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morti

No, caro Fico: per i migranti morti nel Mediterraneo è colpa vostra, non “di tutti noi”

Scrive il presidente Fico, dopo l’ennesima tragedia nel Mediterraneo: «Dolore , rabbia e tristezza. Salvare vite umane è quello che fa una società sana. Se non ci riusciamo è un terribile fallimento per tutti noi». E invece il terribile fallimento è tutto loro, alleati servili della peggiore propaganda anti immigratoria degli ultimi anni.

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Avezzano, il terremoto dimenticato che fece oltre 30 mila morti


104 anni fa morirono 30519 persone nel terremoto della Marsica. Uno dei più disastrosi eventi della storia d’Italia oggi ritorna di attualità per la forza con cui i sopravvissuti ricostruirono le proprie vite e per la solidarietà e la coesione sociale che unì un’intera nazione. Il bisogno da sempre apre gli occhi sui bisognosi. Per questo dopo 104 anni quella lezione rimane ancora preziosa.
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Quattro morti per maltempo, ma Salvini combatte la “tristezza della pioggia” col salame


Sia chiaro, nulla di nuovo sotto al sole. Che Salvini (o meglio, il suo social manager Luca Morisi) abbia un senso istituzionale che nella sua esposizione mediatica rasenta lo zero è una storia vecchia a cui siamo abituati però nel tweet di oggi c’è tutta la fallacia della sua strategia: non ci si inventa ministri dell’interno, non basta essere uno “come noi”.
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Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono.

Non credetegli. Mai. Il mare non uccide. Le persone uccidono. Anche l’indifferenza uccide, sì, anche quella: i morti per indifferenza li riconosci perché quando muoiono se gli apri gli occhi, con le dita, come si aprono due lembi, dentro ci trovi la pupilla di chi l’aveva capito da tempo che sarebbe finita così. Non sono mica come i morti improvvisi, quelli con lo sguardo interrotto che non ha nemmeno fatto in tempo di stringersi per il buio che gli veniva addosso: se avessero un minuto, un minuto ancora, un minuto di quelli che un minuto prima di andarsene uno torna e dice – ah! Scusa, un’ultima cosa – se avessero avuto quel minuto lì ve l’avrebbero raccontato anche loro che il mare, il mare non uccide. Uccide trascinarsi per il deserto come una mandria zoppa in balìa di pastori a forma di soldati; uccide farsi porto a forza di pregarne uno e provare a farsi legno per non bollire di sole e sale; uccide nascere dalla parte sbagliata del mondo, come una mela che casca dalla parte del dirupo; uccide l’indifferenza. Sì, l’indifferenza uccide, eccome se uccide. Ci sono più morti di indifferenza della somma di tutte le guerre mondiali, anche delle guerre dei tempi passati. Solo che i morti di indifferenza muoiono che non se ne accorge nessuno. Si spengono come lampadine di una strada deserta in cui non passa nessuno.
Il vicolo deserto in cui non passa nessuno, trattato come un sacco dell’umido da chiudere stretto senza nemmeno guardarci dentro, per non rovinarsi l’appetito, è la Libia di cui tutti parlano e nessuno legge, la Libia che è diventata la discarica dei nostri errori e dei nostri orrori. E invece lì dentro ci sono storie che vanno prese a piene mani e portate in giro. Con pazienza, cura. Come quando si cambia una lampadina, appunto.

(dal mio spettacolo “A casa loro”, scritto insieme a Nello Scavo, che è uno spettacolo teatrale ma forse sarebbe il caso che fosse un bigino da tenersi in tasca durante questa brutta campagna elettorale. Buon venerdì:)

Morti di freddo. Italia. 2018

Tre giorni fa a Torino un forse trentenne è morto di freddo. “Stava male da due giorni”, dice un suo compagno di povertà. È morto nella stanza tutta screpolato di un edificio in rovina, in mezzo alla merda dei topi, le coperte lise che sembrano ragnatele e e qualche rifiuto che qui diventa un soprammobile da reinventare con cura.

Il morto si chiama morto, non ha un nome, “pelle scura, trent’anni circa, probabilmente africano” è tutto quello che sappiamo di lui. Quando i morti non hanno un nome il loro colore diventa un tratto identitario, come nelle scatole di pastelli. Il morto è morto di fronte a dormitorio della Croce Rossa, che quella notte aveva dieci letti vuoti. “Ma noi non potevamo andarlo a prendere in un posto del genere. Non è sicuro”, abbozza un volontario. Morire di freddo per terra a cinquanta passi da un letto libero è la fotografia perfetta di un Paese anaffettivo e disgregato.

In questo inizio del 2018 ci sono cadaveri morti di freddo sotto i portici di Palermo, su una panchina di Verona, in un garage di Rovereto. Cinque giorni fa una signora di 61 anni è morta di freddo a Moncalieri.

Morti di freddo, Italia, 2018. E ogni volta che ne leggi qualcuno ti viene da pensare come sia successo che ci siamo disabituati a scendere nei nostri inferi per avere paura di sporcarci le scarpe. E così li abbiamo chiusi gli inferi, illudendoci di esserne rimasti fuori mentre al freddo invece ci siamo noi. Noi che surgeliamo i morti e poi li nascondiamo per non sprecare pietà perché la povertà, quando è sporca di disperazione, non merita nemmeno di diventare una notizia.

Buon venerdì.

 

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/01/26/morti-di-freddo-italia-2018/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

Luca, Alex e il perbenismo. Anche da morti

Leggete l’attacco di questo pezzo de Il Gazzettino:

«È previsto un funerale unico per l’addio di Alex Ferrari e Luca Bortolaso, i due amici vicentini di 21 anni morti martedì scorso per le esalazioni di monossido di carbonio in una villetta di montagna a Ferrara di Monte Baldo (Verona), dove stavano trascorrendo le vacanze natalizie assieme a due amiche, loro coetanee, una residente in provincia di Verona e l’altra di Mantova. Per volere dei familiari dei due ragazzi, tra loro legati da un’amicizia molto profonda, il rito funebre si terrà domani pomeriggio (venerdì), con inizio alle 14.30, ad Arzignano, nella chiesa di San Giovanni Battista, una delle più capienti del comprensorio».

E poi ancora:

«La scelta di celebrare insieme i funerali di Alex e Luca – dichiara don Alessio Graziani, portavoce della diocesi berica – risponde ad una precisa richiesta delle loro famiglie a cui la Chiesa in questo momento di immenso dolore desidera essere vicina con le parole della fede. Di fronte alla morte di due giovani, ogni altro commento ci pare quantomeno inopportuno».

L’amicizia molto profonda di cui si parla in questo articolo è una relazione: amore, fidanzamento, quelle cose che nel Paese dei benpensanti non si riesce nemmeno a scrivere. E così l’amore di Alex e Luca, anche da morti, diventa qualcosa di cui tacere perché «ogni altro commento ci pare quantomeno inopportuno».

Il perbenismo è quella pratica che annichilisce anche le cose belle (e in fondo anche rivoluzionarie, in un Paese bigotto come il nostro) e tinge di grigio anche le storie colorate benché tragiche. Così si livella tutto e si livellano tutti e alla fine anche i mediocri si illudono di fare la loro bella figura.

Intanto buon viaggio, Alex e Luca.

Buon venerdì.

Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/01/05/luca-alex-e-il-perbenismo-anche-da-morti/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui.

Siria chimica: Erode si è fermato Idlib

«È stato Assad!» gridano tutti. Come se il mondo (e ancora di più la Siria) potesse essere il tavolo banale su cui giocano i buoni contro i cattivi, come se poi non ci fossero anche i morti di Mosul, come se lo Yemen invece fosse solo la cloaca dei morti di serie b oppure come se la fabbricazione di armi non sia un ricco banchetto tutto occidentale.

Nell’ordine di qualche ora la colpa dei bambini gasati è stata affibiata a Assad, ai ribelli, a Obama (da Trump), all’ONU, a Putin, più qualche manciata di scenari apocalittici dei complottisti rossobruni più affilati. Tutti alla ricerca di un nemico unico che sia riconoscibile, facile e banalmente tranquillizzante.

Molti con le risposte, pochi con le domande. Francesco Vignarca, ad esempio, scrive: «La parte preponderante di colpa per i terribili attacchi chimici avvenuti in Siria è in chi ha lanciato tali ordigni. Ma non è secondaria nemmeno la colpa di chi ha fabbricato, trasportato, autorizzato tali armi. E vale per qualsiasi armamento, in ogni guerra. Troppo facile pensare che i “cattivi” siano solo quelli dell’ultimo pezzettino del viaggio tra l’ideatore di un’arma e la vittima finale…». Già, chi ha ” fabbricato, trasportato, autorizzato tali armi”? Tornando indietro nel tempo, chi ha appoggiato festante le “primavere arabe”?

 

(continua su Left)