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beppe grillo

Una luce in vigilanza Rai

Il Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, Roberto Fico (M5s), ha dichiarato la sua contrarietà alla svendita dell’ente radio televisivo di stato sostenendo, giustamente:

  • che oggi non si tratterebbe di vendere qualche canale ma di svendere tutto (ed a favore dei soliti noti, aggiungiamo noi).
  • che se questo si deve fare, prima occorre definire la legge sul conflitto di interessi.
  • che la cifra che lo Stato ricaverebbe (2 miliardi di euro) è la metà di quello che ci costano gli F35 (di cui non si capisce quale bisogno ci sia, aggiungiamo ancora noi).

Partendo dalla Rai c’è bisogno di comunicare cosa si nasconde dietro questa rincorsa alle “privatizzazioni” che non sono altro che le solite spartizioni oligarchiche dei gioielli italiani troppo spesso decretandone la fine. Le parole di Roberto Fico tra l’altro sarebbero anche l’occasione per mettere alla prova la benedetta “maggioranza che avrebbe dovuto essere” che ha l’occasione di costruire cambiamento sulla Rai e più in generale sull’informazione. Magari raccogliendo lavoro che da anni stanno facendo gli amici di Move On Italia.

Meno male che Grillo c’è /2

Mi dicono che non vedo le battaglie di Beppe Grillo e mi soffermo su resto. La battaglia (e il sondaggio, viva la rete!) di oggi è una presa per il culo (che non fa nemmeno ridere) contro Pippo Civati.

Fate vobis.

Per cacciare la cittadina Realtà

Gramellini, oggi, su La Stampa:

«Salve, cittadino Cinquestelle, sono un disoccupato senza casa e pieno di debiti, deluso dai partiti che pensano soltanto ai fatti loro. Voi invece siete qui per aiutarmi, giusto?». «Puoi dirlo forte, cittadino disoccupato senza casa e pieno di debiti. Noi ci occupiamo dei problemi veri del Paese. Oggi per esempio stiamo decidendo se mettere ai voti la diretta streaming della riunione in cui si deciderà se sottoporre al voto della Rete la decisione di cacciare dal movimento una cittadina senatrice infetta che ha osato dire che Grillo ogni tanto sbaglia».

«Capisco le esigenze della democrazia diretta, cittadino Cinquestelle. I miei problemi possono aspettare fino a domattina». «Domattina abbiamo un’altra emergenza, cittadino. Dovremo rendicontare in diretta streaming gli scontrini dei cornetti del bar di Montecitorio, dividendo i cornetti alla crema da quelli al cioccolato e i cornetti dei buoni cittadini dai cornetti dei cittadini infetti». «Potrei avere un cornetto, cittadino? Anche infetto». «Per darti un cornetto devo fare lo scontrino e per fare lo scontrino devo chiedere il permesso alla Rete in diretta streaming. Il problema è che per chiedere la diretta streaming è necessario convocare una riunione del gruppo». «Convocala, cittadino: sto morendo di fame». «Impossibile, cittadino, il gruppo è già riunito». «Per fare che?». «Te l’ho già detto: per decidere se cacciare o no la senatrice infetta». «Ma quando comincerete a occuparvi della realtà?». «La cittadina Realtà? Va disinfettata, cittadino. E se oppone resistenza, va cacciata. A meno che abbia richiesto lo scontrino».

Internet, la democrazia al chilo e le quirinarie

Non sopporto l’informazione al chilo, la cultura al chilo e negli ultimi giorni comincio a diventare intollerante di fronte a internet e democrazia vendute al chilo. Ne scrivevo giusto ieri qui di come sia semplicistico pensare ad una democrazia diretta direttamente dipendente alla rete in sostituzione di tutto il resto. Per carità, l’idea della rete come madre della democrazia è affascinante in un Paese come il nostro dove internet è ancora in piena fase pionieristica (dietro a Barbados e Panama, al 50° posto per economia digitale) ma l’alfabetizzazione all’analisi è ancora una chimera. Ieri sentivo qualcuno lamentarsi delle 55 cartelle di Fabrizio Barca nel suo documento per un buon Governo: non riusciamo ad avventurarci più in là del singolo click.

Per fare un altro esempio, il post di questo piccolo blog più letto di ieri (e scommetto che lo sarà anche di oggi) è questo e sono in molti ad avere commentato in facebook o su twitter semplicemente il titolo senza nemmeno avere aperto il link: la compulsione da click, appunto.

E anche sul presunto attacco hacker al blog di Beppe Grillo varrebbe la pena andare un po’ più a fondo. Federico Mello prova a ricostruire la vicenda con un po’ di logica e analisi, appunto:

Ma è proprio così? Qualcuno è volutamente entrato nel sistema della Casaleggio per boicottare questa prova di democrazia? Se fosse, sarebbe molto grave. Chi l’avrebbe fatto, per conto di chi? E non dovrebbero essere preoccupati, Grillo e i suoi, per questo boicottaggio? È come se il Pd avesse annullato le sue primarie dopo il furto di un gran numero di schede.

Ma la verità in questo caso è un’altra: non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Dnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».

Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, nè di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.

Dove è venuta fuori allora la storia degli hacker? Dalle parole di Grillo. E, indirettamente, da quelle di Messora. Perché? Bhè, la risposta non la sapremo mai. Ma l’ipotesi più probabile è che alcuni utenti abilitati al voto abbiamo potuto votare più volte per una difetto nel sistema costruito dalla Casaleggio. E, invece di ammettere l’errore, (un pessimo viatico per chi che nel suo statuto intende dare “al popolo della rete” la titolarità del governo), quando le cose non hanno funzionato, ecco subito gridare allo scandalo, all’attacco informatico.

Se vogliamo un approccio serio all’applicazione politica della rete non possiamo rinunciare ad una scolarizzazione seria e collettiva (democratica, appunto) sui suoi meccanismi e il Movimento 5 Stelle dovrebbe (o potrebbe) essere l’avamposto culturale. In fretta. Come dice Leonardo nel suo post di oggi:

Io credo che i militanti del M5S che chiedono insistentemente, da mesi, una piattaforma realmente democratica a Grillo e Casaleggio dovrebbero riflettere seriamente su quello che sta succedendo. Se la tanto promessa piattaforma non è mai pronta, forse non si tratta soltanto di un problema di tempo, come a volte avete letto su beppegrillo.it. Casaleggio avrà anche tanti impegni, ma quello che vi ha promesso, tecnicamente, non ve lo può dare. Il fatto che succeda di nuovo un incidente del genere, dopo i disguidi durante le parlamentarie, la dice lunga. Noi non sappiamo esattamente quanti siano gli iscritti al MoVimento al 31 dicembre 2012 (quelli che avevano diritto di votare), ma Casaleggio sì, lui lo sapeva. Ha tutti i dati necessari a capire quanta gente avrebbe votato ieri e a prevedere i possibili picchi di traffico. Ma non ci riesce. O non ne ha i mezzi o, probabilmente, non ne è capace. Ma non ha la minima importanza, così come non ne ha avuta per le parlamentarie. Non si tratta di eleggere veri rappresentanti: si tratta di vendere l’idea del movimento che decide in rete, con tutto il bello e tutto il brutto della rete, compresi i malvagi hacker inquinatori della volontà popolare. Grillo e Casaleggio non hanno la minima idea del futuro che stanno vendendo: è un pacco, intanto lo piazzano, se poi dentro c’è qualcosa che funziona tanto meglio, ma non dipende da loro. Loro fanno il marketing, loro piazzano il pacco.

Viene in mente la teoria di Steve Jobs su come i venditori rovinino le grandi aziende, quando vanno al potere al posto degli ingegneri. Il M5S non è una grande azienda, è un movimento politico, dentro un pacco. Volete che funzioni? Scartate via il pacco, licenziate i professionisti dei fiocchetti. Sono stati molto bravi, ma da qui in poi possono soltanto rovinare tutto.

Perché altrimenti non c’è differenza: stiamo semplicemente al Drive-In e il paraberlusconismo 2.0.

Se lo dice anche Travaglio

Nel primo editoriale, intitolato “Autoscacco a 5 Stelle”, Travaglio ha scritto quello che secondo lui, Crimi e Lombardi avrebbero dovuto fare da Napolitano per uscirne “vincitori”:

Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero saliti al Quirinale con una proposta chiara e netta: un paio di nomi autorevoli per un governo politico guidato e composto da personalità estranee ai partiti (parrà strano, ma ne esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi, dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle sagrestie vaticane).

Sarebbe stato lo scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo son dato da soli. Col rischio di perdere un treno che potrebbe non ripassare più; di accreditare le peggiori leggende nere sul loro conto; e di gettare le basi per drammatiche spaccature.

Nel secondo editoriale, intitolato “Con scappellamento a destra”, Travaglio spiega che l’autogol dei grillini ha spinto a una soluzione “non-soluzione”, paragonando il ricorso ai saggi alla Restaurazione e alla Bicamerale dei tempi di D’Alema.

L’altroieri M5S aveva un rigore a porta vuota: l’ha tirato in tribuna. E, con la partecipazione straordinaria di Napolitano e Bersani, ha perso un’occasione unica di spingere l’Italia verso un po’ di futuro. Ieri le lancette della politica hanno ripreso a camminare a ritroso verso il peggiore passato

Se questi sono saggi, i fessi dove sono? Eppure piacciono a tutti. Anche ai 5Stelle, gli unici esclusi dalla spartizione quirinalesca, gli unici ignari della vera natura della bi-Bicamerale: una stanza degli orrori per rimettere in pista B. e patteggiare alle nostre spalle, una siringa di anestetico per infilarci la supposta dell’inciucio senza che ce ne accorgiamo.

La perversione

Provate a spiegarlo ad un bambino: il Movimento 5 Stelle non vuole accordi con il centrosinistra, anzi con nessuno. E’ semplice e lineare. Si può essere d’accordo o meno ma è una decisione che ha un senso (più lucrativo di consenso che politico, forse). Il centrosinistra intanto prova in tutti i modi di trovare un punto in comune con Il M5S per costruire un “governo di scopo” che non preveda PDL e affini (e questo a Bersani va riconosciuto, ma sul serio).

Il M5S ostinatamente rifiuta il corteggiamento. Anzi, dice che è tutta una finta del centrosinistra che vuole farsi dire di no per andare con Berlusconi, e allora loro (anzi, Beppe Grillo) cosa si inventano per disinnescare la trappola? Dicono di no. Ecco.

Il PD si diluisce in mille correnti ma Bersani tenta di tenere la barra dritta. Piuttosto che con Berlusconi (dicono in molti) si ritorna al voto. E qui accade il miracolo: i capigruppi cinquestelle Crimi e Lombardi ci dicono che il voto sarebbe una sciagura. Capito? Loro.

Forse sono troppo semplice io ma un attendismo venduto come un martirio mi sembra proprio una perversione.

(Anche Pippo ne scrive, qui)

Il buon senso

Il deputato 5 stelle Tommaso Currò oggi a Repubblica:

«Io sollevato? Non so. Mi hanno attaccato – ricorda il deputato – mi hanno dato del traditore. Ma io non sto tradendo. E penso che nella vita bisogna far prevalere la coscienza».
La voce trasmette un po’ di ritrovata fiducia: 
«Se abbiamo detto di avere un progetto di Paese e poi stiamo a guardare il governissimo Pd-Pdl, tradiamo la nostra prerogativa di mandare a casa la vecchia classe dirigente ».
L’alternativa? 
«Se proponiamo un governo a cinquestelle, il Pd e Sel faranno emergere persone che non hanno nulla a che vedere con il passato negativo. Obbligheranno la vecchia classe a fare un passo indietro, ne emergerà una nuova».
Prima lei, adesso un altro siciliano come il senatore Bocchino. Avete dato la scossa? 
«Sapevo che Fabrizio mi era vicino. Non so, forse alla base ci sono ragioni sociologiche. Noi siciliani viviamo una voglia di riscatto ».

L’inseguimento del “grillino”

tgcom24-grillini-pullmanL’amaca di oggi di Michele Serra, consigliata per iniziare la giornata:

Le telecronache dell’inseguimento del pullman grillino lungo raccordi anulari e autostrade sembrano la parodia di un road-movie americano di serie B, manca solamente una autostoppista avvenente e dal passato misterioso. Sembrano. Ma sono, invece, uno spietato documentario sulla impotenza dei media, incapaci di partorire e anche solo di concepire, di fronte alla renitenza grillina, qualunque strategia alternativa. Tutto è meglio di quell’avvilente elemosinare mezza frase, rubare mezza inquadratura, implorare mezza informazione. Meglio il silenzio, meglio mandare in onda un fermo-immagine di Beppe Grillo con musica classica in sottofondo, meglio un comunicato sindacale, meglio uscire al primo casello e andare a farsi due spaghi, meglio far finta che 5 Stelle non esista. Recuperare credibilità, per i media, vorrebbe dire prima di tutto recuperare dignità e autonomia di linguaggio: più rincorrono trafelati i fuggiaschi, più confermano l’idea grillina che il sistema mediatico, così come è adesso, sia infrequentabile. Quando Grillo caccia dal suo palco il cameraman indesiderato è odioso. Ma quando cameraman, fotografi e cronisti pedinano un autobus mandando in onda se stessi che pedinano un autobus, danno del diritto di cronaca un’idea talmente penosa da metterne a rischio il prestigio e l’urgenza.

La rinocentite e la casta

In tempo di facilonerie e pancismi un articolo equilibrato, finalmente, di Alessandro Campi per Il Messaggero:

basta-castaPersino Maurizio Crozza – che è un grande professionista, ma rimane pur sempre un comico – alla fine ha riconosciuto che «forse stiamo esagerando». Sentire i presidenti delle Camere che all’unisono, appena eletti, annunciano in diretta televisiva di essersi ridotti lo stipendio (ma perché solo del 30%? perché non rinunciarvi del tutto?), leggere di un parlamentare grillino messo sotto accusa dai suoi colleghi per aver mangiato al ristorante di Montecitorio invece che alla mensa, tutto ciò dà il segno – ha sostenuto Crozza – di «una escalation assurda».

Se continua così, ha concluso fra le risate del pubblico, fra qualche tempo qualcuno si inventerà in televisione un’inchiesta-denuncia su un onorevole sorpreso a mangiare una brioche con crema all’autogrill di Roma Sud. Uno scandalo, ovviamente, visto che i parlamentari degli altri Paesi europei le brioche le mangiano vuote. E chi la paga la crema se non i poveri contribuenti italiani?

La verità, messa in luce da uno spettacolo satirico ma che si ha evidentemente paura di sollevare a livello di dibattito pubblico, è che la campagna mediatica contro la casta e gli sprechi della politica è sfuggita di mano a coloro che, nel corso dell’ultimo decennio, l’hanno meritoriamente promossa. Ma il loro obiettivo, apprezzabile dal punto di vista dell’impegno civile, era la riforma del sistema dei partiti, non la sua paralisi o peggio la sua distruzione.

Una riforma peraltro sostenuta da argomenti che ormai oscillano sempre più tra la demagogia e l’invettiva vera e propria. Nata per denunciare i costi oggettivamente esorbitanti delle assemblee rappresentative (centrali e periferiche) e in genere della macchina burocratico-istituzionale italiana, per mettere a nudo la corruzione dei singoli e i molti privilegi, diretti e indiretti, connessi allo svolgimento di ruoli e incarichi politici, tale campagna ha tuttavia finito per gettare una sorta di discredito generalizzato, un’ombra di sospetto permanente, su chiunque occupi uno scranno o svolga una funzione di governo, avallando implicitamente l’idea che la politica sia in sé un affare sporco.

Il trionfale ingresso di Grillo e dei suoi seguaci nelle aule parlamentari è in gran parte da attribuire proprio a questo sentimento collettivo, che da anni è largamente ostile alla politica e ai suoi attori tradizionali. Sentimento che Grillo – un Savonarola nell’epoca dei social network – ha capitalizzato, accomunando destra e sinistra in una condanna senza appello.

La sua vittoria ha spinto tutte le altre forze politiche, frastornate e impaurite, ad assecondarlo a costo di sfondare il limite del grottesco. Tutto, ivi comprese le trattative politiche più riservate e delicate, deve essere reso trasparente e accessibile. Ogni atto o parola deve essere ripreso in video e sottoposto al giudizio del pubblico. Ogni spesa, ivi comprese caramelle e penne a sfera, deve essere documentata scontrino alla mano.

Non c’è competenza o carriera professionale, non c’è funzione o incarico, per quanto delicato e prestigioso, che possa giustificare uno stipendio o una pensione che offenda l’amor proprio (o stimoli l’invidia sociale) di un pensionato, una casalinga o uno studente fuori corso. Tutti – purché cittadini – possono occuparsi di tutto e svolgere qualunque mansione, in omaggio all’idea che le istituzioni funzionano in virtù della volontà e dei desideri di chi momentaneamente se ne appropria, non delle conoscenze tecniche di chi opera stabilmente al loro interno.

Ma non basta. Ogni esperienza politica pregressa, aver già ricoperto un incarico pubblico o un mandato politico, è da considerarsi con sospetto, in una versione aggiornata e un tantino ridicola del delirio rivoluzionario che nella Cambogia degli anni Ottanta spingeva i seguaci di Pol Pot a deportare nelle campagne o eliminare chi indossava un paio di occhiali o possedeva un titolo di studio, e a consegnare il potere ai fanciulli.

E guai naturalmente a farsi vedere in un ristorante del centro, meglio recarsi a piedi in Parlamento, tutti a chiedere di tagliare: stipendi, province, rimborsi, numero dei deputati e dei senatori, auto blu, scorte, appannaggi, pensioni, in una gara nella quale il qualunquismo travestito da morigeratezza sembra superato solo da un’ipocrita insipienza.

Per chi si ricorda di Ionesco e del teatro dell’assurdo, sulla scena politica di queste settimane sembra essersi realizzata la trasformazione di milioni di italiani – ivi compresi opinionisti eccellenti e politici di lungo corso – in rinoceronti impazziti che caricano senza risparmiare nulla, mossi dallo spirito di rivalsa e dal desiderio di fare tabula rasa.

La “rinocerontite”, come la chiamava il drammaturgo romeno, sembra aver colpito la maggioranza e si va diffondendo come un virus. E l’unico che abbia sin qui avuto l’ardire (e il buon senso) di opporsi a questo delirio febbrile sembra essere stato Crozza, un uomo di spettacolo ma per sua fortuna ancora politicamente pensante.