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Il bipolarismo perfetto (e obliquo)

 

la-rivoluzione-non-e-una-cosa-seria-L-hP5lHeHa ragione Alessandro nel suo post di oggi: il bipolarismo perfetto, quello che abbiamo cercato di costruire in questi ultimi mesi, quella Cosa Seria che  seriamente avrebbe dovuto chiarire che la lealtà nel preservare le differenze è un valore politico, insomma il nostro progetto politico (e mai come oggi quel “nostro” è così diffuso nel senso più disordinato e irresponsabile del termine). Solo che il bipolarismo perfetto (lo scrive Gilioli) lo stiamo lasciando agli altri. E se è vero che:

Il Pd si avvia dunque verso la sua scelta più immonda e catastrofica, allegramente condivisa da capi e capetti di ogni età un tempo avversari tra loro (Renzi e Bindi, Veltroni e D’Alema, per non parlare dell’imbarazzante capogruppo alla Camera Roberto Speranza).

Delle tre possibilità che avevano (proporre un ‘governo Zagrebelsky’ o simile per sfondare verso il M5S, andare dignitosamente al voto dopo aver rifiutato B. e tolto ogni alibi a Grillo, gettarsi nella mangiatoia insieme agli impresentabili) i vertici democratici stanno suicidandosi scegliendo l’ultima, nella piena consapevolezza (tra l’altro) di tradire il pensiero del 90 o più per cento dei loro elettori.

rimane anche in campo la posizione di SEL. Abbiamo promesso che non avremmo mai accettato un’alleanza con Monti (anche se qualcuno in cuor suo nemmeno troppo sotto sarebbe stato disponibile) e certo non possiamo accettare il governicchio che vorrebbe essere governissimo. Ma il rischio di assumere una posizione residuale è evidente e possibile e, intanto, da “motore di un cambiamento” si finirebbe per collocarsi semplicemente  “per esclusione”. Ancora, come in tutti gli ultimi decenni qui a sinistra.

Allora forse sarebbe il caso (anzi: è il caso) di chiedere subito a quelli del PD che non sono d’accordo con questa ennesima fase berluschina di avere coraggio, di alzare non solo la voce ma proprio il culo dalla sedia e prendersi la responsabilità di fare “altro”. Un “altro” serio, includente e semplice senza bisogno di essere banale. Includente, SEL incluso.

Esterni al concorso esterno, per favore

Ora si fa insistente la voce di un accordo PD, PDL: ne parlano i giornali ma se ne parla anche qui tra i corridoi a Roma. La notizia è la solita commistione delle sopraffine menti degli antichi strateghi politici che in Parlamento “fanno da conto” sui numeri e non sulle idee (figurarsi sugli ideali).

Se accade il grande inciucio (resta solo da trovare un nome elegante) saranno chiare le responsabilità di chi ci ha provato e chi no e, soprattutto, di chi ha ostacolato ad ogni costo. E non sarà solo Bersani a dovere lasciare il campo, no. Qualcuno anche dalle nostre parti dovrà spiegare la strategia di SEL e perché ancora una volta l’abbraccio è stato narcotizzante e deleterio e i patti non rispettati.

Il mancato cambiamento in Parlamento cambierà molte cose, qui fuori.

Sconcertanti (bipartisan) in Regione Lombardia

Il comunicato di Damiano Di Simine, presidente di Legambiente Lombardia. A voi i commenti:

“Sconcertante”. E’ questa l’unica parola che riesce a usare Legambiente per definire le recenti dichiarazioni di alcuni esponenti politici – prima del nuovo presidente del Consiglio regionale, Cattaneo, poi del PD che annuncia addirittura il deposito di un proprio disegno di legge – che hanno chiesto di approvare un’ulteriore proroga, dopo l’ultima scaduta il 31 dicembre del 2012, per i comuni che non hanno ancora approvato il loro strumento urbanistico: il famoso PGT. “Siamo a 8 anni dall’approvazione della legge di disciplina urbanistica – dichiara Damiano Di Simine, presidente Legambiente Lombardia – e ancora centinaia di comuni lombardi, tra questi anche grandi città, non si sono ancora dotati del loro piano di governo del territorio. Bloccare l’attuazione di previsioni urbanistiche di strumenti ormai più che decotti ci pare il minimo che si potesse fare, anche per limitare i margini speculativi di spregiudicate operazioni di consumo di suolo. E’ semplicemente sconcertante questo coro di piagnoni, di destra e di sinistra, che chiedono di continuare a legittimare quella che da anni è un’ignavia urbanistica spesso colposa”. (ufficio stampa Legambiente Lombardia, 4 aprile)

Lo chiamavano “Continuità” /2

Dopo la prima puntata del Maroni che voleva fare la rivoluzione in Lombardia lasciando la sanità in mano ai soliti noti, oggi Gianni Barbacetto racconta quello che da queste parti si diceva da un po’ e rincara la dose:

La scopa del capo dei Barbari Sognanti ha fatto pulizia dentro la Lega, dicevano i druidi del nuovo Carroccio durante la campagna elettorale. E rinnoverà anche Formigopoli, facendo piazza pulita degli sprechi e delle ruberie e avviando la nuova era della Macroregione del Nord, dal Piemonte al Friuli. A parte il fatto che il Friuli ancora leghista non è, anche a Milano si stentano a vedere i segni della Nuova Era. Lo slogan con cui ha vinto le elezioni (“Teniamo qui il 75 per cento della tasse pagate in Lombardia”), è stato dimenticato: promessa impossibile da marinaio celtico-padano. Quanto al rinnovamento, Maroni sta procedendo così: rivoluzione a parole, cauta continuità nei fatti.

E, come scrive Gianni, anche sui declamati tagli della politica, la nuova Lombardia è assolutamente identica alla vecchia:

Quanto a Maroni, ha promesso di mostrarsi virtuoso con la pelle degli altri: promette tagli al budget del Consiglio regionale (via i rimborsi facili che hanno fatto mettere sotto inchiesta per peculato la quasi totalità dei consiglieri della scorsa tornata), ma si tiene ben stretti i soldi del budget di giunta. Confermato un ufficio del Presidente composto da una quindicina d’addetti, con una cerchia d’oro di dirigenti e una struttura di comunicazione formata da decine di persone che potrebbe produrre un quotidiano nazionale. Formigoni non c’è più, la sua struttura imperiale resta.

Sarà una lunga notte, la Lombardia.

Cosa votano gli operai

berlinguer-operaidi Nicola Melloni
da Liberazione

L’analisi dei flussi elettorali è impietosa per il centro-sinistra. Secondo tutti gli istituti di ricerca, dalla Polis di Diamati all’Ipsos, la coalizione di Bersani-Vendola è solo terza nel voto tra gli operai, superata sia dal Movimento 5 Stelle (primo), che dal Pdl (secondo). Un risultato, in realtà, che non sorprende più di tanto.
Già negli scorsi anni si era parlato e discusso a lungo del voto operaio pro-Lega. Ora la situazione è completamente degenerata, con solo un quinto delle tute blu che hanno scelto il Pd e la sua propaggine di sinistra, Sel – che pure candidava operai e sindacalisti. Non è una situazione nuova nella storia e non è un problema solamente italiano – basti pensare ai voti operai che prende Le Pen in Francia, fortissimo in quelle che una volta erano roccaforti del Pcf – ma configura un problema molto serio, sia per la sinistra nel suo complesso, sia per la democrazia in generale. 
Una sinistra senza classe operaia è, per sua natura, una non sinistra. Non occorre essere marxisti per riconoscere che gli interessi del lavoro, degli sfruttati sono da sempre il pane quotidiano di tutti i partiti che si riconoscono nelle diverse famiglie del laburismo, dalla socialdemocrazia alla sinistra comunista. Per dirla con Bersani, la difesa del lavoro dovrebbe essere la ragione sociale della ditta – che altrimenti ha davvero poca ragione d’essere. A maggior ragione in un periodo di crisi, con la disoccupazione in preoccupante aumento e la povertà, che pareva una volta sconfitta e che fa sentire i suoi morsi anche tra la classe media. 

(continua qui)

Cosa ci siamo persi durante le elezioni: la condanna di Pepè Flachi

carabinieri_perquisizione_giorno--400x300La vicenda la ricuce con cura il bravo Massimiliano Perna:

Pepè Flachi, il boss della Comasina (un quartiere di Milano), uno dei capi ‘ndrangheta storici della Lombardia, è stato condannato dal tribunale di Milano a venti anni e quattro mesi di reclusione per estorsione, smaltimento illecito di rifiuti e associazione a delinquere di stampo mafioso. Alla moglie del boss, i magistrati hanno anche sequestrato una polizza vita che prevedeva un premio di 25 mila euro l’anno.

Una condanna pesante per uno dei capiclan più influenti, arrestato due anni fa insieme ad altre 34 persone nell’ambito di un’operazione diretta a sgominare il potere delle ‘ndrine in Lombardia. Un potere ramificato che aveva portato il clan Flachi a controllare diversi settori dell’economia lombarda, a partire dalla movimentazione terra e dalla gestione della security dei locali e dei negozi in metropolitana, fino al ramo delle estorsioni ai danni delle paninoteche ambulanti. Un impero che è finito nel mirino dei giudici milanesi, che, nella sentenza di condanna (che ha riguardato il boss e altre 15 persone), hanno perfino previsto per Flachi e per altri affiliati la misura dell’assegnazione ad una colonia agricola per 3 anni dopo la fine della pena.

Una sentenza esemplare, in un momento in cui in Lombardia si afferma nuovamente il centrodestra, seppur con una guida diversa da quella che ha colonizzato il Pirellone negli ultimi 17 anni. La Lega Nord e il Pdl, dunque, nonostante i ripetuti scandali e la fine della legislatura per via del caso Zambetti e del voto di scambio con le ‘ndrine, sono di nuovo al potere, insieme, compatti. La politica: l’elemento cruciale con cui si dovrebbe dar seguito all’azione di pulizia che la magistratura, da qualche anno anche in Lombardia e nel resto del Nord, cerca di portare a compimento con sacrificio e dedizione.

Una politica che anche Pepè Flachi e i suoi guardavano con grande interesse, se è vero che in occasione delle scorse elezioni regionali avevano deciso di sostenere la candidata del Pdl, Antonella Maiolo (non indagata per mafia, ma per peculato nell’inchiesta sui rimborsi in Regione), poi eletta. Chiaramente sono indagini, voci, ipotesi, ma ci sono anche i fatti che ci raccontano che in questa regione il controllo della ‘ndrangheta sull’economia, sulla politica e sui meccanismi del consenso è elevato, radicato, forte. Persino l’omertà, caratteristica che per anni è stata vergognosamente etichettata come patrimonio “etnico” dei meridionali, è radicata e funzionale al mantenimento del controllo.

Lo dimostrano le reticenze, le complicità nascoste, ma anche le dichiarazioni a verbale ritrattate per paura da ben 23 testimoni nel corso delle indagini che hanno portato alla nuova condanna di Flachi (adesso ai domiciliari per via del suo stato di salute). La memoria, il senso delle istituzioni, la legalità sono utopia anche in questa regione che tanto lontana  si sente da certe nefandezze. Lo snobismo culturale dei milanesi e dei lùmbard duri e puri si frantuma nei risultati di un voto che in Lombardia ha conservato la stessa fisionomia del potere. Dopo tutti gli scandali e la sfacciata gestione Formigoni, il popolo lombardo ha deciso di non cambiare, di mantenere, di riproporre. Probabilmente perché il voto di scambio è forte anche qui, è entrato nelle vene di una democrazia drogata dalle convenienze, dagli affari che fruttano, dalle mastodontiche brame di chi è pronto a tuffarsi nel pentolone d’oro e fango dell’Expò.

 

Le chiacchere stanno a zero

bersani-grillo-120521210519_bigOggi Patrick Fogli riflette e rilancia:

Le chiacchiere, come dicevo qualche giorno fa, stanno a zero anche e soprattutto per lui.
Se quello che conta sono le proposte (lo dice ogni due per tre) allora ci sono già negli otto punti, ne il PD nè il M5S hanno bisogno di Berlusconi. I voti ci sono.
Di più, sia il PD che il M5S hanno l’occasione di chiudere politicamente la stagione di SB in Italia. Basta una legge sul conflitto di interessi, per esempio. O sull’incandidabilità dei condannati in primo grado. Non una legge contra personam, ma una legge ad iustitiam.

E ancora di più: un Parlamento come questo ha la possibilità di votare secondo ragione quando – e capiterà – qualche Procura chiederà di agire nei confronti di Berlusconi & C. Archiviare definitivamente una stagione. Di fatto, anche se in maniera confusa, il voto lo chiede, lo urla.
Si può ascoltare la richiesta (qualcuno = tutti) o tapparsi le orecchie (qualcuno / tutti)

E’ troppo facile votare le proposte che ti piacciono e contemporaneamente poter urlare all’inciucio PD/PDL fino alla prossima campagna elettorale.
Tra l’altro, se ai montiani l’idea Bersani piacesse, a Grillo basterebbe uscire dall’aula al Senato. Cambiare le cose vuol dire anche prendersi la responsabilità di farlo.
Altrimenti (per usare il suo stesso linguaggio) è solo una paraculata e vale la pena dare credito all’idea di Emiliano. Il governo lo fa Grillo e gli altri decidono se votarlo.

A proposito della “giustizia ad orologeria”

loadImageScrive bene l’amica Lidia Ravera su Il Fatto Quotidiano:

Cari lettori, mi rivolgo a voi perché mi sosteniate in una disperata battaglia culturale: riformiamo il “Polit-taliano”, la lingua stanca delle cronache partitiche! Se leggo ancora una volta la frase “Giustizia a orologeria”, giuro che mi acceco con le mie stesse mani, mi pianto due baionette nei bulbi oculari.

Formigoni, per tutta la durata del suo mandato si è ingozzato a scrocco nei ristoranti di lusso, ha distribuito mazzette e si è svagato a spese dei suoi faccendieri parassiti. Della vicenda si parla ininterrottamente da mesi e mesi. Perché, signor Maroni, la “giustizia” sarebbe, in questo caso pure, a “orologeria”? Mi spieghi la metafora, eccellenza. Si tratta forse di unabomba? Allora è una bomba a molla, semmai, di quelle che, caricate dai bambini, fanno “Boom boom” tutti i giorni.

Ho trovato Roberto Maroni parecchio involuto in questa assonanza con Berlusconi negli attacchi alla magistratura. L’impressione è che il “nuovissimo” di cui la Lega andava fregiandosi all’inizio di questa campagna elettorale quando con una certa sfrontatezza si dichiarava lontana e disinteressata da Formigoni e PDL sia sul piano lombardo che sul piano nazionale (nonostante una convergenza di programmi che sfiora il ridicolo per il copia e incolla) si stia trasformando in questi ultimi giorni in una vecchia “vicinanza” esibita per raschiare il barile.

Le tortuose vie della Lega sono finite: è ritornata ad essere la servetta del capo appollaiata sui vecchi vizi peggiori.

Perché nessuno legge i programmi e non vede le sorprese

l43-berlusconi-maroni-121231132519_bigVotare PDL o LEGA NORD alle elezioni nazionali non ha differenze. Il programma è identico, cambia solo l’impaginazione. Vedere per credere: qui e qui.

Quando si dice il sentire comune nascosto sotto mentite spoglie. #primailnord poi nei prossimi anni un programma elaborato in autonomia, per Bobo Maroni.

Il tema da non farsi scippare

Un consiglio (umile ma spero utile) agli amici di centrosinistra che in questi giorni stanno “attaccando bottone” in Lombardia per raccontare quanto sarebbe importante cogliere l’occasione di segnare la discontinuità con Umberto Ambrosoli alla guida della regione Lombardia:

  • ricordarsi di ricordare che il Formigoni che è sopravvissuto a tutti gli scandali che uno scrittore di thriller avrebbe potuto immaginare alla fine è caduto sotto i colpi dei presunti contatti con la ‘ndrangheta del suo assessore alla casa Domenico Zambetti. Il tema mafioso è entrato (per la forza della sua gravità) dentro tutte le case dove prima si discuteva di Renzo Bossi e Minetti: potremmo dire che, purtroppo, il tema è diventato popolare.
  • ricordarsi di ricordare che ogni volta è una sfida anche contro una retorica dell’eccellenza: con il Celeste era l’eccellenza sanitaria (nonostante Don Verzè, San Raffaele, Daccò, Santa Rita etc.) ora con Maroni è la retorica dell’antimafia dei fatti (nonostante Dell’Utri, Cosentino, i contatti mafiosi del tesoriere leghista Belsito etc.).
  • ricordarsi di ricordare che il governo Formigoni è stato appoggiato, sostenuto e condiviso dalla Lega Nord. Ricordarsi di ricordare che la Lega ha detto che ormai il PDL era insostenibile per il nuovo corso maroniano. Ricordarsi di ricordare che oggi PDL e Lega sono ancora insieme.
  • ricordarsi di ricordare che l’antimafia è una cosa seria. Che ha bisogno di una preparazione almeno all’altezza della mafia. E che quando diventa slogan la politica ha già perso.
  • ricordarsi di ricordare di stampare questo articolo del Corriere della Sera sui risultati del rapporto «Gli investimenti delle mafie», realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica per il ministero dell’Interno, e tenerselo in tasca discutendone con i colleghi, gli amici, i parenti. Perché sarebbe ora di non farsi scippare il tema. Davvero.

 

grafico_pop_thumb[3]La mafia in Lombardia guadagna 10 milioni al giorno

La presenza di cosche a Milano è pari a Foggia o Trapani. Il mercato lombardo della droga è il più redditizio

Il Pil nero della Lombardia vale 3,7 miliardi di euro. E questo è il valore medio. Perché secondo la stima più elevata i ricavi complessivi dell’economia illegale in regione potrebbero essere superiori ai 5,2 miliardi. Per avere un termine di paragone: il bilancio dell’intera sanità lombarda, capitolo di spesa che assorbe gran parte del bilancio del Pirellone, ammonta a 16 miliardi.

Significa che le organizzazioni criminali italiane e straniere in regione ricavano circa 10 milioni di euro al giorno. Stringendo l’obiettivo, la provincia di Milano è la terza in Italia per numero di aziende confiscate alle mafie, indice significativo delle infiltrazioni criminali nell’economia legale. La radiografia delle penetrazioni mafiose in Lombardia (e in tutta Italia) è contenuta nel rapporto «Gli investimenti delle mafie», realizzato dal centro di ricerca Transcrime dell’Università Cattolica per il ministero dell’Interno.
La presenza mafiosa – Il primo capitolo dello studio analizza l’indice di presenza mafiosa nelle province italiane, un indicatore ricavato dall’incrocio di dati su indagini giudiziarie, reati, denunce e confische di beni. Si scopre così che Milano ha un «indice di presenza mafiosa» pari a quello di zone a tradizionale insediamento criminale come Foggia, Brindisi o Trapani, la provincia del capomafia Matteo Messina Denaro. E se in molte altre realtà le infiltrazioni criminali sono più pervasive, Milano è anche l’unica provincia nella quale esiste un contemporaneo e significativo radicamento di Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra. E proprio a partire dall’analisi della ricchezza della mafia calabrese si può approfondire il tema degli investimenti: la ‘ndrangheta ricava il 23 per cento dei suoi profitti nella propria regione d’origine, il 21 per cento in Piemonte e il 16 per cento in Lombardia, a conferma del ruolo strategico ricoperto dalle «colonie» del Nord.
La ricchezza criminale – Il mercato lombardo della droga è in assoluto il più redditizio in Italia, con ricavi stimati tra gli 840 milioni e i 2,4 miliardi di euro. Un valore doppio rispetto alla seconda regione in «classifica», la Campania (nonostante i clan che trattano stupefacenti tra le province di Napoli e Caserta siano tra i più potenti al mondo). Incrociando le tabelle messe a punto dai ricercatori di Transcrime si scopre però un dato interessante: soltanto un terzo di quei ricavi in Lombardia finisce alle organizzazioni criminali «tradizionali» (Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta). È la dimostrazione che Milano è un hub della droga per buona parte dell’Italia e del Sud Europa, un luogo di vendita e stoccaggio degli stupefacenti dove operano e guadagnano molto anche gruppi mafiosi stranieri (albanesi, serbi, marocchini).
La Lombardia ha anche il primato dei ricavi collegati alla contraffazione: circa un miliardo di euro l’anno che arrivano dal commercio illegale di attrezzature elettroniche e informatiche, abbigliamento, cosmetici e accessori falsi. Ricavi simili arrivano dallo sfruttamento della prostituzione, «settore» nel quale la Lombardia è seconda soltanto al Lazio.
Infiltrazioni nell’economia – Spiegano i ricercatori di Transcrime: «Interessante notare che nel settore “alberghi e ristoranti” i tassi più alti di concentrazione delle organizzazioni mafiose si registrano nel Nord Italia. Il valore più alto in assoluto a livello nazionale è quello della provincia di Lecco, seguito da Milano». Ovviamente qui si parla soltanto di aziende confiscate, quelle entrate nell’obiettivo della magistratura. Il quadro sconta quindi una «cifra nera» di sommerso che resta sconosciuta. Milano è comunque la terza provincia in Italia per numero assoluto di aziende confiscate. Si legge nell’analisi: «Al Nord la maggior parte delle aziende mafiose si concentra in Lombardia, dove le province di Lecco (7,3 confiscate ogni 10 mila registrate), Milano (3,4) e Brescia (2,7) mostrano tassi anche superiori a quelle di altre aree del Sud, testimoniando il grado di infiltrazione e di diffusione delle organizzazioni mafiose anche nell’economia del Nord». E mentre nelle zone d’origine non esistono commistioni, in Lombardia le mafie sperimentano infiltrazioni attraverso «joint venture» tra diverse organizzazioni criminali o sfruttando la disponibilità delle imprese legali.

Gianni Santucci