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diritti

Usa, Padova e il reato di essere povero

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Un’analisi di Elisabetta Grande:

«Induriti dai messaggi di egoismo sociale, gli americani non provano più compassione per i poveri di strada, che non riconoscono uguali a sé. Il sentimento collettivo è talmente incattivito nei confronti dei senzatetto e la paura del diverso talmente radicata nella gente, che diventa normale -come accade a Gainesville, in Florida- che gli abitanti del quartiere chiamino la polizia affinché arresti un homeless che dorme sotto il porticato del palazzo del Municipio.

Il messaggio di criminalizzazione ed esclusione sociale del povero ha però conseguenze anche più gravi, poiché crea un fertile bagno di coltura per i germi del razzismo, responsabili dei sempre più frequenti atti di inaudita e gratuita violenza nei confronti degli ultimi della scala sociale. E proprio loro, gli homeless, finiscono paradossalmente, ma secondo un ben studiato meccanismo psicologico, per interiorizzare quell’immagine di sé che proviene dalla società in cui vivono e, nel rispecchiarsi nello sguardo collettivo, si convincono di meritare le vessazioni a cui sono sottoposti.

Il “modello” di un diritto che non solo crea povertà, schierandosi a tutela di un ordine economico sempre più neo-liberista , ma addirittura si accanisce contro quegli stessi poveri che crea, costruendoli con successo come nemici sociali, pare stingere con rapidità anche da noi.

Il 29 settembre 2014, con modifiche intervenute il 23 aprile 2015, sotto la guida del sindaco Massimo Bitonci, il consiglio comunale di Padova ha deliberato un nuovo regolamento di polizia urbana, le cui analogie con le ordinanze cittadine anti-povero americane sono singolarmente evidenti.

Ecco alcuni dei comportamenti sanzionati amministrativamente (giacché in Italia, a differenza che negli USA, i consigli comunali non hanno ancora competenza penale) dal nuovo regolamento di Padova con una multa di 100 euro, che tuttavia possono arrivare anche 500, come nel caso di chi espleti le proprie attività fisiologiche nel posto sbagliato, perché quello giusto sarebbe il gabinetto di una casa che non ha. Si tratta dei divieti di sedersi o sdraiarsi per terra in luoghi diversi da parchi, giardini pubblici ed argini, e anche di sdraiarsi sulle panchine o utilizzarle in modo improprio o impedirne l’uso ad altre persone occupandole con oggetti o indumenti personali, o di rendere inaccessibili i luoghi destinati al pubblico passaggio o di ostruire le soglie degli ingressi agli edifici pubblici o privati (Art. 9.2.a); oppure della proibizione di soddisfare le esigenze fisiologiche fuori dai luoghi destinati allo scopo (Art. 9.2.c).

La possibilità in entrambe le tipologie di casi di sostituire la sanzione pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità (Art. 9.5) evoca – nonostante a Padova ciò avvenga a richiesta del trasgressore – momenti bui, come quelli della Washington D.C. del 1812. Una norma entrata in vigore quell’anno prevedeva che tutti coloro che si trovavano sull’orlo della povertà, o che non avevano una dimora fissa, pagassero una cauzione ‘di buona condotta’ volta a indennizzare la città per il sostegno offerto. Chi non poteva pagare era costretto ai lavori forzati fino a un massimo di un anno. Oggi a Padova chi non abbia altro posto dove sdraiarsi per riposare che una panchina, su cui magari poggi addirittura tutti suoi miseri averi, per farsi perdonare potrà sempre lavorare gratis effettuando “dipintura, piccole riparazioni, pulizia e manutenzione di strade, di luoghi pubblici, di aree verdi e di giardini pubblici, di aule scolastiche, di locali e di aree di proprietà o in gestione al Comune o di altri Enti” (Art. 3. 9), salvo magari poi finire a cercar riposo sulla stessa panchina e così ricominciare da capo.»

Il resto è qui.

Diritto d’amare? La lezione di Francesco.

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Francesco Gagliardi, medico, coglie il cuore, appunto:

«Come molti sanno per un paio di anni sono stato un medico prelevatore della banca degli occhi di roma. In pratica quando una persona muore viene chiesto ai parenti più stretti se vogliono o meno donare i tessuti corneali. Qualora i parenti accettino firmano un modulo e viene attivato il centro. Sono tante le storie che potrei raccontare perché ogni donazione,ogni vita, ogni morte ha una storia a se, bella o brutta che sia. Però oggi mi sembra necessario raccontare la storia seguente. Il centro era stato avvisato che c’era un probabile donatore ma che c’era un piccolo problema: il donatore era gay. Problema numero uno il protocollo prevedeva tra i criteri di esclusione di una donazione proprio l’omosessualità. Faccio notare che ogni donazione sono due persone che tornano a vedere. In ogni caso ci viene detto che il donatore (uso questa parola per ribadire l’estrema generosità di chi dona gli organi) era in “coppia chiusa” da almeno 35 anni. Ripeto: 35 anni. Quindi il nostro primario si prende la responsabilità(tutto sulle spalle dei singoli) e si attiva il sistema. Io mi precipito nell’ospedale dove questo signore era morto e parlando con l’infermiere che aveva trattato il caso (altra brava persona) mi viene detto che mancava una firma perché la donazione era stata richiesta dal compagno del signore morto con cui viveva da 35 anni ma che non essendo questo giuridicamente nulla non poteva firmare. Si doveva aspettare la sorella che veniva dal nord Italia che era l’unica persona della famiglia con cui questo signore era rimasto in contatto in quanto era stato cacciato dalla famiglia 35 anni prima proprio per quella scelta d’amore che aveva fatto. Per farla breve succede questo : la sorella arriva e firma e io faccio il mio prelievo di cornee (ricordo:un prelievo due persone che tornano a vedere). Dopo un prelievo avevo l’abitudine,qualora i parenti fossero ancora lì, di andare a ringraziarli per il loro bel gesto. Quella volta uscii e mi diressi verso la sorella del signore che stava confabulando con altri due signori che mi sono stati presentati come gli altri due fratelli che seppure abitassero a roma non si erano presi la responsabilità di firmare in quanto erano 35 anni che non parlavano con il fratello. La cosa più ripugnante è che stavano redarguendo la sorella che non voleva cacciare il compagno di una vita del suo compianto fratello dalla casa che era intestata al defunto e che ora per legge apparteneva a loro ma che era occupata dall’altro “frocio”. Ognuno è quello che è ed è responsabile di quello che fa ma la cosa che più mi ha addolorato di questa storia è non aver potuto ringraziare chi ha permesso con la sua caparbietà di realizzare l’ultimo desiderio del suo compagno in quanto non essendo parente né niente non poteva avere accesso alla camera mortuaria dove venivano fatti i prelievi. Politici,preti, profittatori,pecore , conservatori,ignoranti ecc… possono parlare quanto vogliono e vomitare odio quanto vogliono ma io volevo cogliere l’occasione per ringraziare il compagno del signore morto per la sua lezione d’amore e chiedergli scusa per tutto il male che un paese ridicolo e inadatto gli ha fatto. Grazie».

(fonte)

Ti torturo sì, ma ti lascio la mancia

Tortura

45000 euro offerti dal Ministero degli Esteri alla Corte Europea per una “conciliazione amichevole” per chiudere i ricorsi sulle violenze commesse all’interno della caserma Bolzaneto a Genova nel 2001.

E nemmeno un Rolex, pensa te.

Io, da adottato, invidio la vostra sicumera

Questa abitudine al sapere a priori il giusto o lo sbagliato. Bravi sempre a non mettersi in gioco. Io, invece, vi racconto perché comunque non penso sia così facile decidere dei figli degli altri. Ne ho scritto qui.

aiuto-vita

Due euro all’ora

27 euro al giorno: la “busta paga” di Paola Clemente, morta da bracciante il 13 luglio in mezzo all’uva. Stesse storie, stessa estate, questa volta sono italiani sia la vittima che gli aguzzini. Come racconta suo marito in un’intervista a Repubblica il compito di Paola era  quello di togliere “gli acini più piccoli per fare bello il grappolo”.

Fare bello. Ha detto proprio così.

Acinellatura-Rossese