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movimento 5 stelle

La perversione

Provate a spiegarlo ad un bambino: il Movimento 5 Stelle non vuole accordi con il centrosinistra, anzi con nessuno. E’ semplice e lineare. Si può essere d’accordo o meno ma è una decisione che ha un senso (più lucrativo di consenso che politico, forse). Il centrosinistra intanto prova in tutti i modi di trovare un punto in comune con Il M5S per costruire un “governo di scopo” che non preveda PDL e affini (e questo a Bersani va riconosciuto, ma sul serio).

Il M5S ostinatamente rifiuta il corteggiamento. Anzi, dice che è tutta una finta del centrosinistra che vuole farsi dire di no per andare con Berlusconi, e allora loro (anzi, Beppe Grillo) cosa si inventano per disinnescare la trappola? Dicono di no. Ecco.

Il PD si diluisce in mille correnti ma Bersani tenta di tenere la barra dritta. Piuttosto che con Berlusconi (dicono in molti) si ritorna al voto. E qui accade il miracolo: i capigruppi cinquestelle Crimi e Lombardi ci dicono che il voto sarebbe una sciagura. Capito? Loro.

Forse sono troppo semplice io ma un attendismo venduto come un martirio mi sembra proprio una perversione.

(Anche Pippo ne scrive, qui)

Il buon senso

Il deputato 5 stelle Tommaso Currò oggi a Repubblica:

«Io sollevato? Non so. Mi hanno attaccato – ricorda il deputato – mi hanno dato del traditore. Ma io non sto tradendo. E penso che nella vita bisogna far prevalere la coscienza».
La voce trasmette un po’ di ritrovata fiducia: 
«Se abbiamo detto di avere un progetto di Paese e poi stiamo a guardare il governissimo Pd-Pdl, tradiamo la nostra prerogativa di mandare a casa la vecchia classe dirigente ».
L’alternativa? 
«Se proponiamo un governo a cinquestelle, il Pd e Sel faranno emergere persone che non hanno nulla a che vedere con il passato negativo. Obbligheranno la vecchia classe a fare un passo indietro, ne emergerà una nuova».
Prima lei, adesso un altro siciliano come il senatore Bocchino. Avete dato la scossa? 
«Sapevo che Fabrizio mi era vicino. Non so, forse alla base ci sono ragioni sociologiche. Noi siciliani viviamo una voglia di riscatto ».

Una cagata pazzesca

Manifestare in piazza contro la povertà è come occupare il Parlamento per chiedere l’insediamento delle Commissioni. Perché la politica che manifesta contro se stessa è una masturbazione che offende l’intelligenza, prima di tutto. Una mozione e un disegno di legge sarebbero stati troppo banali, evidentemente.

L’inseguimento del “grillino”

tgcom24-grillini-pullmanL’amaca di oggi di Michele Serra, consigliata per iniziare la giornata:

Le telecronache dell’inseguimento del pullman grillino lungo raccordi anulari e autostrade sembrano la parodia di un road-movie americano di serie B, manca solamente una autostoppista avvenente e dal passato misterioso. Sembrano. Ma sono, invece, uno spietato documentario sulla impotenza dei media, incapaci di partorire e anche solo di concepire, di fronte alla renitenza grillina, qualunque strategia alternativa. Tutto è meglio di quell’avvilente elemosinare mezza frase, rubare mezza inquadratura, implorare mezza informazione. Meglio il silenzio, meglio mandare in onda un fermo-immagine di Beppe Grillo con musica classica in sottofondo, meglio un comunicato sindacale, meglio uscire al primo casello e andare a farsi due spaghi, meglio far finta che 5 Stelle non esista. Recuperare credibilità, per i media, vorrebbe dire prima di tutto recuperare dignità e autonomia di linguaggio: più rincorrono trafelati i fuggiaschi, più confermano l’idea grillina che il sistema mediatico, così come è adesso, sia infrequentabile. Quando Grillo caccia dal suo palco il cameraman indesiderato è odioso. Ma quando cameraman, fotografi e cronisti pedinano un autobus mandando in onda se stessi che pedinano un autobus, danno del diritto di cronaca un’idea talmente penosa da metterne a rischio il prestigio e l’urgenza.

L’ingenua prova contraria

bersani-crimi-lombardi-620x350Scriveva anni fa Stefano Rodotà (che forse Bersani avrebbe anche potuto ogni tanto consultare) che l’uomo di di vetro è una metafora totalitaria. Lo riscrivo: l’uomo di vetro – l’idea stessa che il cittadino che non ha nulla da nascondere debba poter essere interamente esplorato – è una metafora totalitaria. Vale per l’ultimo di noi ma vale, almeno in parte, anche per i nostri rappresentati in Parlamento. E non è un caso che Beppe Grillo inneggi ad una sua personalissima idea di trasparenza a corrente alternata, dove l’unanimità dei parlamentari grillini è ottenuta in segreto e diventa comunicazione fiduciaria (perché come ha sostenuto la povera Lombardi oggi senza nemmeno accorgersi delle enormità che le uscivano di bocca loro sonocredibili) mentre il punto di vista di chiunque altro (tutti gli altri sono invece per definizione gli “incredibili”) resta il risultato di un commercio sottobanco fino a prova contraria. E la prova contraria, l’ingenua prova contraria nella mente dei semplici è la presenza della telecamera.

(Massimo Mantellini via manteblog)

Cosa votano gli operai

berlinguer-operaidi Nicola Melloni
da Liberazione

L’analisi dei flussi elettorali è impietosa per il centro-sinistra. Secondo tutti gli istituti di ricerca, dalla Polis di Diamati all’Ipsos, la coalizione di Bersani-Vendola è solo terza nel voto tra gli operai, superata sia dal Movimento 5 Stelle (primo), che dal Pdl (secondo). Un risultato, in realtà, che non sorprende più di tanto.
Già negli scorsi anni si era parlato e discusso a lungo del voto operaio pro-Lega. Ora la situazione è completamente degenerata, con solo un quinto delle tute blu che hanno scelto il Pd e la sua propaggine di sinistra, Sel – che pure candidava operai e sindacalisti. Non è una situazione nuova nella storia e non è un problema solamente italiano – basti pensare ai voti operai che prende Le Pen in Francia, fortissimo in quelle che una volta erano roccaforti del Pcf – ma configura un problema molto serio, sia per la sinistra nel suo complesso, sia per la democrazia in generale. 
Una sinistra senza classe operaia è, per sua natura, una non sinistra. Non occorre essere marxisti per riconoscere che gli interessi del lavoro, degli sfruttati sono da sempre il pane quotidiano di tutti i partiti che si riconoscono nelle diverse famiglie del laburismo, dalla socialdemocrazia alla sinistra comunista. Per dirla con Bersani, la difesa del lavoro dovrebbe essere la ragione sociale della ditta – che altrimenti ha davvero poca ragione d’essere. A maggior ragione in un periodo di crisi, con la disoccupazione in preoccupante aumento e la povertà, che pareva una volta sconfitta e che fa sentire i suoi morsi anche tra la classe media. 

(continua qui)

Per chi suona la Campanella (del Senatore,eh)

francesco-campanellaAllora:

– Francesco Campanella è un libero cittadino e un (meno libero) senatore del Movimento 5 Stelle che disobbedisce a Grillo: vota altro in Senato rispetto agli ordini di scuderia e vota Grasso per la Presidenza del Senato.

– Viene massacrato in quelle strane assemblee online che ormai sono diventate facebook e twitter dai “suoi” elettori che non gli perdonano il tradimento (a chi?).

– Si riscatta (sempre su facebook, eh) dichiarando di avere eroicamente e stoicamente rifiutato un offerta (economica, verrebbe da intendere tra le sue righe) nientepopòdimenoche da Nichi Vendola che con una telefonata gli avrebbe offerto un rifugio e un ristoro in SEL (che, per noi qui in SEL, viene da ridere sentendo il freddo che fa…).

– Ottiene un grande giubilo dagli elettori grillini che lo ringraziano per la coerenza, il coraggio e l’integrità d’animo. E forse gli perdonano (con memoria breve) il grande tradimento con il voto a Grasso. Sta per finire nel migliore dei modi: tutti vissero felici e contenti.

Poi c’è il fulmen in clausola (niente di spaventoso, eh: il finale a sorpresa):

Vendola non ha mai telefonato a Campanella. Tutto inventato. La grande rivincita contro la partitocrazia è una scoreggina nell’universo dei bugiardi. 2.0 però, eh.

Galatea su Grillo e la complessità del reale

escher_csg026_encounterLa reazione di Grilo ai primi giorni di “politica” dei suoi è indicativa: dal mondo chiuso del suo blog continua a emanare proclami in linea con la sua visione millenarista, ma che risultano poi in pratica inapplicabili dai suoi “emissari” in Parlamento. I quali si trovano a dover risolvere problemi che probabilmente Grillo non riesce nemmeno a capire perché  guarda da fuori il tutto: votare o no Grasso o Boldrini o astenersi e rischiare un incarico a Schifani? Consentire o no con il voto di fiducia la nascita di un esecutivo Pd o prendersi, negandola, la responsabilità di un “tutti a casa” che significherebbe però un salto nel buio con possibili pesanti ripercussioni economiche degli speculatori ai nostri danni sui mercati?

Stando fuori, Grillo può tuonare e inneggiare alla linea dura: da bravo predicatore millenarista sogna il giorno a venire in cui avendo acquistato il 100% dei consensi non dovrà più mediare su niente ma potrà molto semplicemente imporre la sua visione. E’ una visione utopica, come era utopica la società senza lusso di Savonarola. Ma i suoi che stanno dentro, ora, si trovano nelle peste, perché non avendo quel famoso 100% devono inserirsi in un meccanismo che ha le sue regole. E non, badiamo bene, perché è corrotto, ma perché è democratico.

Grillo da fuori indica come inciuci e tentativi di corruzione procedure che ai suoi occhi sembrano tali – come quella di trovare un accordo preventivo per l’elezione dei Presidenti delle Camere – perché non ha mai avuto esperienza diretta di cosa voglia dire gestire una assemblea democratica. E invece sono, molto semplicemente, prassi necessarie per evitare di impallare ogni possibile decisione e allungare i tempi all’infinito. Da qui le accuse di fare “mercati delle vacche” o gridare alla tentata corruzione per ogni abboccamento istituzionale per costruire una mediazione, da qui l’accusa agli altri partiti di non voler semplicemente votare il candidato proposto dall’M5S perché “è il migliore” (cosa poi tutta da dimostrare, visto il curriculum scarno), non rendendosi conto che in una assemblea democratica il consenso attorno al tuo candidato, quando non ha una sua maggioranza, deve essere costruita con un lungo lavorio di mediazione dietro le quinte.

I “Grillini” già dopo i primi giorni si rendono conto che il meccanismo, che quando lo guardavano da fuori sembrava così semplice da criticare, è invece non complicato, ma complesso, e la sua complessità è però dovuta a esigenze serie. Si trovano pertanto stritolati in mezzo a ciò: da un lato un “capo carismatico” che non avendo alcuna esperienza di gestione politica spicciola emana dei diktat inapplicabili nella pratica, dall’altra una base in fermento, anche questa priva di coscienza di come funziona il meccanismo, che pretende Parlamenti aperti come scatolette e distruzione immediata dell’esistente; dall’altra ancora una platea di gente che ha votato il movimento per protesta, ma pretende che ora gli eletti si adoperino comunque per far funzionare speditamente il sistema. In mezzo i Parlamentari grillini, i quali, per giunta, arrivati nel Palazzo senza una pregressa esperienze di assemblee minori (Comuni, Province ed altro) e privi di un apparato di partito o di un “capo” che sia in grado di spiegare loro e formarli in tal senso, sono abbandonati a se stessi, nel bel mezzo, per altro, di una delle più confuse situazioni della storia repubblicana.

Che dire? Già le votazioni per le Camere hanno dimostrato come nell’universo grillino si odano sinistri scricchiolii, e il post di questa mattina di Grillo, in cui in sostanza si chiede il non rispetto dell’articolo 67 da parte dei Parlamentari e si invocano epurazioni per chi ha votato Grasso, dimostra che una frattura fra Capo Carismatico e Truppa eletta in Parlamento (ma anche fra Capo Carismatico e Base, visto che i commenti al post di Grillo sono poco entusiasti), si sta consumando, con risultati per ora imprevedibili.

Ma non si tratta, e Grillo farebbe bene a prenderne atto, di “tradimento” da parte di un drappello di venduti che hanno perso di vista la causa. Si tratta, semplicemente, di quello che succede quando ci si deve confrontare con la complessità del reale.

Una gran bella analisi di Galatea da leggere tutta (tutta) qui sul suo blog.

Rifondazione, rivoluzione o evoluzione

6958649e9c75d0802d4483a672aa295403a1cbf4a7d5a9ac245954eeAldo Giannulli sul suo blog affronta in modo sfrontato (che è un sinonimo spregiativo del tanto benvoluto “a viso aperto” la questione di Rivoluzione Civile, Rifondazione, Sinistra Critica e SEL ipotizzando scenari che hanno dell’apocalittico in un ecosistema a sinistra portato al conservatorismo che progredisce al massimo per frammentazione. Le conclusioni sono nette:

Debbo anche precisare che non ritengo affatto che una confluenza di Rifondazione in Sel risolva il problema di costruire un vero soggetto della sinistra radicale. Peraltro guardo con molta attenzione ad Alba e Cambiare si può oltre che Sinistra Critica. Però, Cambiare si può, Alba e Sinistra Critica sono un po’ un gioco di scatole cinesi, in cui una cosa sta nell’altra, ma le persone sono più o meno le stesse. E sono poche, molto poche. D’accordo che Csp ha inaugurato un metodo di lavoro interessante, però, date le scarse forze di cui dispone, è difficile che dia risultati in tempi brevi e qui i tempi sono stretti. Non dimentichiamoci che a giugno 2014 ci aspettano le elezioni europee, nelle quali si vota con sistema proporzionale ma con clausola di sbarramento al 4%. Dopo una nuova sconfitta, quel che resta della sinistra rischierebbe di disperdersi del tutto. E teniamo presente che neanche Sel ha il 4%.

Peraltro, alle Europee non ci sono le coalizioni ed ognuno corre per suo conto. Nel frattempo, c’è un’ emergenza: che si fa dei resti di Rifondazione che, nel complesso, dispone ancora di diverse migliaia di militanti e di sedi un po’ in tutta Italia? Teniamo conto che, allo stato attuale, non ha mezzo euro da spendere e che la prospettiva è quella di una nuova traversata del deserto senza parlamentari. Il rischio evidente è che, nel giro di qualche mese, si squagli tutto, se non c’è un approdo, per quanto provvisorio, verso il quale dirigersi per riprendere fiato.

Considerato che il suo attuale gruppo dirigente è al di sotto di ogni sospetto, la cosa più probabile è che, qualora restasse in sella, farebbe probabilmente due cose:

a- liquidare quel che resta del patrimonio immobiliare del partito per spartirsi con l’apparato il magro gruzzolo a titolo di  ultimi stipendi e liquidazioni

b- nascondersi dietro Ingroia, che è l’unico che continua a credere che Rivoluzione civile esista ancora, per poter andare a battere alle varie porte vicine (M5s, Sel, Pd..) nella speranza che se ne apra una.

Ovviamente, la seconda operazione ha ottime probabilità di fallire e, a quel punto, Rifondazione (posto che ci sia ancora) si disintegrerebbe del tutto. Di qui la necessità di liberarsi di questo branco di parassiti che “dirigono”: non ho detto “sfiduciare il gruppo dirigente”, intendo dire proprio ruzzolarli dalle scale (metaforicamente parlando… si intende).

Ma, anche dopo questa sana disinfestazione del partito (chiamiamolo ancora così), resterebbe il problema di cosa fare, senza denaro, senza accesso alle istituzioni ed ai media, con una base in grave crisi psicologica. Per risalire la china ci vorrebbe un colpo d’ala: un’ iniziativa politica forte ed innovativa, ma questo, a sua volta, esigerebbe un nuovo gruppo dirigente, che sappia prendere in mano le redini ed invertire la tendenza. Ma dove lo trovano?

Pensare che, dopo anni di sonno bertinottiano e di catastrofi ferreriane, dopo anni di assenza di idee politiche e di discussione vera, possa venir fuori d’improvviso un nuovo gruppo dirigente, come Minerva armata dal cervello di Giove, è solo una illusione illuministica. Dunque, le premesse per una ripresa immediata non ci sono, mancano i mezzi e la gente è fortemente sfiduciata. Che si fa? Si aspetta che tutto finisca per consunzione e che l’ultimo spenga la luce? Se non vogliamo che tutto evapori nel giro di una manciata di mesi, occorre dare “un tetto” a quel che resta e l’unica possibilità è Sel, che a sua volta deve iniziare un ripensamento molto serio di tutte le sue scelte. Inoltre, le critiche che vengono mosse circa l’alleanza di Sel con il Pd non tengono conto che:

a- c’è una consistente possibilità che muti la legge elettorale e che le coalizioni non si formino più, ma si vada al voto su liste scollegate

b- non è scritto da nessuna parte che si riformi l’intesa Pd-Sel e che magari non venga fuori un cartello Pd-Monti che obbligherebbe Sel a cercare altre strade

c- il Pd è sottoposto a forti sollecitazioni interne che non è escluso possano sfociare in aperte rotture, nel qual caso l’esistenza di un polo di sinistra piccolo, ma di qualche solidità, potrebbe risultare molto utile.

Insomma, non sto affatto proponendo di ridurre tutta la sinistra radicale a Sel, ma solo di iniziare un percorso di rifondazione (questa volta vera e non solo slogan) che porti alla nascita di un efficace partito di sinistra anticapitalistica. Su questa strada occorre anche lavorare con Alba, Csp e Sinistra Critica, d’accordo, ma intanto occorre evitare la diaspora finale.

La discussione sul futuro della sinistra diffusa è il santo graal di questi ultimi anni per tutto quel pezzo che passa dall’ala sinistra del pd fino ai gruppi più oltranzisti (e lo dico con affetto) a sinistra e la soluzione paventata alla fine è quasi la stessa: mettersi insieme. Eppure sfugge come il punto politico oggi sia questa idiosincrasia ad un percorso identitario reale prima di pensare alle somme: come un accorpamento di corpi celesti di cui non si conoscano ancora perfettamente le sostanze che li compongono ma che debbano stare insieme per la caratteristica comune di “essere troppo piccoli da soli”.

Io non credo che Rivoluzione Civile abbia fallito in questa ultima tornata elettorale (e, attenzione, ritengo che anche SEL esca sconfitta rispetto agli obiettivi) perché non ci sia bisogno di una sinistra in questo paese quanto piuttosto essere risultata una somma con poca identità. Chi come me ha partecipato ai direttivi nazionali (nazionali, attenzione) di IDV non può credere che il dialogo con Diliberto e Ferrero sia frutto di un percorso d’intenti piuttosto che di un calcolo algebrico e nemmeno posso pensare che Ingroia o De Magistris (e con entrambi mi lega una profonda stima e riconoscenza per la loro intelligenza) abbiano potuto credere il “pericolo Monti” potesse essere un valore fondante per una coalizione che vorrebbe guidare l’Italia. Ancora di più oggi che è chiaro che Monti è solo una scheggia rispetto al confronto doveroso con il Movimento 5 Stelle. E nemmeno posso credere che l’ipotesi di una Cosa Seria (e qui, come Puffo Quattrocchi, mi ripeto) con punti precisi e chiari (si possono leggere qui e guarda caso alcuni sono i punti che hanno fatto forte anche il M5S) sia stata vissuta come un azzardo inconcludente.

Ora siamo qui, con un Governo che forse non si farà e con un cerchio in cui non si capisce nemmeno chi ha la palla e chi sta sotto. E sembra impossibile che non si sia capaci di vedere il futuro come nascita piuttosto che conseguenza.

Wu Ming 1 su internet e Movimento 5 Stelle

internet_009Ecco l’audio della puntata di «Tutta la città ne parla» dedicata all’uso di Internet da parte del Movimento 5 Stelle. E’ andata in onda su Radio 3 la mattina del 6 marzo 2013. Conduce Giorgio Zanchini, le voci sono quelle di Luca SofriWu Ming 1Matteo Mangiacavallo (deputato M5S), Lella Mazzoli e Juan Carlos de Martin. Dura 43 minuti. L’ascolto è interessante perché la rete è libera ma terribilmente seria, soprattutto quando si parla di democrazia.

Vale la pena ascoltarlo. E per me vale la pena sapere cosa ne pensate. Qui il parere dei Wu Ming sul loro sito:

E’ doveroso incalzarli sulle loro contraddizioni, facendo esempi esempi esempi, chiudendo loro le scappatoie e prevenendo l’uso di formulette standardizzate. E’ necessario farlo, per incrinare la facciata del “feticismo digitale” grillino e rivelare il “doppio” verticistico e autoritario di quella che chiamano “democrazia diretta”, che in realtà sarebbe tutt’altra cosa.
Solo così, scegliendo non l’accondiscendenza ma la schiettezza, faremo un favore alle tante persone che hanno scelto il M5S credendo in un cambiamento democratico etc. Bisogna far notare che tra quel che Grillo dicee quel che Grillo fa c’è di mezzo un mare, e non è attraversabile a nuoto.