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ROMA

Mafia? Il sonno di Roma

Da Repubblica

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La video-intervista dell’attore e regista lombardo Giulio Cavalli che racconta la sua vicenda e spiega come la criminalità organizzata abbia messo radici anche nella capitale. Dalla scorsa estate l’attore ha scelto di vivere a Roma e da poco è rimasto vittima di una nuova intimidazione: una pistola, con un colpo in canna e la matricola abrasa, è stata ritrovata nei pressi del giardino della sua abitazione. Questa mattina, un nuovo agguato in città: un imprenditore di 74 anni, proprietario di terreni, golf club e gestore di una discarica, è stato ucciso in strada a Casal Palocco.

 

Soffiando via la polvere sulla mafia romana

Ne avevamo già parlato in occasione dell’ultimo pezzo di Pietro Orsatti e Silvia Cerami e ne parleremo nella prossima puntata di Radio Mafiopoli (che riprende questa settimana dopo la pausa estiva): a Roma le mafie invisibili cominciano a diventare tema di analisi e discussione anche “sociale”. Se ne parla all’aperitivo, se ne discute in famiglia e non di rado capita di scambiarsi due battute anche tra amici. Come se un vento soffice ma continuo stia cercando di sollevare la polvere su una (voluta?) confusione tra bande e omicidi lasciando troppo spesso da parte la criminalità organizzata. Per questo oggi vale la pena approfondire con l’intervista di Alessandro Ambrosini ad una fonte (per ora) anonima:

Nasce tutto dall’operazione Maya, quando da fonte confidenziale ci arrivò l’informazione che c’era uno squilibrio a livello criminale nel narcotraffico ad Ostia. E’ l’estate 2002 e la soffiata parlava di possibili omicidi tra i gruppi malavitosi del litorale. Noi della Polaria,con la squadra mobile di Roma, decidemmo di puntare i fari sulla famiglia Triassi richiedendo la possibilità di intercettare, con sistemi ambientali e non, alcuni personaggi con la scusa di indagare nell’ ambito della sparizione di Santo Cardarella (elemento di spicco di Cosa Nostra, collettore della cosca Cuntrera-Caruana ndr). Motivazione questa che ci permetteva di avere le autorizzazioni in modo veloce visto che si trattava di un latitante (per cui serve solo l’autorizzazione del Pm e non anche del Gip). A quel tempo, a capo della Dna di Roma c’era De Fichy che, come ci dissero, negò l’autorizzazione per un motivo burocratico legato alla competenza territoriale.Ma questo rimane un mistero visto che il mandato di cattura per Santo cardarella era in carico alla sezione narcotici di Roma.

Ma…
Ma noi non ci fermammo al primo no. Chiusa questa operazione con un nulla di fatto continuammo ad attenzionare la famiglia Triassi sempre sulle basi della fonte confidenziale chiedendo ancora gli strumenti intercettivi per monitorare la situazione. La mattina dell’omicidio Frau Cito Blaiotta ci negò le intercettazioni. Nel pomeriggio, verso le 15, ammazzarono Paolo Frau e in serata “avevamo tutto acceso” sui telefoni che avevamo chiesto di mettere sotto controllo un mese prima. 
Probabilmente, se i telefoni fossero stati autorizzati al controllo quando l’avevamo chiesto, forse, si poteva prevenire o per lo meno avere una pista certa da seguire per scoprire chi aveva commesso il delitto e l’ambiente in cui era maturato. Pista che, successivamente, sembra sia stata trovata visto che, dopo l’omicidio. la prima telefonata effettuata da casa Frau fu fatta in Costarica a tale Luigi Vit. Persona che ritorna nell’operazione Alba Nuova all’interno del sodalizio criminale insieme a Giacometti Roberto e ai defunti Emidio Salomone, Giovanni Galleoni, Francesco Antonini e Luigi Crialesi. A quel tempo noi della Polaria eravamo aggregati alla sezione narcotraffico della Squadra Mobile di Roma e iniziammo con i colleghi una serie di accertamenti, seguivamo perciò un filone dell’indagine. Contemporaneamente la sezione criminalità organizzata, sempre della Squadra Mobile romana, indagava sull’omicidio Frau. 
Due indagini diverse ma che avevano protagonisti gli stessi uomini quindi
Si, noi proseguimmo sulla pista che già seguivamo mentre la sezione criminalità organizzata iniziò ad attenzionare e a fare sequestri nei confronti di quelli che nella nostra squadra chiamavamo “vecchi coatti”. Dopo una serie di accertamenti ci accorgiamo che iniziano ad evidenziarsi molte società di spedizioni,chioschi,gestione delle spiagge e dei parcheggi amministrate da prestanomi. Tutte situazioni di cui però non potevamo indagare sia come Polaria sia come Squadra Mobile. 
Una pista che poteva riguardare il Gico della Guardia di Finanza, certamente non voi. Ma torniamo all’omicidio Frau. 
E infatti noi cercammo di coinvolgere il Gico ma in una riunione con Failla, il capo della sezione criminalità organizzata,dove chiedevamo gli accertamenti su Modica Amore ( moglie di Santo Cardarella) lui fece capire chiaramente che non aveva intenzione di “mettere” in mezzo i militari della Guardia di Finanza “perchè non voleva dividere niente con nessuno” Si, c’è un lato sconvolgente nelle indagini sulla morte di Frau, un lato che però va evidenziato ritornando su chi era la vittima. Paolo Frau era il braccio destro di Danilo Abbruciati, tanto che anche suo figlio porta il nome del boss di Testaccio. E’ anche colui che, sebbene non risulti dalle carte processuali (fu accusato e condannato Nieddu), è molto probabilmente colui che portava la moto nel tentato omicidio di Rosone a Milano. Dove trovò la morte Abbruciati. Era quindi un pezzo da novanta all’interno della Banda della Magliana. Ruolo che gli permise di avere il suo appezzamento di territorio proprio a Ostia e di gestire indisturbato ogni tipo di traffico nel litorale. Era tra l’altro conosciuto e riconosciuto come un confidente dei servizi segreti. Nonostante tutto, gestisce il parcheggio di Cineland, prassi comune per giustificare un minimo di entrate. Cineland è una struttura di intrattenimento sulla Via del mare dove ci sono parchi giochi, cinema e quant’altro. Proprietari e gestori di questa struttura sono le famiglie Paone-Merluzzi-Ciotoli, gli stessi proprietari del bar Sisto in Piazza Anco Marzio. 
Imprenditori locali quindi. Ma perchè sottolinea il bar Sisto? 
Il bar Sisto è noto perchè quando la Polaria di Fiumicino e la Mobile di Roma catturarono Pompei Vincenzo detto “Chicco”(uomo legato al clan Senese e arrestato a San Paolo del Brasile nell’operazione Valleverde), riuscirono ad individuarlo proprio mettendo sotto controllo il telefono privato del bar stesso. Lui infatti chiamava regolarmente Edoardo Ciotoli da San Paolo del Brasile, cosa che ci permise di intercettarlo e di andarcelo a prendere. 
La cosa sconvolgente? 
La cosa sconvolgente è che chi indagò sull’omicidio di Paolo Frau fu Antonio Paone, ispettore della Squadra Mobile di Roma sezione criminalità organizzata 
Ma Paone era forse parente di una delle famiglie proprietarie di Cineland di cui Frau gestiva i parcheggi? 
Certo, quindi è ovvio che lui stesso non abbia mai voluto andare in profondità nelle indagini. Se si fosse scoperto che la sua famiglia insieme ai Merluzzi e ai Ciotoli erano i datori di lavoro di Frau, che era stato ucciso per motivi di narcotraffico, sarebbe scoppiato uno scandalo. Io non voglio dire che lui sia in malafede ma è evidente un conflitto di interessi che è alla luce del sole e che, anche rispetto alle risultanze dell’operazione Anco Marzio, fa crescere più di qualche dubbio. Solo Dodici mesi prima, circa, partì da quel bar l’operazione che portò all’arresto di Pompei, uomo di Senese, con relativo sequestro di 290 chili di cocaina. Qualcosa vorrà pur dire. 

Mafia capoccia: a Roma le cosche pascolano

ostiaPartendo dagli stabilimenti balneari di Ostia, annichilita da più di 100 arresti e dall’emersione di intrecci e alleanze mafiose, la penetrazione delle mafie a Roma grazie a decenni di silenzio

Di Pietro Orsatti e Silvia Cerami

Anticipazione del servizio in uscita sul prossimo numero de I Siciliani giovani e pubblicato in contemporanea da AntimafiaDuemila e sul blog di Pietro Orsatti.

I marmi dell’Eur, la tenuta del Presidente della Repubblica, i dormitori costruiti dai palazzinari, pochi chilometri e il mare di Ostia, il lido di Roma. Il Kursaal de I Vitelloni e il Plinius sono mezzi vuoti, i proprietari degli stabilimenti balneari non festeggiano. Pochi passi per attraversare il canale dei Pescatori e via verso il salotto buono. A segnarlo villa Papagni affacciata sul Tirreno, con i suoi putti e stucchi pacchiani, che un imprenditore e qualche suo amico amministratore sognavano di trasformare in casinò. E alle spalle Ostia che non vuol più essere borgatara, con i wine bar dell’happy hour, le vetrine griffate e persino l’area pedonale. Qui si fa lo “struscio” tutto l’anno, ma oggi no. Anche se si è in piena stagione. Nessuno si fa vedere, nessuno ha voglia di parlare. Come se fosse un set abbandonato, dove resta solo l’attesa, la tensione.

Due operazioni a meno di quindici giorni di distanza l’una dall’altra hanno portato ad un centinaio di arresti. Colpito il clan degli “zingari” vicino ai Casamonica, che dalla periferia est della Capitale sono scesi a prendersi Ostia, pezzi della vecchia Banda della Magliana, ex Nar riciclati nella criminalità organizzata, addirittura uomini di spicco della famiglia di Cosa nostra dei Caruana-Cutrera. Famiglie a cui da vent’anni non si può dire di no, gli Spada, i Fasciani, i Triassi. Una triade che ha creato una “pace armata” per spartirsi gli affari. E poi le ispezioni all’ufficio tecnico del Municipio, affacciato proprio sulla spiaggia dei Triassi, gli indagati, i vertici sospesi per appalti e concessioni a favore dei clan. E quella parola, Mafia, che a Roma si ha da sempre difficoltà a pronunciare. Invece ora si sussurra, gira fra i tavolini dei bar, negli sguardi delle persone.

La guerra che nessuno voleva vedere

«Dallo scorso anno era evidente che si era alzato il livello, che c’era chi puntava più in alto e gli equilibri rischiavano di saltare», racconta uno “sbirro” che da anni osserva l’evolversi della Roma criminale. Da quando, con due esecuzioni spietate, Francesco Antonini e Giovanni Galleoni sono stati ammazzati. Gli investigatori ritengono, oggi, proprio dagli Spada. Due quarantenni cresciuti all’ombra della Banda della Magliana, quella che si dava per estinta negli anni ’90 e che invece c’è ancora.

«Non era un regolamento di conti di poco peso, ma l’inizio della guerra». E la guerra non è solo a Ostia, ma sta insanguinando, da quasi tre anni, tutta la Capitale: da Tor Sapienza a Tor Bella Monaca, daBoccea alla Cassia e alla Flaminia, giù fino alla Laurentina e alla PontinaPiù di 60 morti in 30 mesi. A Ostia però gli equilibri, le alleanze e i confini, sono ravvicinati e visibili. Microcosmo dove è possibile tutto e tutto avviene davanti agli occhi di questa città nella città. «I fatti, meglio sarebbe dire i cadaveri che insanguinano la Capitale, danno ragione a chi sostiene l’esistenza in Roma di una criminalità organizzata operante secondo gli stilemi delle associazioni mafiose». Non l’hanno scritto oggi. Si leggeva già nel 1991 nel capitolo dedicato a Roma della relazione della commissione Antimafia presieduta da Gerardo Chiaromonte.

“Baficchio” e “Sorcanera”, come erano chiamati nel giro Antonini e Galleoni, sono morti a meno di un chilometro a ovest dalla Rotonda della dolce vita, nel territorio degli “zingari” di piazza Gasparri. Qui il sole brucia i cassonetti già anneriti dalle fiamme, tende enormi nascondono terrazzi scrostati dalla salsedine, tutte le saracinesche sono serrate. I bagnanti sono poco più in là, ma oggi le strade sono deserte. Un pit bull ringhia dietro gli ondulati, solo una vecchia vestita di nero si affaccia dalla porta sormontata da un capitello con aquila e leone di un negozio abusivo trasformato in abitazione. Meglio restare a casa, meglio nascondersi. Agli angoli delle strade solo le sentinelle: marsupio in vita e occhi attenti. Controllano chi entra e chi esce. Non per lo spaccio, non per due giornalisti, non per verificare l’arrivo delle Forze dell’Ordine, ma per il timore che, visto il numero e la qualità degli arresti delle ultime settimane, ai nemici venga la tentazione di pareggiare i conti. Qui a ‘Ostia Nuova’, nel quartiere degli Spada, si sorveglia per paura.

«È dagli anni ’80 che non si respirava un clima del genere sul litorale, ma nonostante i morti per strada, i negozi e i capanni incendiati, nessuno si è allarmato più di tanto. Fino a quando non sono scattati i blitz. Allora tutti a mostrare preoccupazione, non per il quartiere, ma per l’immagine di Ostia e per il quieto vivere». Non ha peli sulla lingua il cinquantenne nato e cresciuto a due passi dal mare, ma che vive da trent’anni metà della sua vita a Roma in un ministero. Trenino e metro, la mattina. Metro e trenino la sera. E poi via a passo spedito e testa bassa, fino al confine del Bronx attorno a piazza Gasparri, lì a due passi dal teatro di Affabulazione, uno dei primi luoghi occupati a Roma già negli anni ’70 e da sempre fortino nell’abbandono di Ostia Ponente. «Se ne sono accorti, finalmente. C’è la mafia. Ci sono i tossici e si spara, ma la mafia non è solo qui nel ghetto, non ha solo la faccia coatta. Gira con il vestito buono e fa affari con tutti».

Gli affari dietro gli ombrelloni

Scommesse clandestine, estorsioni, usura, ma non solo. A Ostia si fanno gli affari, quelli grossi. Basta guardare poco più in là. Dietro due palazzoni popolari appiccicati e la piscina abusiva pericolante, ecco l’hotel quattro stelle, il lungomare. Con il cartello “divieto di balneazione” e il bagnino pronto a sorridere ai bambini in acqua. Quattordici chilometri di concessioni e di stabilimenti in grado di fruttare 60 milioni di euro a stagione.

Pochi metri a destra il porto turistico di Roma. Quello che «porterà ricchezza». Oltre 900 posti barca, 2000 posti auto, possibilità d’attracco per mega yacht da settanta metri. Un centinaio di milioni di euro spesi. E poi bar, locali, negozi di lusso. Oggi i pochi che sono aperti vendono vestitini “made in China”, di barche non se ne vedono molte, ma si pensa ad ampliarlo lo stesso. Il raddoppio lo vogliono i balneari e gli imprenditori del cemento, anche se il porto è stato un fallimento e infatti è fallito con tanto di libri in tribunale. Storia storta fin dall’inizio. I calcinacci per costruirlo furono svelati da una mareggiata, stavano lì sotto la sabbia. Quanto al direttore, Mauro Balini, «sin dalle prime conversazioni registrate sulla sua utenza – scrive il Gip nell’ordinanza dell’operazione “Nuova Alba” che ha portato a più di 50 arresti il 26 luglio scorso e dove dopo anni si contesta per la prima volta il reato di associazione mafiosa – è stato possibile avere conferma dell’esistenza di un ambiente economico-finanziario inquietante, all’interno del quale agivano appartenenti alla criminalità organizzata interessati ai rilevanti movimenti di capitali e ai grossi investimenti che si stavano realizzando nel territorio di Ostia Lido».

Ed è lui si legge «a mantenere importanti rapporti con elevate personalità anche militari; è Balini a trattare con Cmc Ravenna; con Epd Limited London; con Italia Navigando, avvalendosi di significativi intermediari. Accedere a lui equivale ad accedere ai piani alti, e scalzare i suoi abituali collaboratori equivale ad inserirsi nel circuito degli affari presentabili».

È grande il mondo guardato attraverso la rete di affari del porto di Roma che emergono dall’inchiesta. La Cmc Ravenna, con partner e attività in mezzo mondo, è una coop che i occupa di edilizia, trasporti, logistica portuale, gestione dei rifiuti. Un colosso, come lo sono Epd London (azienda ad alta tecnologia inglese) e Italia Navigando, società del Gruppo Invitalia, l’Agenzia Nazionale per l’Attrazione degli Investimenti e lo Sviluppo d’Impresa, che si occupa di investimenti e promozione dei porti turistici nel nostro Paese.

Il porto, che è porta di accesso via mare a Roma e via privilegiata, e nascosta, per armi e droga. Il 30 per cento della coca passa da queste coste. Un affare da decine di milioni di euro al mese, cifre colossali, perché ogni carico che entra sulla piazza romana rende fino a quattrocento volte il prezzo pagato dagli importatori che lo fanno arrivare dalla Colombia, dalla Bolivia, dal Venezuela, dalle coste dell’Africa, passando per Gioia Tauro e il lido della Capitale.

Alle spalle l’Idroscalo con i cantieri super esclusivi, tra le carcasse d’auto e i divani abbandonati, nella terra di nessuno dove è stato massacrato Pier Paolo Pasolini. Il monumento per ricordarlo l’hanno dovuto chiudere dentro la riserva della Lipu, che troppe volte l’avevano distrutto.

Da sempre una zona che fa gola a tanti. Un’area tutta da rivoluzionare. Pontile, porto turistico, persino un lungomare artificiale da costruire. Erano i tempi entusiastici dell’ex sindaco Gianni Alemanno per il mega progetto “Waterfront”. Previsti investimenti faraonici, che il Lido è «un monte d’oro», spiegava l’allora presidente del Municipio, Giacomo Vizzani. Oggi al X Municipio si tagliano pure i fondi per gli insegnati di sostegno per il disavanzo lasciato dalla scorsa amministrazione, ma che importa.

Il porto da gestire e da ampliare significa soldi, tanti soldi che le organizzazioni criminali vogliono controllare. Soldi da mettere accanto agli affari che da sempre fanno ricca Ostia, quelli degli stabilimenti balneari. E quindi non stupisce leggere nelle carte dell’inchiesta in corso, che un esponente dellafamiglia Giacometti, sodalizio già entrato nel 2004 nell’inchiesta Anco Marzio, che contestò l’associazione mafiosa, poi rigettata dal tribunale di Roma – avrebbe contattato «una persona presentatagli dal senatore Luigi Grillo», proprio per accedere all’affare delle concessioni balneari, data la preoccupazione per la nuova normativa europea, che impone dal 2015 l’affidamento delle spiagge demaniali solo attraverso gare pubbliche.

La porta di Roma

Ostia, bocca per sfamare il corpo di Roma. Con le mafie tradizionali, i colletti bianchi e i delinquenti locali che si sono mossi in libertà per decenni, reinvestendo il denaro di Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta. Dividendosi il controllo, spartendosi i soldi.

Ostia con il suo “sindaco ombra”, “Don” Carmine, a capo dei Fasciani. Già strozzino con la Banda della Magliana, vanta amicizie trasversali: dalla camorra di Michele ‘o Pazzo’ Senese, al mondo eversivo degli ex Nar di Gennaro Mokbel, passando per Paolo Papalini, il fratello presidente dell’Assobalneari. Quello che ha concesso le concessioni per gli stabilimenti e firmato “determinazioni dirigenziali” per “lavori di somma urgenza” che appaltano 14 milioni di opere senza gara. “Don” Carmine, fuori e dentro del carcere, è sempre riuscito a gestire i suoi affari, soprattutto il narcotraffico.

L’élite di Cosa Nostra

E poi i fratelli “er Mafia”, Vito e Vincenzo Triassi, considerati luogotenenti della famiglia Caruana-Cuntrera, i Rotschild della mafia. La presenza dei Cuntrea – Caruana a Ostia, già certa negli anni ’70, ma oggi con un peso ben maggiore, non è un dato di poco conto. È gente di cerniera fra i siciliani e i cugini della Cosa nostra americana. Originari dell’agrigentino e già molto attivi nel contrabbando nell’immediato Dopoguerra, con probabili collegamenti con la rete messa in piedi da Lucky Luciano e dai corsi e i marsigliesi, spostarono il baricentro del proprio business trasferendosi fra Canada, Venezuela e Brasile prima dello scoppio della prima guerra di mafia negli anni ’50. Diventarono quindi asse portante del narcotraffico fra Sicilia e Usa, anticipando perfino la ‘ndrangheta nell’affare della cocaina, tanto da aprire un rapporto preferenziale con i narcos colombiani del cartello di Calì. Implicati poi nella Pizza Connection e in altri traffici internazionali, rientrarono negli anni ’70 in Sicilia (mantenendo le basi all’estero) e insediando una famiglia di Cosa nostra proprio a Ostia. Coinvolti nella French Connection, su cui indagarono fra gli altri Giovanni Falcone e Ciaccio Montalto, giocarono probabilmente un ruolo negli eventi che portarono all’assassinio del giudice francese Pierre Michel nel 1981.

Per misurare il loro peso criminale è importante osservare quale ruolo ricoprirono nella seconda guerra di mafia. In prima battuta si schierarono con i palermitani di Stefano Bontade e degli Inzerillo per poi saltare sulle barricate dei corleonesi guidati da Totò Riina. Una delle famiglie che ha pagato meno la dittatura dei “viddani” di Corleone e anzi ha accresciuto il proprio business con la “mattanza”. Oggi vederli centrali, se pur in ritirata a davanti all’offensiva degli Spada e soprattutto dei Fasciani, fa pensare. Fa pensare soprattutto perché Ostia è una delle porte di accesso per il traffico europeo della cocaina e ancora dell’eroina. Perché hanno cercato e trovato alleanze con pezzi della vecchia Banda della Magliana..

“Alba Nuova” e le altre inchieste che stanno interessando il litorale romano sembrano colpire tutti, ma i Cuntrea – Caruana, pur accusando in qualche modo il colpo, da una uscita di scena anche per via giudiziaria dei rivali Fasciani e Spada hanno tutto da guadagnare. Anche perché difficilmente si sono prestati a essere braccio dei colletti bianchi locali. Ostia conta, ma è solo un tassello di una trama ampia e complessa, una particolarità che il pentito di Cosa nostra Gaspare Spatuzza descrive con inquietante esattezza: «La cosa che ho notato che rispetto alla mafia, la mafia palermitana o siciliana che sia, a Roma hanno tutta un’altra mentalità, nel senso che non si vogliono sporcare le mani direttamente; il romano cerca di farsi proteggere le spalle; agire in seconda fila e però investire più…per avere più proventi possibile. Quindi cerca di non apparire ed esporsi (…) Sono ancora più criminali della manovalanza….perché fin quando sei sulla sfera ‘braccio armato’ e ‘braccio operativo’, diciamo, viene più facile localizzarli, ma dietro le quinte…». :

I “pudori” delle istituzioni

Timidamente intanto si comincia a prendere atto della escalation militare e affaristica delle mafie che insanguina non solo sul litorale, ma tutta la Capitale. Timidamente, anche se oramai, dopo decine di morti in “regolamenti di conti”, è impossibile non parlare di guerra di mafia. Dal centro alla periferia. Dai romani della “Banda” fino agli “scissionisti” e i Casalesi, dalla ‘ndrangheta a Cosa nostra che investono in attività commerciali e immobili di pregio in centro, ai Casamonica e alle loro enclave diventate fortini, fino ad arrivare agli stranieri che operano attraverso una sorta di rete di subappalti criminali. Una timidezza che porta il Prefetto Giuseppe Pecoraro al termine della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza a parlare di «fatti e comportamenti riconducibili alla criminalità organizzata», salvo poi nascondere la mano con un pilatesco «non parliamo di colletti bianchi, non mi sento di includerli».

La banda mai diventata ex

Si ha la sensazione di essere precipitati nel passato. Ostia, Roma. Per tornare verso il centro si percorre la Cristoforo Colombo. Qui a poche centinaia di metri dalla zona residenziale bene dell’Ardeatino, con le finestre vista parco e i palazzi in cortina, qualche giorno fa un uomo è entrato in un centro estetico. «C’è Cinzia?», ha domandato. La donna, Cinzia Pugliese, si è presentata e l’uomo con tutta calma ha estratto una pistola e l’ha gambizzata. Il procuratore Giuseppe Pignatone parla di un possibile collegamento con il clan Fasciani. E la Pugliese non era certo una sconosciuta. Per anni infatti avrebbe avuto una relazione con Angelo Angelotti, ucciso il 28 aprile dello scorso anno a Spinaceto durante una rapina. Angelo Angelotti, uomo di spicco della vecchia Banda della Magliana, quello che avrebbe organizzato l’imboscata nel 1990 in via del Pellegrino a Enrico De Pedis, il capo, “Renatino”.

«La Banda della Magliana esiste ancora, ha usato e continua ad usare i soldi di chi è morto o è finito in galera. Forse non ha più bisogno di sparare. O almeno, di sparare spesso», raccontava nel 2010 davanti alle telecamere un altro ex della Banda, Antonio Mancini. Oggi è difficile dargli del millantatore o dell’allarmista.

Il centrosinistra peggiore. Nel VI (ex VIII) municipio di Roma.

Piccoli errori centrosinistri. Per niente piccoli. Scritto da Andrea.

– ai Servizi Sociali (delega importantissima per un Municipio) va la figlia di Antonio MadamaAssessore PDL della precedente Giunta Lorenzotti, appartenente allora alla cordata di Samuele Piccolo, che nel frattempo è transitato col suo sodale Ezio D’Angelo (unico politico locale inquisito all’epoca dello scandalo che coinvolse Piccolo e famiglia) e con tutto il resto della truppa al PSI. E’ utile notare che il Consigliere municipale eletto dal Partito Socialista, tale Reale, è il nipote di Madama. Stiamo parlando dello stesso Antonio Madama che negli anni ’90 ammise di aver incassato un’ingente somma di denaro per votare il Presidente della Circoscrizione (che all’epoca veniva eletto dal Consiglio);

– alla Scuola e alla Cultura va un’altra figlia di! Si tratta stavolta di Andreina Di Maso, figlia dell’ex Consigliera municipale Livia De Pietro. Andreina Di Maso è stata candidata, ma non eletta, nella lista PD;

– all’Urbanistica va Verticchio (Lista Civica), anziano collaboratore personale dell’ex Consigliere Regionale ed ex Presidente del Municipio Giuseppe Celli, di cui ho avuto recentemente modo di parlare a proposito dell’elezione della figlia Svetlana in Consiglio Comunale (leggi anche qui);

– ai Lavori Pubblici va Vittorio Alveti (PD), che entra in giunta dopo una ventina d’anni di Consiglio!

– allo Sport va Valter Mastrangeli, Consigliere municipale, oggi PD, dopo aver trascorso la consiliatura precedente tra Gruppo Misto e API, oltre a collezionare un nutrito book fotografico in assemblee pubbliche con l’ex Sindaco Alemanno;

– da ultimo, al Bilancio va Daniele Palmisano, proveniente da San Giovanni (Municipio VII, ex IX), componente della Segreteria PD di Roma e fac totum della cordata di Umberto Marroni interna al PD, cui lo stesso Scipioni fa capo. Palmisano sarà Vicepresidente.

«Cioè di fronte a certi atteggiamenti io divento più mafiosa dei mafiosi»

Le parole sono ancora più inquietanti perché arrivano da un Giudice: Chiara Schettini.

Giusto per ripristinare i rapporti di forza: «Cioè di fronte a certi atteggiamenti io divento più mafiosa dei mafiosi». E ancora, sempre al telefono con uno dei «suoi» curatori fallimentari (Federico Di Lauro): «Gli ho detto (riferendosi al suo compagno Piercarlo Rossi, ndr ) guarda, io ci metto un attimo a telefonare a dei miei amici calabri che prendono il treno, vengono, te danno una corcata de botte e se ne ripartono». Così parlava Chiara Schettini, l’ex giudice fallimentare del Tribunale di Roma, arrestata per peculato, ricordando di volta in volta ai suoi interlocutori che il giudice era lei.

Che lei, una volta informata, era in grado di risolvere i problemi. Nelle sue vene, sottolinea spesso sforzandosi di prevalere sui suoi interlocutori, c’è sangue «calabrese». Di buona famiglia, cresciuta ai Parioli, ottimi studi, curriculum prestigioso, conversazione colta, eppure Chiara Schettini, è la stessa donna che, con brutale determinazione, firma e spedisce un fax di incontrovertibili minacce nei confronti di uno degli avvocati che l’aveva denunciata ai magistrati di Perugia. Fax peraltro indirizzato a un personaggio controverso, Massimo Grisolia, ingaggiato in prima battuta per convincere un testimone a ritrattare accuse contro di lei.

Nel documento, trasmesso ai primi del 2013, si legge: «Ho riflettuto sul fatto che potrei soprassedere alla richiesta restitutoria (15mila euro utilizzati da Grisolia , ndr ) ma lei caro professore mi deve togliere dalle palle il suo amico Massimo (l’avvocato Vita, ndr ); ho saputo che ha richiesto la riapertura di due procedimenti ovviamente da lui stesso promossi e conclusi con conferma di archiviazione…. È veramente una rottura senza limiti… Lei deve far capire al suo amico che è meglio che non insista perché non domani, nè magari dopo domani ma anche fra dieci anni io lo ammazzo». (via)

Questi brigatisti della FIOM

Ieri chi non c’era (o si è distinto sul titolo “personale”) ha rifiutato di stare in mezzo alle storie, le tensioni, le aspirazioni e il lavoro di queste facce qui:

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Viene il dubbio che non si tratti più solo di sinistra o centrosinistra ma che sia una differenza culturale di storia e di obiettivi. A questo punto.

L’Era Alemanna: il conto alla rovescia

coverAlemannaBNScrivere un libro che è anche un contenitore di progetti diversi. E’ la sfida (vinta) di Pietro Orsatti che esce tra poco con “L’Era Alemanna”.

Esce il 25 aprile, e non è un caso, L’Era Alemanna, un ebook scritto da Pietro Orsatti e edito dalla testata I Siciliani – giovani http://www.isiciliani.it (ne avete letto qui sul blog) che si ispira a quel mensile fondato e diretto nei primi anni ’80 da Giuseppe Fava. Un ebook che racconta il degrado dei 5 anni della peggiore amministrazione che abbia mai avuto la capitale: quella guidata dal sindaco Gianni Alemanno.

Esce a un mese dalle elezioni amministrative, come contributo al dibattito e narrazione di quello che ha vissuto la città. E anche per sostenere il progetto de I Siciliani – giovani. Perché il progetto della testata è anche quello di riportare in edicola e in libreria un prodotto collettivo rigorosamente eretico e che vuole investire sul lavoro e la creatività dei tanti giovani che vi hanno aderito.

Ne diamo l’annuncio anticipatamente anche perché intendiamo promuovere a Roma una serie di incontri e presentazioni per aprire un dibattito vero su quello che sono stati questi 5 anni e su cosa fare per uscirne. Quindi invitiamo a contattare l’autore sul suo blog http://www.orsattipietro.wordpress.com o la testata attraverso il sit o http://www.isiciliani.it e, ovviamente, ad acquistare attraverso il sito o attraverso le piattaforme http://www.lulu.com e http://www.amazon.com che lo distribuiranno. A un prezzo indicativo di 3 euro.

Ecco la premessa al libro scritta da Pietro:

Questa non è un’inchiesta, anche se spunti di inchiesta se ne troveranno e non pochi, quanto un reportage e diario politico e personale realizzato fra il 2007 e il 2013 e che mira a raccontare  gli effetti che ha avuto la giunta Alemanno sulla vita sociale, economica, morale e culturale della capitale.

Sei anni, perché il racconto parte appunto nel luglio 2007 con l’apparizione di Gianni Alemanno, in compagnia del suo allora camerata di partito Francesco Storace, alla manifestazione dei tassisti al Circo Massimo e si conclude con l’arresto nel marzo 2013  di Mancini, suo uomo di fiducia al vertice per lungo tempo dell’Ente Eur – forse il più ricco in termini di patrimonio immobiliare a Roma – per una storiaccia di presunte tangenti ricevute da un’azienda della galassia Finmeccanica, la Breda Menarini.

E in mezzo ci sta Roma. E i romani vecchi e nuovi, che siano nati al Testaccio o a Bucarest, a Primavalle o a Karachi.

Scrivevo un anno fa, all’epoca del fattaccio brutto di Torpignattara, quello in cui perse la vita un commerciante cinese e sua figlia nel corso di una rapina per strada: “Una città senz’anima, che ha perso il treno per diventare davvero capitale. Cupa, egoista, provinciale, sporca di una sporcizia immateriale. Una sporcizia morale”.

L’Era Alemanna fa impallidire il disastro messo in piedi dal sindaco Giubilo negli anni ’80. Quel Giubilo che era diventato democristiano dopo una lunga militanza in quella destra (proprio la stessa) da cui proviene Gianni Alemanno. Giubilo creatura dello “squalo”, Vittorio Sbardella, passato alla storia per la sua giovanile partecipazione all’assalto della libreria Rinascita e poi per le 1200 delibere approvate nella notte che precedette la cessazione dei suoi poteri e l’insediamento del commissario prefettizio. Alemanno è riuscito a superare perfino quelle vette che si credevano irraggiungibili.

Oltre alle due parentopoli Ama e Atac c’è una lista impressionante di fatti e episodi: il consulente del suo Gabinetto Giorgio Magliocca indagato per concorso esterno alla Camorra in seguito e dopo un lungo iter giudiziario scagionato da ogni accusa e anzi probabile vittima di una “mascariata” messa in piedi dalla criminalità organizzata per colpire lui e forse condizionare in qualche modo le azioni future di Alemanno, la moglie Isabella Rauti indagata anche lei per concorso in abuso di ufficio, gli ex terroristi NAR assunti nelle partecipate, le presunte truffe sul sale della celeberrima emergenza neve del 2012 con il corollario grottesco di gaffe e polemiche propagandistiche mentre la città collassava in pochi centimetri di neve, le gare pubbliche con un solo partecipante (parlo di quella relativa alla Tevere SPA e all’affidamento di parte consistente del trasporto pubblico su gomma), le figuracce del GP di automobilismo e delle Olimpiadi (e delle ipotesi di speculazioni immobiliari mai abbastanza indagate come motivazione di quelle due candidature e probabilmente collegate alle ipotesi divariazioni de PRG se le due iniziative fossero andate in porto), E ancora, il suo addetto stampa che misteriosamente compare sul luogo di uno stupro alla vigilia delle elezioni, la prova di forza in consiglio comunale – sfregio al risultato del referendum sull’acqua pubblica – per la privatizzazione della partecipata Acea, il tentativo fallito, in concerto con il governatore della Regione Renata Polverini, sulla gestione dei rifiuti di favorire i soliti noti nell’effare colossale della gestione dei rifiuti della capitale fino all’inevitabile  collasso (con tanto di pricedura di infrazione avviata dall’Unione Europea) cercando prima di far partire una discarica davanti alla Villa D’Este di Tivoli (contro la quale si è pronunciata perfino l’Unesco) poi di favorire – dopo un balletto patetico mirato a determinare come unica scelta possibile davanti a un’emergenza da loro stessi creata e alimentata –  la proprietà della discarica di Malagrotta (ormai satura) con la creazione di un’altra discarica in un territorio già compromesso e a rischio da decenni. Ovviamente con tanto di conflitto con il governo nazionale.

E come potremmo dimenticare poi, gli affari e affarucoli della sua corte fra “magnate” di pajata con Bossi e feste dei cortigiani? Un’orgia di sottopotere esplosa sotto il suo regno e di quello della sua “socia” Renata Polverini governatrice della Regione.

E non dimenticherò di certo quella guerra di mafia in corso da almeno due anni per il controllo del racket e del traffico di droga negata a ogni morto ammazzato per strada (e ormai si parla di decine e decine di omicidi). Negata perché “la mafia a Roma non esiste”.

E ancora la beffa del comune che si presenta parte civile al processo sull’Ama ma solo per difendere l’immagine del sindaco danneggiata da quella vicenda. La sua immagine non la città, non confondiamoci.

Tutto questo c’è nell’Era Alemanna, ma non descritto attraverso un’esposizione asettica di fatti, ma nel racconto  di questa città che si degrada giorno per giorno grazie a questa gestione disastrosa. Un racconto partigiano. Come scriveva Saverio Lodato nell’introduzione del libro Quarant’anni di Mafia, non troverete in questo libro non troverete qui “un resoconto algido e asettico di quelle vicende, non essendo stato, io, inviato in terra straniera”.

Il racconto che state per leggere è costruito per frammenti non in ordine cronologico. Avanza per immagini, sensazioni, dati, racconti. È, credo, il modo migliore per rendere giustizia parziale a quello che abbiamo vissuto. A come l’ho vissuta io.

Pietro Orsatti, Roma, marzo/aprile 2013

Chi l’ha vista?

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Sono a Roma. Nel pieno della competizione elettorale per il prossimo sindaco. Ignazio Marino ha appena vinto le primarie del centrosinistra (ed è una bella notizia).

A Roma negli ultimi mesi si contano almeno una sessantina di omicidi in odore di mafia. Fosse Palermo l’avrebbero chiamata mattanza, fosse Milano l’avrebbero chiamato “il segnale della mafia al nord”. Qui, invece è criminalità. Per i più audaci: criminalità organizzata.

A cento passi dal Parlamento i bar confiscati ai casalesi si aprono alla mattina con la gente tutta intorno. Sarebbe meglio vederla, la mafia. Provare a chiamarla per nome nei comizi, negli articoli e tutto il resto anche qui a Roma. La questione è capitale. In tutti i sensi.

 

Da Borghetto a Modena: dove sono questa settimana

Ricominciamo a girare su e giù per l’Italia migliore.

Oggi alle 16.30 a Borghetto Lodigiano (LO) per la festa dell’ANPI (a proposito di fascismo, eh).

Mercoledì 29 a Sesto San Giovanni (MI) alle ore 20  presento il mio libro “L’innocenza di Giulio” e parliamo di andreottismi in vista delle prossime elezioni. Al Carroponte via Granelli 1. Info qui.

Venerdì 31 ci vediamo a Marina di Grosseto alle 19 per il TILTCAMP2012 (ne avevo già scritto qui). Poi alle 21 con Nichi Vendola. Tutte le info qui. Ah, prima , ovviamente, si passa dall’Assemblea Nazionale di SEL a Roma, eh.

Sabato 1 settembre all’Area delle Feste in Via De Amicis di Fagnano Olona (VA) alle 21 per la prima Festa Provinciale SEL di Varese parleremo de  “I diritti, la legalità, i beni comuni, il lavoro e la crisi”. Info qui.

Domenica 2 settembre a Modena per la festa PD andiamo sul palco con una serata che è una scommessa. Io, Cisco e la sua band con un medley di Nomi, Cognomi e Infami e le canzoni del tour di Cisco Fuori i Secondi.  Ore 21 Arena sul Lago. Tutte le informazioni sono qui.

Per qualsiasi modifica potete trovare tutto sulla pagina degli appuntamenti.

Diceva Kafka che “i Sentieri si costruiscono viaggiando”. Noi proviamo a battere la nostra strada.