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Fioroni non ci vuole

La notizia di oggi è di quelle da farti cadere dalla sedia. Pare che l’on.le Fioroni, in compagnia di una trentina di parlamentari del PD, abbia chiesto a Bersani di escludere la possibile candidatura di Vendola alle primarie di coalizione perché quest’ultimo sarebbe stato reo di aver presentato il referendum abrogativo delle scellerate modifiche all’art. 18 dello statuto dei lavoratori. In sintesi ecco il Fioroni-pensiero: “non possiamo imbarcarci chi propone di abrogare norme che abbiamo votato” .

Ne parla Francesco Arcari su Non Mi Fermo.

Contenuti e contenitori

 Anche io, personalmente, da elettore di centrosinistra senza ancora le idee chiare, vorrei che i candidati si prendessero la pena di rispondere, non solo alle domande poste dall’associazione Laicità e Diritti (qui: http://www.laicitaediritti.org/). Mi piacerebbe capire in modo chiaro che tipo di mercato del lavoro propongono (perché – per esempio – a me il “modello Ichino” convince molto poco) che tipo di rapporti intenderebbero tessere con il mondo dell’imprenditoria (perché – per esempio – mi provoca l’orticaria sentire più d’un candidato di una coalizione di centrosinistra magnificare il “modello Marchionne”), che tipo di modello di tassazione si intende perseguire (perché la Costituzione – se non sbaglio – già indica la via della progressività, che altro non è se non la declinazione del principio redistributivo della ricchezza). Giusto per iniziare. Giusto per capire. Anche perché fino ad ora queste primarie hanno parlato poco di contenuti e troppo di contenitori.

Francesco per Non Mi Fermo. E la risposta che aspettiamo per credere che le primarie siano iniziate sul serio.

La sindrome primaria per le primarie

L’appariscenza perfetta: Michele: No veramente non… non mi va. Ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri. Senti, ma che tipo di festa è? Non è che alle dieci state tutti a ballare i girotondi ed io sto buttato in un angolo… no. Ah no, se si balla non vengo. No, allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate “Michele vieni di là con noi, dai” ed io “andate, andate, vi raggiungo dopo”. Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo. (Ecce bombo, 1978, di Nanni Moretti)

Sì, primarie ma a parte Berlusconi, che ci dite su Monti?

Scelte chiare, insomma.

Ecco, forse invece di attribuire a Renzi le inesistenti idee di Berlusconi, sarebbe interessante che tutti i candidati alle primarie si esprimessero chiaramente sulle concretissime idee di Monti, anche perché il Pd queste idee le ha tutte approvate in Parlamento.

Questo vorrei sapere, prima di tutto: da Renzi come da Bersani come da tutti gli altri.

Alessandro coglie il punto. Adesso magari che lo colgano anche i dieci candidati del PD.

Rutelli, Tabacci e la piccola bottega degli orrori

L’assistente storica dai tempi del ministero di Francesco Rutelli, Ilaria Podda, da lunedì comincerà a lavorare per il Partito democratico a fianco diMatteo Orfini. Luciano Nobili, giovane organizzatore di tante battaglie, prima per la Margherita, poi con l’Api, giovedì era seduto in prima fila alla convention veronese di Matteo Renzi. Lo staff del leader dell’Api ha già cominciato le grandi manovre di riavvicinamento al Pd (che assicura contratti e stipendi dopo la liquidazione della Margherita) e ora anche lui prova a giocarsi l’ultima carta.

Ieri a Maratea, circondato da ex socialisti ed ex democristiani, Rutelli ha lanciato la candidatura ufficiale alle primarie del centrosinistra di Bruno Tabacci. Una strategia per provare a catalizzare voti al di fuori del suo partito e giocarseli al momento delle decisioni. “Non è l’ultima mossa possibile, è l’unica” spiega l’onorevole Luigi Fabbri, già socialista, già Forza Italia, eletto “ma mai iscritto” nelle file del Pdl, soprannominato da Silvio Berlusconi “il grillo parlante”. “L’ex premier? Mi lasciava parlare, parlare, e poi faceva come voleva – spiega il deputato oggi nell’Api – qui invece c’è molta più democrazia. Grazie al Terzo polo oggi quel governo non c’è più”. (da Il Fatto Quotidiano)

Poi succede che la domenica leggi articoli come questo e ti aspetti di rientrare in casa, accendere il televisore e vederlo in bianco e nero. Ma un bianco e nero nuovissimo, però.

Sinistra, centrosinistra e #cosaseria: intervista per Byoblu

di Valerio Valentini (pubblicato su Byoblu.com)

A distanza di qualche settimana, torno a fare quattro chiacchiere con Giulio Cavalli, regista e autore teatrale, scrittore – il suo ultimo libro s’intitola L’innocenza di Giulio (Andreotti, non Cavalli), nonché consigliere Regionale Lombardia per SEL. Parliamo di quella strana cosa che è oggi la Sinistra italiana, all’indomani dell’inizio del viaggio elettorale di Matteo Renzi, deciso a mandare a casa la gerontocrazia del partito. Questa è la sua lettura degli scenari politici attuali e futuri.

Dopo essere stato eletto nel consiglio regionale lombardo nelle liste dell’IDV, hai deciso di passare tra le file di SEL. Motivasti quella scelta dicendo che avevi voglia di contribuire a costruire il cantiere di una nuova sinistra. Viene da pensare che ti sei lanciato in un’impresa titanica!

Viste le ultime notizie direi che scivoliamo nell’utopia in effetti. Vanno fatte però alcune precisazioni: sono stato eletto nelle liste dell’IDV come indipendente e sono molto grato ad Antonio Di Pietro e ai dirigenti (anche locali) che mi hanno accompagnato senza risparmiarsi in questa entusiasmante avventura. Con Luigi De Magistris e Sonia Alfano abbiamo pensato che la nostra presenza potesse essere un valore aggiunto al partito; poi alcune dinamiche ci hanno fatto prendere strade diverse: per le posizioni politiche, per le diverse vedute di gestione dei meccanismi interni e per gli obiettivi che intendevamo perseguire. Credo che non sia un caso che oggi io, Sonia e Luigi siamo usciti dall’Italia dei Valori. Ma bisogna precisare una cosa: il mio rapporto con IDV e Di Pietro è rimasto integro: credo che il mio è uno dei rarissimi casi in cui da entrambe le parti abbiamo convenuto che lasciarsi fosse la decisione migliore da prendere. Ricordo il comunicato stampa di IDV: “continueremo a lavorare sui nostri punti comuni”. SEL è una forza giovane che nasce per ricostruire una sinistra credibile e per prendersi la responsabilità di governare questo Paese. Era inevitabile che alla fine fossi qui.

E questi continui giri di valzer in vista delle elezioni, come li valuti? Non credi che un po’ tutti, Nichi Vendola in primis, farebbero bene ad essere più espliciti nel proporre le alleanze e indicare le coalizioni anziché lasciarsi sempre qualche spiraglio aperto per eventuali ripensamenti? Non si rischia di disorientare, e in definitiva di deludere, un elettorato troppo vasto ed eterogeneo?

Quelli che tu chiami giri d valzer sono sicuramente un problema. Ma credo che si tratti di un problema poliforme: politico e di comunicazione. In un momento così fluido (tra primarie del centrosinistra che sembrano congressi anticipati, cuciture di rapporti politici tenute sottotraccia e questa anomala alleanza che sostiene Monti) si tende a essere molto morbidi nella comunicazione sfumando le posizioni. Ed è incredibile come le segreterie dei partiti non si rendano conto che in questo momento i cittadini voglio ascoltare e riconoscere posizioni nette e riconoscibili. Certo esiste un’ala – in cui mi inserisco con molta convinzione – che crede che la ripresa e lo sviluppo dell’Italia passi da un’agenda completamente diversa da quella montiana e europea di questo momento, e anzi riconosce di dovere ripristinare alcuni diritti acquisiti che negli ultimi mesi sono stati rimessi in discussione; mentre c’è una componente (soprattutto nel PD) che ritiene di dovere continuare ciò che sta andando in scena in questi mesi a Roma. Per questo noi abbiamo voluto definire gli argini programmatici nel nostro appello “Facciamo la Cosa Seria” in cui chiedevamo a SEL e una parte consistente del PD di essere netti nei rapporti con l’UDC, di coinvolgere l’IDV nella coalizione e di aprirsi a sinistra e a tutti i movimenti che vedono uno sviluppo possibile uscendo dai dettami di Monti e Merkel. E, viste le ultime dichiarazioni di Vendola, direi che qualche risultato l’abbiamo ottenuto. Certo il percorso è lungo.

In effetti, nella politica e nella comunicazione, le scelte nette e chiare, spesso anche estreme, purché dotate di una certa coerenza, sembrano pagare. A tuo avviso il PD, che continua a barcamenarsi tra tendenze a volte inconciliabili, non l’ha ancora capito?

Il PD tiene insieme anime opposte su alcuni punti programmatici. Funziona finché la sintesi è una mediazione, quando diventa prevaricazione di una delle due parti o accordo in cambio dell’autopreservazione dimostra la sua faccia peggiore.

E in uno scenario simile, che primarie dobbiamo aspettarci, secondo te? Non si rischia un collasso definitivo a causa del conflitto non più latente tra queste “anime opposte”?

Le primarie funzionano quando sono conciliabili con un programma di fondo. Mi sembra che manchi la discussione proprio su questi punti. Così rischiano di diventare un corso di bellezza o una vendetta interna che interessa proco alla gente. La partecipazione si costruisce sui bisogni, sugli scenari e sul disegno di futuro che si vuole proporre. Oggi direi che le primarie stanno mostrando la faccia peggiore: quella dell’utilitarismo delle fazioni per riposizionarsi. Ogni tanto ho il sospetto che le antenne dei dirigenti del centrosinistra si siano sclerotizzate e abbiano perso il contatto con la realtà; e mi auguro che l’autunno caldissimo che ci aspetta sui temi dell’economia e del lavoro non comporti bruschi risvegli.

Si tratta più di una paura o più di una speranza? C’è un’alternativa concreta che possa evitare che questi risvegli avvengano in maniera pericolosamente traumatica?

Paura e speranza. Nel momento in cui i bisogni dei cittadini non trovano rappresentanza il rischio del cortocircuito è evidente. E l’incapacità di lettura di questa classe politica è conclamata. Secondo te al cittadino che tra qualche settimana non avrà più nemmeno la cassa integrazione può interessare l’alchimia algebrica di sigle per le prossime politiche? Credo di no.

Una classe politica, insomma, ottusamente rintanata nel Palazzo, per dirla con Pasolini. E sul Movemento 5 Stelle, qual è la tua idea?

Non condivido questo accanimento nei loro confronti. Questo elitarismo per cui si decide quale movimento sia democratico e quale no mi sembra un’insulsa pratica che non giova alla dialettica politica. E mi stupisce che nel Parlamento che ospita un partito incostituzionale come la Lega (perché la secessione è incostituzionale, per dire) si arrivi a strepitare contro il Movimento 5 Stelle. Io non ne condivido alcune posizioni e credo nell’importanza dei partiti ma in Consiglio Regionale in Lombardia mi sono ritrovato spesso a portare avanti alcune loro istanze (visto che non hanno rappresentanti). I politici si sono lamentati per anni della mancata partecipazione e oggi la condannano perché non è come la vorrebbero loro. Forse sarebbe il caso di aprire un’analisi seria sul perché così tante persone hanno deciso di affidarsi al Movimento 5 Stelle, capire cosa ha sgretolato la credibilità dei partiti, osservare quali risposte gli elettori credono di potere trovare nel movimento di Beppe Grillo e non da noi. Si dovrebbe fare così la politica, no?

Secondo te queste domande i leader degli attuali partiti non se le sono fatte per miopia, oppure semplicemente non vogliono cercare una risposta per paura di dover ammettere l’esistenza di una realtà dei fatti che non li vede più ai posti di comando?

La seconda che hai detto, direbbe una trasmissione di qualche anno fa.

Serve il coraggio, in Lombardia

Ci vuole coraggio. Scegliere di provare a scostarsi dal luogo di osservazione dove per comodità si sono ammassati tutti come comari e provare a guardare la Regione Lombardia con occhi nuovi: dalle strade, dalle piazze e in mezzo ai presìdi, tra la gente, per dire. E forse sarebbe anche ora di provare a rivendicare il primato di questa politica così bistrattata, millantata e stropicciata da interessi minuscoli di botteghe coagulate da venti anni di mani sottobanco e sempre anticipata dall’intervento di una magistratura che fotografa le macerie di un sistema politico che è diventato schiavo delle sue maschere.

La crisi del formigonismo non è una crisi giudiziaria, su questo dobbiamo metterci d’accordo per non cadere nella tentazione di accettare un modello politico che nasce antisolidale al di là degli eventuali illeciti dei propri interpreti: oggi in Lombardia (e non solo) la crisi è profondamente politica, è il fallimento del potere che vuole diventare sistema e finisce per alimentare oligarchie, diseguaglianze e disgregazione sociale.

Nella sanità le vicende del San Raffaele, prima ancora della clinica Santa Rita e per ultime quelle che riguardano la Fondazione Maugeri raccontano di una discrezionalità del Governatore (esercitata con “le carte a posto”) che ha finanziato lautamente servizi ai cittadini che oggi rischiano di risultare compromessi per mala gestione privata: una spaventosa ricaduta pubblica causata dalla dissennatezza privata mostra il fianco di un’architettura organizzativa che scarica i costi e le colpe sulla comunità. Nel caso del San Raffaele qualche giorno fa l’Assessore Bresciani ha avuto modo di dirci in Commissione Sanità che “la faccenda occupazionale non riguarda la Regione essendo una struttura sostanzialmente privata” e la difesa patetica svela perfettamente l’inceppamento che ha incagliato il motore della Lombardia: il denaro dei cittadini lombardi viene affidato a strutture private e le responsabilità politiche possono finire tranquillamente in un cassetto. Senza risposte. Senza assunzioni di responsabilità. Senza spiegazioni.

E credo non sia un caso che proprio in Lombardia stiano spuntando torbide figure professionali con evidente “peso politico” che sono proprie di tempi che si speravano passati. Nel processo Andreotti c’è un’interessante deposizione di Tommaso Buscetta che racconta una Sicilia dove politica, imprenditoria e Cosa Nostra si incontrano, ognuno con la propria spericolatezza, nella penombra degli interessi convergenti che soddisfano tutti. Dice Buscetta che i protagonisti di questo sistema che vive più tra le pieghe che nei luoghi ufficiali sono “gli amici degli amici”, quelli che “in ogni momento possono fare capire di essere vicino alla gente che conta”. Quando saltano i meccanismi di trasparenza e democrazia (ovvero quando la politica decide di essere socia d’impresa) i “faccendieri” sono gli anelli di congiunzione dei poteri che hanno bisogno di mettersi d’accordo. Per questo la vicenda Daccò è una storia intollerabile per il malcostume che rappresenta, al di là delle ricevute e delle barche di lusso.

Sotto la gonna della sussidiarietà sventolata da Formigoni e la sua banda c’è la solidarietà svenduta per poche lire ai soliti noti. Succede nella sanità, nella scuola, nei grandi appalti delle inutili infrastrutture, nella gestione del territorio nel consenso ammansito dalle periodiche regalie.

E allora ci vuole coraggio. Ci vuole anche il coraggio di porre le domande giuste. Una volta per tutte.

I soldi dati in questi anni alla sanità e alla scuola privata avrebbero costruito eccellenze pubbliche di cui essere fieri tutti e non qualche cerchia? Una seria legge sul consumo di suolo avrebbe impedito i PGT costruiti su misura per insoliti noti come la vicenda Ponzoni insegna? Un chiaro piano industriale regionale potrebbe evitare i soliti disperati e inefficaci interventi tampone? È possibile uscire dal linguaggio delle cose e tornare alle persone? Smettere di parlare di lavoro senza tenere conto dei lavoratori? Spogliare il PIL regionale su cui tutti si immolano dal doping del riciclaggio? Svincolare la cura dal profitto e tornare ad investire sulla prevenzione? Ricostruire una sanità ormai ospedalocentrica partendo dai presidi di medicina di base nei territori? Pensare ad una mobilità dolce che non abbia bisogno di più cemento ma di trasporto pubblico? Chiedere cultura, pretendere cultura, rivendicare il valore d’impresa e occupazione che sta dietro alla cultura? Occuparsi dell’accesso alla rete in zone con mastodontiche tangenziali e senza banda larga? Dirsi che i diritti civili sono di solito i diritti degli altri?

Ci vuole coraggio. Ci vuole il coraggio di riconoscere che il centrosinistra ha fallito perché troppo spesso ha inseguito i formigonismo di maniera volendo solo sostituire gli interpreti (ne è un esempio chiaro il penatismo che si è saputo pensare solo sistematico e sistemistico allo stesso modo con la sola differenza di essere fallimentare anche dal punto di vista elettorale). Ci vuole il coraggio di non sopportare più chi propone lo stesso modello promettendo una gestione più etica. Ci vuole il coraggio di dichiarare (alzando la voce, se serve) che un’alternativa si costruisce solo percorrendo le diversità, con compagni di viaggio che vogliano arrivare là dov’è il posto che ci prendiamo la briga di raccontare e volere raggiungere. E ci vuole il coraggio di rinunciare all’autopreservazione a mezzo di alchimie algebriche, alleanze matematiche più che di intenti e riciclaggio di facce che hanno già avuto l’occasione e l’hanno persa, ci vuole il coraggio di uscire da un centrosinistra con cinquanta sfumature di grigio che corteggia pornograficamente le segreterie prima dei cittadini.

Noi siamo in viaggio. Questo è il nostro viaggio. Il viaggio nel coraggio di sinistra che ancora è diffusa in tutte le città della Lombardia.

Scritto per MilanoX

Il doping UDC

Un partito di questo genere ha trovato in questi anni il leader perfetto – capace di dare una patina di garbo e dignità umana alla sua vuotezza e di dissimulare le sue magagne – in Pierferdinando Casini. Che è stato capace – gli va riconosciuto – di posizioni serie e severe a tutela delle regole e delle istituzioni quanto il berlusconismo ha preso derive oltre ogni limite, nel suo ultimo anno di governo: ed è stato giusto apprezzarle, sempre ricordando che sono arrivate piuttosto tardive rispetto a tempi in cui il suo partito gli ha dato una gran mano, al berlusconismo. Ma poi nient’altro, un uomo distinto e di buone maniere, probabilmente onesto, non stupido, ma che non ha mai suggerito nessuna idea dell’Italia e del futuro che non fossero vuota fuffa retorica. Capace ogni tanto di dire a cosa è contrario, mai a cosa sia favorevole. E peggio ancora il suo partito: vi viene in mente un solo personaggio di competenza vicino all’UdC? Vi viene in mente un intellettuale dell’UdC? Vi viene in mente una corrente dell’UdC? L’unica corrente che è stato capace di produrre, con tanto di scissione e passaggio al nemico, è stata l’estremismo ubriaco di Giovanardi.

C’è quindi solo da congratularsi dei voti che riesce tuttora a raccogliere una macchina di questo genere: non produce niente, ma lo fa con grande efficienza. Ma se mi consentite l’esempio, decidere di allearvicisi è come comprare traffico su Google per un sito web di contenuti: puro doping, e con qualche contraddizione etica. Non c’entra niente con presunte consonanze e progetti comuni, e un giorno se ne pagherà probabilmente il prezzo (alla prima occasione in cui verrà chiesto l’arresto di un sottosegretario dell’UdC, o alla prima occasione in cui si potrà fare qualcosa per il testamento biologico). Se il PD ci si vuole imbarcare, abbia il coraggio di dire che si sta comprando dei numeri, punto.

Lo scrive Luca Sofri.

Ma adesso basta

E poi, non avere nessun senso del limite e del ridicolo, nel definire la classe dirigente di cui si fa parte, autorevole. L’autorevolezza vuol dire sì influenza, potere, importanza, ma soprattutto credibilità, autorità morale, prestigio. E sinceramente, la classe politica di cui D’Alema è uno dei principali esponenti non ne ha alcuna. Per i motivi che tutti sappiamo, e che hanno portato il Paese al deafult non solo economico, ma soprattutto politico e sociale.

E quindi caro D’Alema, ti abbiamo voluto bene, molto molto tempo fa, ma adesso basta. Forse non lo sai, ma le persone comuni ti trovano insopportabile. Di te e di quelli come te non ne vogliono proprio più sapere. Impara dai grandi della socialdemocrazia europea e diventa conferenziere, e magari riscopriremo quel tratto di intelligenza che ci aveva affascinato.

Ho letto questo passaggio della lettera che Francesco Nicodemo ha scritto per D’Alema (la potete leggere completa qui) e mi sono alzato in piedi ad applaudire. Da solo davanti allo schermo.

#cosaseria e l’assemblea

Ho voluto aspettare qualche giorno dopo l’assemblea nazionale di SEL perché mi interessava leggere cosa sarebbe uscito sui giornali: già in altre occasioni ero rimasto stupito dalla differenza tra la sostanza ce ci ritrovavamo a discutere e la forma della notizia nei giorni successivi. E ho voluto aspettare che fossero pubblici i documenti perché finalmente si potesse discutere sulle parole scritte e votate e non sulle interviste: la politica fatta come un vespaio che rumoreggia di fondo alle interviste del leader mi sa sempre di fanatismo e il fanatismo, si sa, ama poco le votazioni.

Abbiamo chiesto che SEL (e non solo, ma noi siamo qui) si prendesse la responsabilità di Fare la Cosa Seria e diventare motore per un’alleanza che guardasse convintamente a sinistra e soprattutto ad un’agenda di riforme ben lontana da quella di Monti (sul lavoro, sulla politica economica, sui rapporti con l’Europa e tutto il resto). Abbiamo chiesto che IDV fosse coinvolto nella coalizione insieme alle forze di sinistra e ai tanti movimenti. Insomma che si andasse in mare aperto. Ma sul serio.

Nel documento finale (che potete leggere per intero qui) si legge:

Provare a costruire un’alleanza che competa realmente per il governo del paese ci pare lo strumento in questo momento più efficace per dare rappresentanza e forza a tante persone e soggetti sociali che non hanno voce né potere. Dobbiamo investire nella democrazia e nella partecipazione: tanto più riusciremo a realizzare una vera e propria “invasione democratica” dei soggetti del cambiamento , a partire dalle donne e dai giovani, italiani e migranti, tanto più potremo cambiare il paese. Per questo ci rivolgiamo all’Idv, poiché la sentiamo come parte importante di tante esperienze che già esistono nel nostro paese e, quindi, una risorsa fondamentale anche per il governo nazionale affinché condivida il percorso di costruzione del centrosinistra, e con lo stesso spirito alle forze della sinistra e dei movimenti politici e sociali.

Le nostre scelte politiche devono precedere l’esito della trattativa in corso sulla legge elettorale. In primo luogo ribadiamo la nostra preferenza per il sistema elettorale “mattarellum” che, solo un anno fa, raccolse oltre un milione di firme. Quanto alle voci sulla prossima legge, per noi è fondamentale

che i cittadini possano scegliere gli eletti e decidere la coalizione prima delle elezioni. Ne consegue la nostra ferma contrarietà alle ipotesi paventate che prevedono l’assegnazione del premio di maggioranza al primo partito. La valutazione compiuta della legge elettorale, anche per la peculiarietà di questa materia, si potrà fare solo, e se, una riforma verrà approvata dal Parlamento. 

Allora forse chi ci accusava di velleità potrà ricredersi almeno un poco: la discussione è stata riaperta, la posizione è stata scritta e sono arrivate (finalmente) anche le parole chiare sull’UDC:

Nel corso del mese di agosto si è alimentata una discussione che ha messo insieme legittime preoccupazioni, reazioni emotive e palesi strumentalità. Non faremo nessun accordo elettorale e di governo con l’Udc. Se non fossero bastati i chiarimenti forniti tanto da Vendola che da Bersani, riteniamo utile ribadire che l’Udc è un partito che non appartiene al campo del centrosinistra e che per motivi politici, e quindi non astrattamente pregiudiziali, non farà parte del progetto di governo che intendiamo portare alla guida del paese. L’Udc si è distinta in questi mesi per i suoi fallimenti, dal “terzo polo” alla “cosa bianca”, e per i suoi richiami a proseguire l’esperienza di Monti, magari anche riproponendo una grande coalizione.

E’ un passo in avanti, certo. Ma la discussione è solo all’inizio. Perché il documento di Fulvia Bandoli, Alfonso Gianni, Giorgio Parisi e Bia Sarasini apre una discussione che non si può ritenere chiusa: la capacità e la voglia di dichiarare la propria contrarietà e indisponibilità all’apertura della coalizione di centrosinistra alle forze moderate, che hanno condiviso interamente l’operato del governo Monti e ne predicano la continuità, sia prima che dopo l’esito elettorale, rifiutando con nettezza e in modo esplicito qualunque ipotesi, come quella emersa nelle dichiarazioni e nella carta di intenti del Pd, di un patto di legislatura con forze politiche, quali l’Udc, che porterebbe inevitabilmente a uno snaturamento del programma politico, sociale e economico di governo.

Insomma, il punto vero (non nascondiamocelo) è la legge elettorale e quanto si riesca a spostare l’asse e preoccuparsi di essere chiari, semplici, e attuali perché in grado di attuare i programmi.

E che diventi una questione di equilibri e non di equilibrismi.