporti della destra sovranista col nazionalista imperiale Putin e invece insistono a dipingere l’Anpi per ciò che non è e a descrivere Pagliarulo per ciò che non pensa e non dice?».

Infine, chiosa il capo dell’Anpi: «Stiano tranquilli tutti coloro che si stanno accanendo contro l’Anpi e contro me stesso: continueremo a condannare senza se e senza ma un’invasione sanguinosa di cui Putin ha tutte le responsabilità; continueremo a sostenere l’urgenza dell’immediato cessate il fuoco e del ritiro delle truppe russe dall’Ucraina. Continueremo a sostenere che l’unica via per far cessare questa catastrofe è una trattativa seria e una continua de-escalation. Continueremo a sostenere che l’invio di armi che si sta incrementando è benzina sul fuoco di una guerra che può deflagrare su scala europea e mondiale e di cui le prime vittime sono gli ucraini. Continueremo a sostenere che nel dibattito pubblico in Italia bisogna unirsi, dialogare, confrontarsi e non insultarsi, senza demonizzare nessuno. Continueremo a sostenere che il primo urgentissimo obiettivo è la pace e con questa parola d’ordine manifesteremo unitariamente il 25 aprile. Continueremo a sostenere che nel nostro tempo in una guerra non ci sono vinti né vincitori ma solo superstiti. Sappiamo di essere tanti. Condividiamo gli appelli del papa. Eravamo, siamo e saremo sempre antifascisti».

Se leggete bene le sue dichiarazioni vi stupirete, ne sono certo, di non trovarci dentro nulla del fango che si trova in giro. Chiaro, no?

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Amnesty international: dal 2020 meno diritti e più conflitti

No, non è solo la guerra in Ucraina. Per fortuna Amnesty international ci ricorda che bisogna fare i conti con la delusione generale per le false speranze riposte nel cambiamento di rotta sperato che in un momento difficile come quello della pandemia globale, avrebbe potuto spingere tutti i paesi del mondo e i potenti a puntare alla collaborazione, all’aiuto nei confronti dei paesi più poveri.

Nel suo ultimo rapporto sulla situazione dei diritti umani nel mondo si legge chiaro e tondo. «Gli Stati ad alto reddito hanno colluso coi giganti aziendali ingannando le persone con slogan vuoti e false promesse su un’equa ripresa dalla pandemia da Covid-19, in quello che è risultato uno dei più grandi tradimenti dei nostri tempi». E ancora: «Il rapido sviluppo dei vaccini contro il  Covid-19 era apparso come la perfetta soluzione scientifica e aveva  alimentato la speranza nella fine della pandemia per tutte e per  tutti. Invece, nonostante fossero state prodotte sufficienti dosi per vaccinare tutta la popolazione mondiale entro l’anno, il 2021 si è chiuso con meno del 4% della popolazione degli Stati a basso reddito completamente vaccinata».

«Sui palcoscenici globali del G7, del G20 e della Cop26 – ha commentato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty international – i leader politici ed economici hanno dedicato scarsa attenzione alle politiche che avrebbero potuto generare un’inversione di rotta nell’accesso ai vaccini, aumentare gli investimenti nella protezione sociale e affrontare l’impatto del cambiamento climatico. I capi di Big Pharma e Big Tech ci hanno raccontato storie sulla responsabilità d’impresa.  Poteva essere il momento spartiacque per la ripresa, per un cambiamento genuino e importante, per un mondo più giusto. Invece l’opportunità è andata persa e si è tornati a quel tipo di politiche che alimentano la disuguaglianza. I soci del ‘Club dei ragazzi ricchi’ hanno fatto promesse in pubblico che si sono rimangiati in privato».

Nel 2021 scrive inoltre Amnesty international a proposito dei danni collaterali per le popolazioni civili, «sono scoppiati o sono proseguiti conflitti in Afghanistan, Burkina Faso, Etiopia, Israele/Territori palestinesi occupati, Libia, Myanmar e Yemen. Tutti gli attori sul terreno hanno violato il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti umani». Detto in estrema sintesi, milioni di persone sfollate, migliaia uccise, centinaia sottoposte a violenza sessuale e sistemi economici e sanitari già fragili collassati a causa di nuovi o irrisolti conflitti. «Il fatto che il mondo non sia stato in grado di affrontare questo moltiplicarsi dei conflitti ha prodotto ulteriori instabilità e devastazione. Questa vergognosa mancanza d’azione, la costante paralisi degli organismi multilaterali e la mancata assunzione di responsabilità delle potenze hanno contribuito a spalancare la porta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha violato nel modo più evidente il diritto internazionale».

E poi c’è la libertà. Nel 2021 – spiega Amnesty international -, in almeno 67 Paesi sono state introdotte nuove leggi per limitare le libertà di espressione, di associazione o di manifestazione. Almeno 36 Stati degli Usa hanno approvato un’ottantina di provvedimenti per restringere la libertà di manifestazione, mentre il governo del Regno Unito ha proposto una legge che penalizzerebbe gravemente la libertà di riunione pacifica, anche attraverso l’ampliamento dei poteri di polizia. È aumentato anche il ricorso a forme nascoste di sorveglianza digitale. «In Russia – specifica l’organizzazione umanitaria – il governo si è basato sul riconoscimento facciale per eseguire arresti di massa di manifestanti pacifici. In Cina le autorità hanno ordinato ai fornitori di servizi Internet di non consentire l’accesso a portali “che mettono in pericolo la sicurezza nazionale” e hanno bloccato applicazioni in cui si discuteva di temi sensibili come lo Xinjiang e Hong Kong. Le autorità di Cuba, Eswatini, Iran, Myanmar, Niger, Senegal, Sudan e Sud Sudan hanno bloccato o limitato Internet per impedire la condivisione di informazioni e l’organizzazione di proteste».

Buon mercoledì.

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Un passo sul fine vita. Ma il futuro è buio

La legge sul fine vita passa alla Camera. Via libera con 223 sì, 168 no e un’astensione all’articolo 2 della norma, in attuazione della sentenza della Corte costituzionale del novembre 2019 sul caso Dj Fabo/Cappato. L’articolo 2 è il pilastro della legge, contiene lo scopo della normativa: «Si intende per morte volontaria medicalmente assistita il decesso cagionato da un atto autonomo con il quale, in esito al percorso disciplinato dalle norme della presente legge, si pone fine alla propria vita in modo volontario, dignitoso e consapevole, con il supporto e sotto il controllo del Servizio sanitario nazionale», si legge nel testo.

L’atto, si precisa, «deve essere il risultato di una volontà attuale, libera e consapevole di un soggetto pienamente capace di intendere e di volere». La norma prevede inoltre che «le strutture del Servizio sanitario nazionale operino nel rispetto dei seguenti princìpi fondamentali: tutela della dignità e dell’autonomia del malato; tutela della qualità della vita fino al suo termine; adeguato sostegno sanitario, psicologico e socio-assistenziale alla persona malata e alla famiglia». Contrari Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Coraggio Italia.

Anche ieri abbiamo assistito alla pessima esibizione di alcuni parlamentari, com’era prevedibile. Toccafondi di Italia Viva ha dichiarato: «Trovo innaturale una legge che aiuti a morire. Nella nostra cultura c’è il valore della vita, il diritto alla vita e non a metter fine alla vita». Palmieri, Forza Italia: «Il Pd aderisce a un progetto di società in cui la persona diventa un individuo sciolto da qualsiasi legame sociale e familiare alla mercé del potere di turno e della sofferenza che gli viene inferta». 

Durante il voto finale Riccardo Magi invece ha citato Welby: «Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso. Morire mi fa orrore purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita è solo un testardo insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche».

È passato, ovviamente, l’emendamento che prevede l’obiezione di coscienza. Dentro si legge che «gli enti ospedalieri pubblici autorizzati sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dalla presente legge. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione». Visto com’è andata con la 194 viene difficile essere ottimisti.

Filomena Gallo e Marco Cappato, rispettivamente Segretario nazionale e Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, scrivono che «finalmente il Parlamento dà segno di voler provare ad assumersi le proprie responsabilità. Non sarebbe mai accaduto senza il coraggio di persone come Piergiorgio Welby, Fabiano Antoniani e Davide Trentini, che resero pubblica la loro scelta, senza le disobbedienze civili e senza 1.240.000 persone che hanno firmato il referendum per la legalizzazione dell’eutanasia attiva facendo emergere una profonda consapevolezza e volontà popolare». Dicono anche: «Non ci facciamo illusioni. Siamo ben consapevoli della difficoltà che rappresenta il passaggio al Senato, nonché degli effetti discriminatori del testo nella versione attuale, che esclude dalla possibilità di accedere all’aiuto a morire i pazienti «non tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale (come ad esempio solitamente sono i malati terminali di cancro e alcune malattie neurodegenerative)».

In effetti al Senato i numeri ballano. I malumori all’interno del Pd e di Italia viva saranno meno controllabili e più decisivi. Ve la ricordate la legge Zan? Ecco, siamo su quel bordo.

Buon venerdì.

 

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Il Parlamento di cui stiamo parlando

Vedo che in giro c’è questa nuova tesi, piuttosto dopata, per cui non dovremmo preoccuparci della bocciatura dei referendum su eutanasia e cannabis perché «ora tocca al Parlamento». Siamo tutti d’accordo che non siano i referendum a legiferare (leggendo alcuni commenti sembra che molti non sappiano che la legge sull’aborto non fu figlia di un referendum) ma penso che potremo convenire che la montagna di firme su un certo tema sia inevitabilmente una pressione politica per i partiti a cui interessa rappresentare quelle persone lì fuori.

Noto che si insiste nel credere che questo Parlamento (quello che era maggioranza in un governo con la destra, poi che è stato maggioranza con un governo di centrosinistra, poi che è stato maggioranza quasi totale con il governo dei migliori di mister Draghi) abbia davvero i numeri (oltre che la statura morale) per votare una legge qualsiasi su un avanzamento di diritti qualsiasi.

Sfugge forse che stiamo parlando del Parlamento che ha inscenato un orrido rodeo festante per avere affossato la legge Zan fingendo di voler mediare semplicemente per boicottarla. Sfugge forse che stiamo parlando dello stesso Parlamento che continua a finanziare la Libia fingendosi contrito. Stiamo parlando dello stesso Parlamento che nel bel mezzo di una pandemia mondiale sta raggiungendo livelli record nella spesa militare, con il ministro Guerini nel ruolo di cameriere dei signori delle armi. Stiamo parlando dello stesso Parlamento che in questi giorni festeggia il trentennale di Mani pulite dimenticandosi completamente delle responsabilità criminali della politica e focalizzandosi a senso unico su un presunto golpe dei magistrati. Stiamo parlando dello stesso Parlamento che nelle parole e nei fatti sta continuando a criminalizzare i giovani, i poveri, i disoccupati, i sindacati, le proteste. Stiamo parlando dello stesso Parlamento che ha autorizzato una gestione economica della pandemia fingendo di occuparsi di salute quando le priorità sono sempre state i Pil, foss’anche quello del tramezzino sotto gli uffici.

Stiamo parlando del Parlamento che rivende come garantismo il diritto all’impunità, che accetta una transizione ecologica che è un trucco (malfatto) senza nemmeno l’ombra della decarbornizzazione. Stiamo parlando del Parlamento che twitta contro Sanremo, che nega il ritorno del fascismo volendo vedere le 100 ore di girato, che non si sbilancia mai sulla matrice di certi eventi, che trova normale un’ex deportata e senatrice come Liliana Segre a cui tocca girare con la scorta. Stiamo parlando di un Parlamento che ieri ha innalzato la soglia del contante per la gioia di criminali e di evasori. Stiamo parlando del Parlamento che non si acciglia nemmeno per un presidente della Corte costituzionale come Giuliano Amato che si permette di filosofeggiare sulle firme online per i referendum, mischiando giustizia e politica in una conferenza stampa con tutte le caratteristiche dello show.

In un Parlamento così davvero credete che si possa scrivere e votare una legge, una qualsiasi, che ci permetta di fare un passo avanti sui diritti? Davvero?

Buon venerdì.

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I Montesano e le figuracce familiari

Ieri Tommaso Montesano, giornalista di Libero, ha pensato bene di scrivere un tweet che recita testualmente: «Le bare di Bergamo stanno al Covid19 come il lago della Duchessa sta al sequestro Moro», costruendo un parallelismo tra il negazionismo del falso comunicato delle Brigate Rosse e le false (secondo lui) morti nella città bergamasca. Ovviamente un’affermazione così grave è salita subito alla ribalta: che i camion di Bergamo siano una costruzione scenica ormai è credenza solo dei più penosi cretini negazionisti. Gente che non ha nulla a che vedere con gli eventuali critici sul Green pass.

Tommaso Montesano però è riuscito a compiere un miracolo visto che ha spinto perfino Libero a vergognarsi, cosa che pareva incredibile. Il direttore Alessandro Sallusti ha spiegato all’Ansa «di aver chiesto all’azienda di valutare con gli uffici legali se ci sono gli estremi per un licenziamento». «Trovo quanto scritto di una gravità inaccettabile – ha aggiunto il direttore -. Non solo è un falso ma è un falso che offende la nostra testata e la redazione: i più arrabbiati sono proprio i colleghi».

Nelle ore successive esce un altro comunicato: «Il Comitato di redazione del quotidiano Libero si dissocia dagli interventi con i quali un collega nella sostanza nega una correlazione tra la foto simbolo delle bare di Bergamo e il Covid. E si scusa con le famiglie delle decine di migliaia di persone che hanno perso la vita a causa della pandemia. Si possono avere le idee più diverse su vaccini e Green pass, ma le teorie negazioniste sono quanto di più lontano dai valori dei giornalisti di Libero».

Montesano figlio, colto in fallo, ovviamente ci dice di essere stato frainteso e nel suo profilo Facebook scrive: «Il mio tweet, su cui in molti in queste ore si stanno scagliando, è stato gravemente equivocato. Il mio pensiero era un semplice parallelismo – espresso in modo icastico ma evidentemente infelice – tra la forza simbolica dei camion militari di Bergamo, che hanno avuto il merito di far aprire gli occhi anche ai più scettici che negavano la gravità della pandemia, e le immagini della ricerca del corpo dell’onorevole Moro nel lago della Duchessa che, secondo le ricostruzioni storiche, convinsero l’opinione pubblica ad accettare l’ineluttabilità del destino di Moro!». Poi ovviamente chiude tutti i suoi profili social, atteggiamento tipico di chi è convinto di essere nel giusto.

L’infelice uscita fa il paio con l’atteggiamento del padre Enrico, ormai idolo dei complottisti: le figuracce a volte sono familiari. Ci sono stelle in discesa che cercano conforto tra i complottisti ma pure stelle in ascesa. Complimenti ad entrambi.

Buon giovedì.

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I furbetti, quelli veri

Mentre tutti i liberisti da strapazzo di questo nostro straziato Paese starnazzavano contro i poveracci che incassano 500 euro di reddito di cittadinanza (misura che ha evidentemente delle storture e che andrebbe migliorata) su queste pagine ci permettevamo di dire che anche nello sdegno le proporzioni sono importanti e che forse sarebbe stato utile guardare i lauti sussidi che rischiavano di andare sprecati, quelli che fanno meno notizia ma che costano sul serio.

Ieri la Guardia di Finanza di Rimini ha ipotizzato il reato di frode per 440 milioni di euro per fondi illecitamente percepiti attraverso la creazione e la commercializzazione di falsi crediti d’imposta. Sono oltre 100 le società coinvolte, create ad hoc per ottenere bonus locazioni, bonus per ristrutturazioni con miglioramenti sismici ed energetici e i cosiddetti bonus facciate che nell’ultimo anno hanno portato all’apertura di una moltitudine di cantieri edili in tutta Italia. In un’intercettazione uno degli indagati al telefono con il commercialista dice: «Cioè, lo Stato italiano è pazzesco, è una cosa… vogliono essere inc**lati praticamente…». «Vedi che io ero abituato – si legge nell’intercettazione – a queste cifre prima del carcere … cioè non mi fanno impressione. A me mi fanno impressione quelli che andiamo a fare adesso … quelli sì mi fanno un po’ impressione da gestire … da gestire … da gestire gli incassi, da gestire il bonus … trenta miliun … sarebbe da pazzi. Sarebbe come dire all’Agenzia delle Entrate o alla Guardia di Finanza ‘veniteli a prendere’. Dovremmo avere una Spa…»

Per il gip: «Inutile dire che le condotte degli indiziati, anche nell’ottica della missione della Repubblica di rimuovere gli ostacoli all’affermazione dell’eguaglianza sostanziale fra i cittadini, qui specificamente traguardata mediante il riconoscimento di una serie di provvidenze ai settori dell’economia reale ritenuti maggiormente bisognosi, si rivelano di una inaudita rimproverabilità e meritevolezza di pena… Non solo, ma l’autentica dedizione alla criminalità di profitto di molti degli indagati, già veri e propri habitué della frode … lascia presagire, in modo ragionevolmente certo, che gli stessi, in preda ad una sorta di ludopatia da reato, eluderebbero con disinvoltura, pur di continuare a delinquere o comunque pur di mettere al sicuro i profitti di reati già commessi».

La cifra contestata, tanto per avere un’idea, è il 50% di quanto lo Stato ha messo nella scuola nell’ultima Legge di Bilancio. Ora vi propongo un gioco: andate a vedere se tutti gli indignati contro i poveri che vengono aiutati con qualche spiccio parlano di questa inchiesta e raccontano di uno Stato di Sussidistan per gli imprenditori che si intascavano soldi senza averne diritto. A proposito: ieri la Guardia di finanza di Treviso ha denunciato 51 imprenditori per aver ricevuto – senza averne diritto – o utilizzato – per finalità non consentite – oltre 1,5 milioni di euro di aiuti statali, sotto forma di prestiti garantiti o contributi a fondo perduto per fronteggiare l’emergenza Covid. Altri 15 imprenditori, responsabili di irregolarità di minore gravità o che hanno ricevuto somme inferiori ai 4mila euro, sono stati segnalati per l’irrogazione di una sanzione amministrativa.

Non ci vuole molto per capire le parti in gioco.

Buon martedì.

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Il populismo dei migliori

Prospettiva Socialista, collettivo di controdeduzione critica sulla società contemporanea, su twitter lo spiega lucidamente: Quando il Governo di Mario Draghi ha giurato, nell’opinione pubblica si respirava un’aria di conciliazione nazionale dopo i battibecchi del 2020. Questo governo serviva a tutti. Questa narrazione, forse nella sua ingenuità, è l’antitesi della democrazia come l’abbiamo conosciuta. Nel campo della ragionevolezza e della tolleranza, la democrazia è questo: conflitto perpetuo tra idee e quindi interessi contrastanti nella società. Dall’altro capo, sfruttando spesso la narrazione secondo cui non esisterebbero più le ideologia, si sostiene l’idea di un personaggio messianico in grado di appacificare questi interessi contrastanti. Non è una storia nuova: si pensi che Fritz Lang venne accusato di nazismo proprio in virtù dell’ultima scena di Metropolis che, secondo alcuni, avrebbe abbracciato la narrazione interclassista propria del nazismo. E di certo non è tipica solo del marxismo, come narrazione: perfino due autori moderati come Acemoglu e Robinson hanno individuato nel conflitto per l’allocazione delle risorse il fondamento, de facto, del potere politico. Quella del Personaggio voluto dal Fato, un novello figlio di Asinio Pollione, potrebbe essere ingenuità. Ma a voi la scelta: l’alternativa è che chi la predica ha ben compreso la natura conflittuale, ma ha scelto di stare dalla parte del più forte.

Sarebbe il caso di rendersene conto in fretta, escludendo gli interessati commentatori bari che non vedono l’ora di far passare una certa ideologia padronale come salvezza collettiva, perché un governo del popolo non può esistere semplicemente perché non esiste un solo popolo. Esistono condizioni e situazioni diverse che richiedono diversi interventi. Questo è esattamente il populismo che dicono di voler combattere. Non siamo tutti sulla stessa barca, nonostante facciano di tutto per convincercene. Il figlio di chi ha un genitore che può garantirgli una casa, un lavoro quasi finto e un patrimonio per non avere preoccupazioni per un paio di generazioni è molto diverso da chi fatica a pagare un mutuo che è riuscito a strappare ipotecando l’unica casa dei suoi genitori e deve accettare qualsiasi lavoro per avere uno stipendio qualsiasi poiché inizia ogni mese con un debito da onorare.

Quando riusciremo una volta per tutte a essere leali su questo punto allora possiamo tornare a parlare di politica, uscendo da questo brodino che ci propongono tutte le sere chiamandoci uguali perché tutti italiani. Solo riconoscendo le diversità si riesce a dare un nome ai propri bisogni e a quel punto si riesce ad ascoltare le soluzioni che no, non valgono “per l’Italia” ma valgono per i diversi contesti. E così magari i nostri leader di partito smettono di fare a gara tra chi lecca meglio l’amministratore delegato Draghi e cominciano a fare politica, sul serio.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Memento Draghi semper

Finita la buriana delle elezioni vale la pena tornare su questo refrain che ci ritroviamo praticamente tutti i giorni soffiato da diversi capi di partito che insistono nel dirci che la cosa migliore che potrebbe capitarci sia un Draghi dopo il 2023, perfino dopo il 2028 e chissà forse fino al 2050.

La politica italiana, soprattutto la parte più miope, serba questo desiderio, quasi un riflesso incondizionato, di trovare il modo più indolore per fermare tutto com’è, congelare lo scorrere dei problemi e dei desideri e quindi riuscire a non doversi impegnare per un Paese che cambia continuamente nei bisogni e nelle decisioni. Non serve certo in fine analista politico per intendere che i capi partito e parlamentari eletti anelano all’errore zero confidando in un certo immobilismo. Nel dire “teniamoci Draghi” c’è tutta l’inettitudine di chi crede che basti il nome senza nemmeno sforzarsi di dirci “per fare cosa”.

Draghi in questo è utilissimo: prende decisioni che i partiti non avrebbero mai il coraggio di prendere e comunque guida un governo sostenuto da partiti che possono in continuazione farci sapere di non essere d’accordo con ciò che fa il governo di cui sono parte. Praticamente sono saliti su un pullman con l’unica preoccupazione di fare delle belle foto ricordo del viaggio e con l’impegno di ricordarsi di fare le pipì durante le soste.

La democrazia è molto più semplice di come qualcuno si sforza di raccontarla per renderla ostica: se Draghi ha intenzione di continuare a fare il presidente del Consiglio gli basterà trovare una coalizione (o un partito unico, che renderebbe meglio l’idea) che lo sostenga alle prossime elezioni rinunciando ai proprio giochetti di segreteria e soprattutto che si prenda la responsabilità di un’agenda di interventi che non può fingere che sia capitata per caso o per emergenza.

Forse vale la pena anche notare come i sostenitori del Draghi dopo Draghi siano in gran parte gli stessi che ci rifilano sonori pipponi sull’astensione e sull’allontanamento della gente dalla politica: quanta voglia vi verrebbe di votare in un Paese in cui i segretari di partito si fanno fintamente la guerra tra di loro e poi in ogni intervista ci confessano di sognare di farsi altri 5 anni di gita insieme deresponsabilizzati dalla presenza di un taumaturgo che sono riusciti a travestire da agente esterno della politica?

Negare la politica per autopreservarsi è l’atteggiamento più fastidioso che si possa cogliere in un partito, in un periodo politico, in un governo: possiamo tranquillamente dire che in questi mesi stiamo assistendo a un capolavoro del genere.

Buon mercoledì.

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