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Anche Di Pietro

Antonio Di Pietro lascia la presidenza di IDV. Rimangono i suoi ex servi banalissimi che si credono statisti e cercano un capezzolo del PD.
Per finire in bellezza suona il requiem Stefano Pedica: da Buttiglione e Casini fino al nuovismo spinto approdando a Renzi.
Che pena.

L’umido e il secco

“Vogliamo lavorare alla costruzione  di un nuovo centrosinistra, per questo alle primarie dell’8 dicembre chiediamo ai nostri iscritti di votare Renzi”

Antonio Di Pietro

Cosa mi ero perso

Stefano Pedica (Roma, 13 ottobre 1957) è un politico italiano. Dopo la Dc transita nel Ccd, poi passa nell’Udr di Cossiga, quindi ricompare in Democrazia europea con Andreotti e D’Antoni, poi fonda i Cristiani democratici europei con Meluzzi, dopo confluisce in Alleanza popolare di Martinazzoli e Mastella, quindi passa con Mario Segni, poi segue la Nuova Dc di Rotondi, poi approda all’Idv. Dal 2013 sostiene Matteo Renzi all’interno del Partito Democratico.

(da wikipedia)

Peccato

IDV riparte da Ignazio Messina. Peccato.

Chi è Messina. Ignazio Messina, 49 anni, ha aderito all’Italia dei Valori nel 1998 diventando il portavoce regionale, in Sicilia, fino al 2003. Si candida per la prima volta con il partito Di Pietro alle elezioni politiche del 2001 alla Camera dei Deputati nella circoscrizione Sicilia 1 e nel collegio uninominale di Sciacca dove ottiene 4.301 voti ma non viene eletto. Nel 2004 si ricandida come sindaco del Comune di Sciacca, ripresentando la “Lista Messina” e con l’appoggio di Rifondazione Comunista e Verdi, ma non riesce a superare il primo turno. Eletto consigliere comunale, al ballottaggio fa apparentare la sua lista con la coalizione di destra che sostiene il candidato sindaco di Forza Italia ed e’ determinante per la sua vittoria, a scapito tutto il resto del cartello di centrosinistra. Messina diventa vicepresidente del Consiglio Comunale e sostiene la maggioranza per tutto il mandato. (da Repubblica)

Le volte che ti vergogni di stare qui (al Pirellone)

gallery_4b54dd9e37094_PirelloneAl posto dei pacchetti di natale quest’anno in Regione Lombardia sono arrivati gli “spacchetti“:

Grazie alla nuova legge elettorale della Regione Lombardia, approvata il 26 ottobre, il medesimo giorno in cui fu sciolto il Consiglio regionale, i gruppi presenti in Consiglio possono evitare la faticosa corsa alla ricerca delle firme per presentare la lista alle elezioni. Bastano tre consiglieri per formare un gruppo consigliare e così è accaduto che alcuni consiglieri abbiano “spacchettato” i vecchi gruppi e, uscendosene, hanno dato vita a nuove formazioni.

Dal Pdl sono nati “Lombardia popolare” di area formigoniana con Doriano Riparbelli, Angelo Gianmario, e Marcello Raimondi, questi ultimi due indagati per peculato: tutti e tre in appoggio a Gabriele Albertini. Ancora dal Pdl nasce ”Centrodestra nazionale” che ospita gli ex An Roberto Alboni, Romano La Russa e Carlo Maccari, tutti ex An.

Poi ci sono i gruppi autonomi nati dal Carroccio: si tratta di “Tremonti – 3L Lista, Lavoro e Libertà“, di cui fanno parte Massimiliano Romeo, Jari Colla e Roberto Pedretti. Ancora leghisti sono Angelo Ciocca, Ugo Parolo, entrambi indagati per i presunti rimborsi illeciti, e l’inquisito ex presidente del Consiglio, Davide Boni. Hanno creato il nuovo gruppo “Popolo della Lombardia“.

Infine il quinto gruppo, il “Centro popolare lombardo – I moderati“, è stato costituito dagli Udc Enrico Marcora e Valerio Bettoni e dall’Idv Franco Spada. Questo gruppo è in appoggio al candidato presidente di centrosinistra Umberto Ambrosoli.

I cinque nuovi gruppi peseranno sulle casse pubbliche per 100mila euro e l’indennità di un capogruppo è più alta rispetto a quella di un consigliere: fino a 1.300 euro in più al mese. Per i tre mesi che mancano per le elezioni si calcolano uscite supplementari per altri 70mila euro.

Dispiace che Umberto Ambrosoli non abbia speso una parola, una parola una, sul Centro popolare lombardo e sulle dinamiche del parto. Peccato.

Il centrosinistra secondo Ken Loach

“In Gran Bretagna si prepara a vincere, ma non credo che il centrosinistra esista: se si è a favore del mercato e della deregulation si è di destra, se si crede nell’economia pianificata e nella proprietà comune si è di sinistra, chi rimane al centro della strada di solito viene investito. Non so in Italia, ma da noi il centrosinistra si dice d’accordo a mantenere le misure di austerità e a proseguire le privatizzazioni, solo più lentamente. Ma se dovete essere comunque strangolati, il tempo non fa la differenza”. (Ken Loach)

Lombardia: occupiamocene noi

Continua il tira e molla tra la Lega (che dice, disdice, fa, disfa, e ridisfa) e un Formigoni imballato. Ora i leghisti dicono che si voterà ad Aprile (perché non subito?) e che dovrebbero dimettersi i consiglieri indagati (praticamente il gruppo consiliare più numeroso in Regione Lombardia: quello degli indagati).

Facciamo una cosa: Formigoni si dimetta e usciamo da questa lotta nel fango di reduci di un’era passata.

Nel frattempo sarebbe il caso che nel centrosinistra provassimo a raccontare l’alternativa e soprattutto le regole e i modi dell’avvicinamento all’appuntamento elettorale perché forse la mancata sollevazione popolare contro Formigoni è dovuta all’incollatura persistente di Penati alla poltrona che ricorda come alle primarie della desolazione anche noi negli ultimi anni abbiamo fatto la nostra parte. Per questo invito gli amici del PD, i compagni di SEL e gli amici dell’IDV insieme a FDS e ai tanti comitati, movimenti e cittadini che in questi ultimi anni praticamente ogni sera abbiamo incontrato, incrociato e con cui abbiamo dibattuto a non farsi condizionare dai tempi dei leghisti e pidiellini e dare il colpo di reni che serve: punti di rivoluzione rispetto al passato prossimo, programmi chiari su lavoro, scuola, sanità, trasporti e linea di avvicinamento alle primarie e coalizione.

Non credo che il nostro ruolo sia quello di preoccuparci delle dinamiche politiche della maggioranza, quanto piuttosto essere credibili per la maggioranza dei lombardi. E noi, dopo aver scavallato provincia per provincia in questi ultimi mesi di ascolto, siamo pronti a partire.

Serve il coraggio, in Lombardia

Ci vuole coraggio. Scegliere di provare a scostarsi dal luogo di osservazione dove per comodità si sono ammassati tutti come comari e provare a guardare la Regione Lombardia con occhi nuovi: dalle strade, dalle piazze e in mezzo ai presìdi, tra la gente, per dire. E forse sarebbe anche ora di provare a rivendicare il primato di questa politica così bistrattata, millantata e stropicciata da interessi minuscoli di botteghe coagulate da venti anni di mani sottobanco e sempre anticipata dall’intervento di una magistratura che fotografa le macerie di un sistema politico che è diventato schiavo delle sue maschere.

La crisi del formigonismo non è una crisi giudiziaria, su questo dobbiamo metterci d’accordo per non cadere nella tentazione di accettare un modello politico che nasce antisolidale al di là degli eventuali illeciti dei propri interpreti: oggi in Lombardia (e non solo) la crisi è profondamente politica, è il fallimento del potere che vuole diventare sistema e finisce per alimentare oligarchie, diseguaglianze e disgregazione sociale.

Nella sanità le vicende del San Raffaele, prima ancora della clinica Santa Rita e per ultime quelle che riguardano la Fondazione Maugeri raccontano di una discrezionalità del Governatore (esercitata con “le carte a posto”) che ha finanziato lautamente servizi ai cittadini che oggi rischiano di risultare compromessi per mala gestione privata: una spaventosa ricaduta pubblica causata dalla dissennatezza privata mostra il fianco di un’architettura organizzativa che scarica i costi e le colpe sulla comunità. Nel caso del San Raffaele qualche giorno fa l’Assessore Bresciani ha avuto modo di dirci in Commissione Sanità che “la faccenda occupazionale non riguarda la Regione essendo una struttura sostanzialmente privata” e la difesa patetica svela perfettamente l’inceppamento che ha incagliato il motore della Lombardia: il denaro dei cittadini lombardi viene affidato a strutture private e le responsabilità politiche possono finire tranquillamente in un cassetto. Senza risposte. Senza assunzioni di responsabilità. Senza spiegazioni.

E credo non sia un caso che proprio in Lombardia stiano spuntando torbide figure professionali con evidente “peso politico” che sono proprie di tempi che si speravano passati. Nel processo Andreotti c’è un’interessante deposizione di Tommaso Buscetta che racconta una Sicilia dove politica, imprenditoria e Cosa Nostra si incontrano, ognuno con la propria spericolatezza, nella penombra degli interessi convergenti che soddisfano tutti. Dice Buscetta che i protagonisti di questo sistema che vive più tra le pieghe che nei luoghi ufficiali sono “gli amici degli amici”, quelli che “in ogni momento possono fare capire di essere vicino alla gente che conta”. Quando saltano i meccanismi di trasparenza e democrazia (ovvero quando la politica decide di essere socia d’impresa) i “faccendieri” sono gli anelli di congiunzione dei poteri che hanno bisogno di mettersi d’accordo. Per questo la vicenda Daccò è una storia intollerabile per il malcostume che rappresenta, al di là delle ricevute e delle barche di lusso.

Sotto la gonna della sussidiarietà sventolata da Formigoni e la sua banda c’è la solidarietà svenduta per poche lire ai soliti noti. Succede nella sanità, nella scuola, nei grandi appalti delle inutili infrastrutture, nella gestione del territorio nel consenso ammansito dalle periodiche regalie.

E allora ci vuole coraggio. Ci vuole anche il coraggio di porre le domande giuste. Una volta per tutte.

I soldi dati in questi anni alla sanità e alla scuola privata avrebbero costruito eccellenze pubbliche di cui essere fieri tutti e non qualche cerchia? Una seria legge sul consumo di suolo avrebbe impedito i PGT costruiti su misura per insoliti noti come la vicenda Ponzoni insegna? Un chiaro piano industriale regionale potrebbe evitare i soliti disperati e inefficaci interventi tampone? È possibile uscire dal linguaggio delle cose e tornare alle persone? Smettere di parlare di lavoro senza tenere conto dei lavoratori? Spogliare il PIL regionale su cui tutti si immolano dal doping del riciclaggio? Svincolare la cura dal profitto e tornare ad investire sulla prevenzione? Ricostruire una sanità ormai ospedalocentrica partendo dai presidi di medicina di base nei territori? Pensare ad una mobilità dolce che non abbia bisogno di più cemento ma di trasporto pubblico? Chiedere cultura, pretendere cultura, rivendicare il valore d’impresa e occupazione che sta dietro alla cultura? Occuparsi dell’accesso alla rete in zone con mastodontiche tangenziali e senza banda larga? Dirsi che i diritti civili sono di solito i diritti degli altri?

Ci vuole coraggio. Ci vuole il coraggio di riconoscere che il centrosinistra ha fallito perché troppo spesso ha inseguito i formigonismo di maniera volendo solo sostituire gli interpreti (ne è un esempio chiaro il penatismo che si è saputo pensare solo sistematico e sistemistico allo stesso modo con la sola differenza di essere fallimentare anche dal punto di vista elettorale). Ci vuole il coraggio di non sopportare più chi propone lo stesso modello promettendo una gestione più etica. Ci vuole il coraggio di dichiarare (alzando la voce, se serve) che un’alternativa si costruisce solo percorrendo le diversità, con compagni di viaggio che vogliano arrivare là dov’è il posto che ci prendiamo la briga di raccontare e volere raggiungere. E ci vuole il coraggio di rinunciare all’autopreservazione a mezzo di alchimie algebriche, alleanze matematiche più che di intenti e riciclaggio di facce che hanno già avuto l’occasione e l’hanno persa, ci vuole il coraggio di uscire da un centrosinistra con cinquanta sfumature di grigio che corteggia pornograficamente le segreterie prima dei cittadini.

Noi siamo in viaggio. Questo è il nostro viaggio. Il viaggio nel coraggio di sinistra che ancora è diffusa in tutte le città della Lombardia.

Scritto per MilanoX

#cosaseria un referendum serio

Quindi Idv, Fds e Sel raccoglieranno assieme le firme per il ripristino dell’articolo 18 varato da Monti e Fornero e per l’abolizione dell’articolo 8 dell’ultima manovra d’agosto di Berlusconi, quando il ministro Sacconi ha voluto mutilare la contrattazione nazionale e la democrazia sui luoghi di lavoro. Il partito di Di Pietro aveva già depositato alcuni dei quesiti in Cassazione replicando un’autoreferenzialità già percorsa in occasione dei referendum per la ripubblicizzazione dell’acqua e dei servizi. Stavolta, però, ha accolto l’appello a fare un passo indietro dopo un incontro dirimente stamattina con i metalmeccanici. I quesiti sul lavoro saranno ripresentati nuovamente da un comitato comune perché già era in corso da mesi una discussione tra giuslavoristi (da Gallino a Rodotà ad Alleva) e aree organizzate della sinistra politica e sindacale.

Sarà un caso che insieme si riesca a dire (e fare) cose di sinistra? Sarà un caso che oggi mi siano arrivate molte mail di elettori confortati da questa presa di posizione? Sarà un caso? O, forse, è una cosa seria, come avevamo suggerito un po’ di tempo fa? E un’ultima domanda, senza cattiveria: non manca qualcuno?

Come MilanoX vede la sinistra

MilanoX scrive sulla sinistra nazionale e sulla sinistra del dopo Formigoni (con un passaggio fin troppo buono su di me, grazie). Vale la pena leggere il loro articolo.

Tornando alla politica italiana, la priorità numero uno è seppellire le destre sessiste e razziste. Il Porcellum ci dà l’opportunità di farlo con una coalizione non troppo ampia: vale a dire PD+SEL+IdV. La priorità numero due è impedire il ritorno all’austerity montiana che opprime la società, e quindi stoppare ogni disegno cattomoderato, vale a dire zero spazio di manovra a Casini e all’ala che lo sostiene nel PD, partito che è l’innaturale eternizzazione del compromesso storico di Moro e Berlinguer.