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Giulio Cavalli

Su Cottarelli

Vale la pena leggere Paola Caporossi:

Diciamolo con franchezza: Cottarelli non andava santificato un anno fa, così come non va demonizzato adesso. Semplicemente, ha fatto bene il suo lavoro quando riteneva ci fossero le condizioni per poterlo fare e ha alzato la voce quando le condizioni sono cambiate. Non per stizza vs. qualcuno, ma per legittima difesa della propria dignità professionale. E questo, sì, è un punto segnato a suo favore.

Si smetta ora di parlare di lui, e soprattutto di tirare in ballo, sgradevolmente, la sua famiglia. Si valuti, piuttosto, il suo lavoro. Il Governo ne faccia l’uso che ritiene opportuno, ma colga almeno questa lezione: da ora in avanti sarebbe il caso di porre fine alla sfilata dei Commissari ad hoc per qualsiasi emergenza e di valorizzare le competenze e funzioni che le Istituzioni hanno già al loro interno. Questa, sì, sarebbe una riforma strutturale a costo zero di cui vantarsi in Europa.

Gli inetti (e ladri) di CL: Giuseppe Biesuz

Anche se sono passati mesi in Lombardia continua a gocciolare il formigonismo e i suoi sodali:

Ma come li scelgono i manager pubblici, nella Milano “del fare”? Metti per esempio Giuseppe Biesuz, ciellino, grande amico di Marcello Dell’Utri, messo ai vertici delle Ferrovie Nord da Roberto Formigoni, presidente (uscente) della Regione Lombardia. Nei giorni scorsi sono avvenuti, in contemporanea, due fatti. Uno: il sistema delle Nord è andato in tilt, con treni in ritardo di ore, viaggi soppressi, migliaia di pendolari bloccati, utenti inferociti. Due: l’amministratore delegato Biesuz è stato arrestato.

Nessun nesso tra i due accadimenti. Biesuz è stato posto agli arresti domiciliari per la bancarotta di una sua società, da cui era uscito (almeno formalmente) nel 2008, la Urban Screen. Doveva gestire un enorme schermo in piazza del Duomo, a Milano, per trasmettere eventi (le partite degli Europei, per esempio), assieme a notizie e pubblicità. Doveva essere un affare per il Comune (sindaco Letizia Moratti) e invece è stato un affare solo per Biesuz che dalla Urban Screen ha spremuto soldi per sé e per gli amici. Mentre l’azienda andava in malora, l’ineffabile manager si portava a casa 120 mila euro di compenso come amministratore, 108 mila li dava alla moglie a fronte di fatture per operazioni inesistenti e poi succhiava denari per farsi auto di grossa cilindrata, per weekend, viaggi a New York, perfino per i tendaggi di casa.

Un bel po’ di soldi (sempre della società) li distribuisce ad amici e sodali: 4.500 euro li devolve per cene elettorali di An, 18 mila li impiega per fare pubblicità all’ex assessore Maurizio Cadeo (Pdl), 15 mila li fa arrivare al comitato elettorale di Marco Mariani (Forza Italia), ex sindaco di Monza. Biesuz se ne va da Urban Screen lasciando in azienda un buco di ben 2,5 milioni di euro e un ente pubblico, il Comune di Milano, in braghe di tela. Eppure viene subito premiato da Formigoni con la poltrona di amministratore delegato delle Ferrovie Nord. (fonte)

Che schifo

Alla fine al Senato hanno votato per tenersi, oltre ad un nuovo Senato che cambia solo in nome e abbassamento di democrazia elettiva, anche l’immunità. Quando ci avevano detto di valutare il “fare” e non le parole ve lo ricordate? Bene: un bello schifo.

E sapere, sul treno di ritorno, con le macerie che passano dai finestrini, che a casa ti stanno aspettando tua moglie e tua figlia

10440668_10152338542482903_5542099274780219394_n«Ai ragazzi dico questo. Pensate le cose impensabili. Si può sopravvivere a una guerra. Si può saltare un cancello alto alto con delle lance acuminate in cima e resistere a un tempo che vuole scambiare la giovinezza con la fame e la morte. Si può scappare dai campi di concentramento in Germania usando un filo di ferro. Si può ritornare a casa quando tutto sembra distrutto e perduto e ricominciare da capo. E sapere, sul treno di ritorno, con le macerie che passano dai finestrini, che a casa ti stanno aspettando tua moglie e tua figlia».

Ferruccio Mazza, Ferrara, 1921-2014 [in “Io sono l’ultimo – lettere di partigiani italiani”, Einaudi]

Caro Israele, parola di ebrea.

Stefania Sinigaglia, ebrea, membro della rete ECO (Ebrei contro l’Occupazione), scrive una lettera aperta agli ebrei italiani:

Sono un’ebrea italiana della generazione post-1945, ebrea da generazioni da parte di entrambi i genitori. Sento il bisogno impellente in queste ore di angoscia e di guerra tra Gaza Palestina e Israele di rivolgermi ad altri ebrei italiani perché non riesco a credere che non provino lo stesso sgomento e la stessa repulsione per la carneficina che Israele sta compiendo a Gaza.

Non si mira a distruggere un nemico armato, non sono due eserciti ad affrontarsi: si sta sterminando un’ intera popolazione civile, perché il nemico è ovunque,  in un fazzoletto di terra che stipa in 365 km2 un milione e ottocentomila persone, il nemico è sotto la terra sopra la quale c’erano case e scuole e negozi e ospedali e strade, c’è la gente, e se vuoi colpire chi sta sotto la terra è giocoforza ammazzare chi ci sta sopra a quella terra, anche un bambino lo capisce; ma fanno finta di non saperlo gli strateghi sottili di questo orrore infinito che si dipana sotto i nostri occhi.

Come facciamo a tacere di fronte a questa ingiustizia suprema, noi che per millenni siamo stati costretti a nasconderci nei ghetti per vivere, che venivamo additati come responsabili di nefandezze mai sognate, obbligati a convertirci a volte per non essere bruciati sui roghi? 

Israele ha fondato uno Stato nel 1948 su terra altrui, sappiamo come e perché, ciò è stato accettato dal consesso internazionale e nel 1988 è stato accettato dall’OLP. I Palestinesi hanno riconosciuto il diritto di Israele a esistere, ma Israele dal 1967 occupa terra non sua, e lo sa.

Per anni e anni si è detto: quella terra occupata serve a fare la pace: territori in cambio di pace. Questo è stato il refrain che però è stato nel corso del tempo sepolto da guerre non più di difesa come nel 1967, ma di attacco, a partire dalla sciagurata invasione del Libano.

Come facciamo a non riconoscere che Israele ha scientemente, e  per decenni  ormai, rifiutato di addivenire a un compromesso sulle colonie, non ha mai smesso di costruirne e di avanzare annettendosi di fatto i territori su cui doveva negoziare, annichilendo la base pur ambigua ma reale che era l’accordo di Oslo.

Ha contribuito a creare Hamas, che in arabo significa “collera giusta”, e poi ne ha tollerato la crescita in funzione anti-OLP, ha reso la vita dei palestinesi una lotta per sopravvivere anche in Cisgiordania, e ha violato tutte le risoluzioni dell’ONU che gli imponevano di tornare alla famosa “Linea verde”.

Ha rubato altra terra  palestinese costruendo la barriera di 700 km, dichiarata illegale dalla Corte dell’Aia ma tuttora in piedi.

E ora con il pretesto dell’uccisione di tre ragazzi di cui Hamas non ha mai riconosciuto la responsabilità, un’ accusa  che non è stata corroborata da prove, ha scatenato una guerra non a Hamas ma a tutto un popolo. Non si può uccidere, annientare un popolo per sconfiggere un nemico che ha il diritto di difendersi.

E le richieste di Hamas non sono altro che le richieste della popolazione di Gaza: fine dell’assedio di sette anni, fine dello strangolamento.

Israele ha diritto a esistere DENTRO dei confini riconosciuti internazionalmente, ma dal 1982 è aggressore e viola il diritto internazionale.

Per avere la pace deve rinunciare alla folle idea di avere TUTTA la terra per sé e cacciarne chi ci abitava prima che arrivassero i primi coloni ebrei a fine Ottocento.

La guerra di Israele è non solo omicida ma è suicida: guardiamo al Libano che sta insieme ancora per miracolo, alla Siria distrutta, all’Iraq che va a pezzi, ai palestinesi che sono la maggioranza in Giordania, all’avanzare dell’islamismo salafita e jihadista in Africa settentrionale e occidentale, in Kenya, in Nigeria.

Quale avvenire promette la guerra infinita di uno stato di apartheid? 

Quali possibilità invece apre il riconoscimento  di diritti eguali ai palestinesi e alle migliaia di rifugiati e immigrati che anche in Israele spiaggiano cercando una vita e un avvenire migliori?

Quali prospettive aprirebbe uno Stato multiculturale, bi-nazionale e veramente democratico in  Medioriente? Quale salutare rimescolamento di carte?

Apriamo gli occhi, abbiamo il coraggio di guardare in faccia la realtà, e gridiamo il nostro rifiuto di questo orrore e di questa politica di distruzione e morte che si ritorce contro chi la persegue. 

Cosa sta succedendo ai segretari comunali

Lui è Giuseppe Mendicino, scrittore, intellettuale e tra le altre cose anche segretario comunale. Giuseppe mi scrive:

se passa il disegno di legge Madia, in migliaia di Comuni sparirà un importante riferimento per la tutela della legalità che, specie in certe regioni, incoraggiava i dipendenti comunali a resistere a contesti corrotti o clientelari. Come in tutte le categorie ci sono stati ne hanno fatto parte buoni e cattivi, ma in generale si tratta di una categoria di dirigenti competenti e scarsamente politicizzati. Siamo l’unica categoria della PA che per progredire in carriera, dopo il duro concorso iniziale, deve superare altri 3 concorsi (per passare sopra i 3.000 abitanti, i 10.000, o 65.000) e tutti duri.
Per me e per tanti altri questa idea di abolire i segretari comunali vuol dire gettare nel cestino anni e anni di sacrifici, personali e famigliari, di studi e di lavoro per difendere la legalità, in Comuni sperduti e in contesti ambientali a volta a rischio. Siamo tutti profondamente avviliti e preoccupati. Mi domando quali saranno gli effetti dell’eliminazione di questo piccolo ma capillare filtro di legalità in migliaia di Comuni italiani. I dipendenti comunali, in tanti piccoli Comuni saranno privi di uno scudo che ha impedito tante,malefatte, come ha riconosciuto Cantone nel suo libro Operazione Penelope: “tanti segretari comunali si sono dimostrati le migliori sentinelle contro il malaffare”. E gli amministratori onesti saranno privati di un ausilio vitale per districarsi nell’intricatissima normativa amministrativa, civile e a penale del nostro Paese.

Basta sfogliare la bozza della legge:

“dei segretari comunali e provinciali: abolizione della figura; inserimento di coloro che alla data di entrata in vigore del decreto legislativo sono iscritti all’Albo dei segretari comunali e provinciali di cui all’articolo 98 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nelle fasce professionali A e B, in un’apposita sezione a esaurimento del ruolo dei dirigenti degli enti locali di cui alla lettera b), numero 3) e soppressione del relativo Albo speciale; specifica disciplina per coloro che sono iscritti nelle predette fasce professionali e sono privi di incarico; specifica disciplina, che contempli la confluenza nel suddetto ruolo unico dopo un determinato periodo di servizio, anche come funzionario, per coloro che sono iscritti al predetto Albo, nella fascia professionale C e per i vincitori di procedure concorsuali già avviate alla data di entrata in vigore della presente legge; per gli enti locali privi di figure dirigenziali, fermo restando il rispetto della vigente normativa in materia di contenimento della spesa di personale, facoltà di nominare comunque un dirigente apicale con compiti di attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività amministrativa e controllo della legalità dell’azione amministrativa, in luogo del segretario comunale, eventualmente attingendo nella sezione speciale; previsione, per i comuni con meno di 5.000 abitanti, nelle more del completamento dei percorsi associativi, dell’obbligo di gestire l’eventuale funzione di direzione apicale in via associata;”

A fronte di quanto stanno facendo nei confronti dei segretari comunali, con un comma subdolo e seminascosto, nel Decreto Legge 24 giugno 2014, n. 90 “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari” è stata inserita una norma che consente l’assunzione (diretta senza titoli di studio e senza concorso) e con la qualifica di dirigente , di fiduciari-portaborse:

Art. 11. (Disposizioni sul personale delle regioni e degli enti locali) 1. All’articolo 110 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 sono apportate le seguenti modificazioni: a) il comma 1 dell’articolo è sostituito dal seguente: “1. Lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato. Per i posti di qualifica dirigenziale, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi definisce la quota degli stessi attribuibile mediante contratti a tempo determinato, comunque in misura non superiore al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno una unità. Fermi restando ì requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli incarichi a contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica volta ad. accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell’ incarico.”; b) il comma 5 è sostituito dal seguente: “Per il periodo di durata degli incarichi di cui ai commi 1 e 2, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono collocati in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell’anzianità di servizio.”. 2. L’ articolo 19, comma 6-quater, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 è abrogato. 3. Per la dirigenza regionale e la dirigenza professionale, tecnica ed amministrativa degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale, il limite dei posti di dotazione organica attribuibili tramite assunzioni a tempo determinato è fissato nel dieci per cento. 4. All’articolo 90 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dopo il comma 3, è aggiunto, in fine, il seguente: “3-bis. Resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale.”. Ecco quindi come diventa, dopo la modifica del DL (a un Testo unico!) l’articolo 90 del Decreto legislativo 267 del 20000 (Testo unico enti locali). Art. 90 – Uffici di supporto agli organi di direzione politica 1. Il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi può prevedere la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge, costituiti da dipendenti dell’ente, ovvero, salvo che per gli enti dissestati o strutturalmente deficitari, da collaboratori assunti con contratto a tempo determinato, i quali, se dipendenti da una pubblica amministrazione, sono collocati in aspettativa senza assegni. 2. Al personale assunto con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale degli enti locali. 3. Con provvedimento motivato della giunta, al personale di cui al comma 2 il trattamento economico accessorio previsto dai contratti collettivi può essere sostituito da un unico emolumento comprensivo dei compensi per il lavoro straordinario, per la produttività collettiva e per la qualità della prestazione individuale. 3-bis. Resta fermo il divieto di effettuazione di attività gestionale anche nel caso in cui nel contratto individuale di lavoro il trattamento economico, prescindendo dal possesso del titolo di studio, è parametrato a quello dirigenziale. (comma così sostituito dall’art. 11, comma 4, decreto-legge n. 90 del 2014).

Sarebbe bello discuterne, almeno, poiché Raffaele Cantone e molti altri magistrati hanno già dichiarato che si rischia di fare un regalo inaspettato alla criminalità organizzata. Fare le cose per bene, ad esempio.

“Sono sotto scorta perché voi fate finta di niente”

Un altro articolo, questa volta di Agoravox:

Schermata 2014-08-01 alle 13.30.47Ferrara. Il terzo appuntamento di “Autori a Corte” (lo scorso 30 luglio) ha lasciato un segno profondo, tra risate, spesso amare, e applausi sentiti. Ospite della serata l’attore teatrale, scrittore, ex consigliere regionale lombardo Giulio Cavalli, che dal 2007 vive sotto scorta per il suo impegno civile contro le mafie. Salito sul palco con l’intenzione di non parlarne, ha ceduto alle domande di Marco Zavagli, direttore di estense.com e moderatore dell’incontro.

“La scorta non ha nulla di poetico e in fondo la mia è una storia banale, molto poco eroica. Questo è un Paese che si innamora degli scortati, attori e non, e si dimentica degli operatori della giustizia. Sono 800 le persone sotto tutela in Italia. Conosco un panettiere che ogni mattina va a fare il pane scortato, perché si è rifiutato di pagare il pizzo”.

Ed è iniziato così un viaggio lampo indietro nel tempo. Giulio Cavalli ha aperto una innumerevole serie di parentesi per contestualizzare la storia, parentesi che, con estrema lucidità, ha chiuso puntualmente.

“Io vengo dal teatro, sono un arlecchino, un giullare –ha spiegato Cavalli– e la regola fondamentale è mai parlare di se stessi, a meno che non sia di interesse pubblico, oltre a non prendersi mai troppo sul serio. Noi giullari presentiamo la realtà, cerchiamo di non inquinarla e la portiamo in scena con il cuore più pulito possibile”.

In un batter d’occhio, ci si è ritrovati nel 2005-2006, ai tempi dell’amicizia e alla collaborazione con Rosario Crocetta, ex sindaco di Gela. Cavalli e Crocetta stavano lavorando ad un progetto teatrale, Do ut des. L’idea era quella di fare uno spettacolo per prendere in giro la mafia. “Seppellire la mafia con una risata”, come il grande Peppino Impastato aveva insegnato con la sua esperienza alla Radio.

Ma la morsa della paura si è fatta sentire nel 2011. L’allora prefetto di Lodi, Peg Strano, voleva revocargli la scorta, e la ‘Ndrangheta era pronta ad eliminarlo non appena fosse rimasto sprovvisto di tutela, come testimonierà a posteriori l’ex boss delle cosche crotonesi Luigi Bonaventura. “Avevo notato uno strano movimento di uomini calabresi e cominciai a dare programmi falsi sui miei spostamenti” – ha detto Giulio Cavalli. Di lì a poco arrivò da Roma “la revoca della revoca”. Ma “fa più paura uno Stato che non fa lo Stato o che diventa convergente con l’anti-stato, che non trovarsi faccia a faccia con i mafiosi (il figlio di Totò Riina è venuto nel mio camerino) – questo andrebbe detto”.

A ruota libera, tra un racconto ed un altro, Cavalli ha lanciato provocazioni e affermazioni precise, volte a scuotere gli animi ed il senso d’impegno civile. Il pubblico rispondeva timidamente. Non è dato sapere se per paura, poca convinzione o scarsa informazione. Certo è che ha risposto in maniera decisa ed unanime solo nel ricordare una vecchia pubblicità, quella del Pino Vidal. Questo è un segno chiaro, ha poi commentato Cavalli. Lo spot è stato tirato in ballo nel descrivere il promo del film Il capo dei capi, in cui l’attore che interpretava Totò Riina cavalcava un cavallo bianco sulla spiaggia. Risale proprio all’uscita del film, la nascita su internet dei primi fan di Riina. “Se ci fosse il reato di favoreggiamento culturale”, certi film finirebbero sotto accusa.

Non riesco a capire questo Paese – ha continuato Cavalli – continuiamo ad avere stima o paura delle persone sbagliate.

E sul processo Andreotti: In questo Paese, ripetere continuamente una bugia, diventa verità. L’innocenza di Giulio (Andreotti) è stata conclamata dal Paese. Ma è storia giudiziaria che fu mafioso fino alla primavera del 1980. L’Andreottismo sopravvive allo stesso Andreotti, è come un virus. I veri colpevoli sono i suoi elettori.

“I nuovi Andreotti? Le mafie non corrompono più i parlamentari, ora creano i parlamentari.”

Tanto abbiamo una classe dirigente che è molto diligente.

Il nuovo progetto di Cavalli, autofinanziato per scelta, debutterà a Napoli ad ottobre e s’intitolerà L’amico degli eroi. Narra la vicenda di Dell’Utri.

“Siamo un Paese tragicamente comico, sulla pelle degli onesti.”

 

Tu chiamale, se vuoi, convergenze

Una notizia da pelle d’oca:

(ANSA) – BARI, 31 LUG – Per decorrenza dei termini di custodia cautelare preventiva sono stati scarcerati 4 pregiudicati foggiani, tra cui il boss mafioso Federico Trisciuoglio, capo dell’omonimo clan. Il provvedimento, a firma del gip di Bari Annachiara Mastrorilli, accoglie l’istanza dei difensori, condividendo i ritardi nel deposito delle motivazioni della sentenza di primo grado (emessa dal gup Ambrogio Marrone nel febbraio 2013) e la mancata trasmissione per tempo degli atti per il processo d’appello.

Un giullare nel Paese degli indifferenti (da Estense.com)

L’articolo uscito su estense.com:

Schermata 2014-08-01 alle 09.54.35di Silvia Franzoni

Giulio Cavalli arriva sotto scorta alla terza serata di ‘Autori a Corte’, prende posto a fianco del direttore di estense.com Marco Zavagli, moderatore dell’incontro, e tira fuori una pipa. “Dal 2006 hai il triste primato di essere l’unico attore europeo a vivere sotto scorta”, comincia Zavagli presentando l’ospite al pubblico, ma prima che qualunque domanda fosse formulata, Giulio Cavalli sorride, arrendendosi al dover raccontare “le origini del mio vivere sotto scorta, che poi nulla c’è di poetico nell’essere scortati, non in un Paese che si innamora degli eroi ed è incapace di esercitarne la memoria”.

Inizia così un flashback scanzonato che dal 2005-06, dall’amicizia dell’autore e attore di teatro con l’allora sindaco di Gela Rosario Crocetta, giunge a raccontare la realizzazione di ‘Do ut des’, lo spettacolo teatrale che ha portato in scena una mafia ridicolizzata, “seppellendola con una risata”. Così il ‘giullare’ Cavalli (“io sono un arlechino, un giullare”, sono le uniche etichette che si concede), presa la realtà, l’ha portata “in scena stropicciandola, per permettere di vederla da uno spigolo inaspettato e mostrarne la meraviglia”: non è forse meraviglioso scoprire di non aver ragione di temere Riina, “uno sfigato che nel silenzio del suo covo tra le montagne ascolta la colonna sonora dei Puffi?”. Tra un applauso e l’altro, è chiaro, Giulio Cavalli “così come Brecht nella sua Resistibile ascesa di Arturo Ui e come Peppino Impastato con Radio Aut ha normalizzato il terrore – precisa il direttore di estense.com – con la satira ha ridicolizzato il potere”: così iniziano le minacce, le lettere anonime, “le bare spedite per corriere”. Ma il guaio è un altro, sottolinea l’attore, è il “Paese che delinea il giusto e lo sbagliato in base alla presenza o meno del reato, senza occuparsi di etica e di morale, io sono sotto scorta perché voi siete troppo poco cittadini”. Il pubblico cade nel silenzio proprio dell’esame di coscienza: “bisogna avere il coraggio – lo esorta allora Cavalli – e dire, denunciare quando i comandanti delle stazioni dei Carabinieri, spesso parafascisti sottopagati, non hanno alcuna professionalità; quando i Prefetti narcotizzano la Provincia e i capi degli Uffici Tecnici sono corrotti; quando i segretari comunali sono notai senza responsabilità; del tacerlo, di questo dovete avere paura, non della criminalità organizzata”.

“E tu, Giulio, non hai mai avuto paura?” L’attore si sistema i capelli, un tiro di pipa, e “sì – comincia a raccontare – nel 2011, quando fu chiaro che chi decideva della mia scorta fosse vicino ai calabresi: fa più paura lo Stato convergente con l’anti-stato che l’essere faccia a faccia con un mafioso”. La continua volontà di sviscerare il vero ha portato Giulio Cavalli a scrivere del “virus dell’andreottismo”, a raccontare (ne L’innocenza di Giulio, Chiarelettere, 2012) “la pietà ignorante che ha deciso l’innocenza di un uomo mafioso fino alla primavera del 1980”: se riportare infinite volte una bugia la rende verità, allora forse i “veri colpevoli del processo Andreotti sono i suoi elettori”. E allora, oggi, qual è l’eredità (a)politica del “banale malfattore, chi sono – chiede Zavagli – i nuovi Andreotti?”. “Le mafie non corrompono più i parlamentari – risponde Cavalli –, ora creano parlamentari, e gli Andreotti d’oggi sono tutti coloro che a danno della comunità perseguono benefici personali, facendo attività di lobby mentre gli onesti continuano a parlare incomprensibilmente”.

La più alta tra le arti, la politica, si inabissa davanti all’indifferenza, la stessa che ha “permesso di avere inetti ai vertici delle nostre istituzioni, una classe dirigente che spesso stringe la mano alla mafia, mentre noi restiamo nel silenzio acritico”, e i nomi a farne da esempio sono molti, a partire da Dell’Utri. A quest’ultimo è dedicato il nuovo spettacolo teatrale dell’autore, ‘L’amico degli eroi’, un progetto autofinanziato (attraverso un’operazione di crowdfunding) sviluppato mentre è in corso la stesura di un “romanzo d’amore, perché serve anche questo per mettere la mafia al muro”.

L’intervista-racconto di Giulio Cavalli finisce come era cominciato, tra risate (amare) e sonori applausi, poi le domande del pubblico permettono un’ultima riflessione: “tagli ai costi della politica, meno politici, tutto giusto, ma la prima necessità è un elettorato più consapevole che recuperi il dovere della parola”.